Sicurezza sul lavoro

Una palla di fuoco che esce da un forno, avvolge tutto nel raggio di almeno 100 metri e ritorna nel forno. Il tutto dura pochi secondi, i feriti sono quattro, svariati i danni materiali. È successo alla Imerys Graphite & Carbon (ex Timcal) di Bodio la scorsa settimana. Area ha incontrato alcuni operai per raccogliere il loro vissuto e discutere di sicurezza sul lavoro.

«Devo rischiare la vita per 2.700 franchi al mese? No grazie!», così esordisce uno dei lavoratori feriti nell’incendio alla Imerys di Bodio dello scorso lunedì 15 settembre. È spaventato, ancora sotto shock per l’accaduto, come lui molti altri suoi colleghi, anche non direttamente coinvolti nell’incidente. «Io ho detto che per il momento sulla gru non me la sento di salire, che mi facciano prima vedere delle vie di fuga», dice un collega degli operai feriti. Sono in tanti nel reparto forni ad avere paura adesso, come se avessero preso coscienza solo con l’incidente dei rischi che hanno sempre corso andando a lavorare lì.


Cos’è successo quel lunedì mattina verso le otto? «Ho sentito un rumore, neanche tanto forte, mi sono voltato e ho visto come un vulcano che mi arrivava addosso, credo di aver impiegato 2 secondi a fare i 100 metri che mi separavano dal dumper blu dietro al quale mi sono nascosto. Mentre correvo cercavo di tirarmi via di dosso il materiale incandescente che mi arrivava sulla testa e sulle spalle, poi ho visto che la giacca faceva fumo e l’ho tolta, temevo mi prendessero fuoco i vestiti. È stata la prima volta che mi son detto: questa volta è finita, adesso muoio», racconta uno dei due feriti che abbiamo incontrato. Una palla di fuoco gigantesca è uscita da sopra a un forno, bruciando tutto quello che incontrava, per poi ridimensionarsi e tornare nel forno, il tutto (fiammata e ritorno) è durato poco più di una decina di secondi «se fosse durato 5 secondi in più non sarei qui a raccontarlo, mi è passata la vita davanti agli occhi», dice l’altro ustionato. 

 

Sono entrambi consapevoli di “averla scampata bella”: «Poteva andare molto peggio, per fortuna il forno era acceso solo da 8 ore, altrimenti chissà cosa sarebbe rimasto. E per fortuna stavamo scaricando e non caricando». I forni, la cui temperatura supera i 5.000 gradi, restano infatti accesi alcune decine di ore. Nelle operazioni di carico del forno, inoltre, i fornaioli si trovano all’interno di pareti alte circa due metri, nel caso la palla di fuoco si fosse formata in quel momento, sarebbe stato difficile scappare, spiega uno di loro: «Avrei dovuto salire sulla scaletta per uscire, scendere e poi correre, pochi secondi in più che avrebbero potuto costarmi la vita. È stata questione di un attimo».


Discutendo con alcune persone che lavorano nel reparto forni della Imerys (tutti preferiscono restare anonimi) colpisce la diversa percezione dei rischi del lavoro tra chi è li da decenni e chi invece solo da alcuni anni. Se i primi sembrano sempre esser stati consapevoli del fatto che qualcosa di simile a quello che è successo il 15 settembre potesse accadere, i secondi sembrano quasi sorpresi e sono molto più spaventati.

 

Cos’è cambiato negli anni? «È cambiato il modo di lavorare: noi lavoravamo con passione – racconta un operaio della “vecchia guardia”–, adesso molti giovani sembra siano lì solo a far passare le otto ore di lavoro per ricevere la paga a fine mese, e non gli interessa di niente». Anche il modo di far “carriera” è cambiato: «Una volta si faceva la gavetta, si passavano tutte le fasi di lavorazione dei materiali prima di arrivare ad essere gruisti o regolatori. Perciò un gruista quando saliva sulla gru per la prima volta conosceva già tutti i materiali e tutti i movimenti dei fornaioli sotto di lui, ed è molto importante questo per muoverti bene sulla gru e non perdere tempo: si passa a poche decine di centimetri dalle persone e dai forni», prosegue l’operaio.


In fabbrica in generale, e nel reparto forni della Imerys in particolare, i processi produttivi sono semplici, ma ad alto rischio: «Apparentemente chiunque può essere in grado di fare lo spalatore a un forno, ma non è così: ci vuole testa. Quello nei forni è un lavoro di squadra, dal gruista agli spalatori al regolatore, e tutti devono svolgerlo in modo responsabile», spiega Gianluca Bianchi, sindacalista di Unia che segue da anni i lavoratori di questa fabbrica.  Sia quella del gruista che quella del regolatore dei forni sono due mansioni ad altissima responsabilità, le persone che rivestono questi ruoli ne devono essere consapevoli: nelle loro mani c’è anche la vita dei colleghi. «Lo dico sempre ai giovani: state attenti, noi lavoriamo con delle bombe – dice un operaio prossimo alla pensione –, ma sembra che non tutti capiscano questa cosa e sono in troppi che si lasciano distrarre dai telefonini o che non si concentrano a dovere su quello che stanno facendo».


Della stessa opinione anche Pedro Bravo, regolatore forni e membro della commissione del personale. Lo incontriamo dopo una riunione con tutti i regolatori e la direzione, volta a far luce sull’incidente. Non ci può dire nulla per il momento su quanto accaduto, l’indagine di polizia è ancora in corso, ma conferma che la direzione sta studiando nuove misure di sicurezza per fare in modo che incidenti di questo tipo non possano più accadere.

 

Secondo Bravo, negli ultimi anni la consapevolezza dei rischi nei forni è andata diminuendo: «La tecnologia ha permesso di ridurre considerevolmente i rischi rispetto ai primi anni che lavoravo qui, ma siamo pur sempre alle prese con dei forni che scaldano a migliaia di gradi. Quante volte mi capita di vedere gente attorno ai forni in inverno o quando piove, che sta lì a scaldarsi e asciugarsi. Io dico sempre di allontanarsi, che è pericoloso, ma niente».


Un altro problema, sollevato da Bianchi, riguarda l’evoluzione dei salari d’entrata: i lavoratori più anziani sono stati reclutati quando il lavoro non mancava, allora era la ditta a dover “corteggiare” gli operai per averli e doveva quindi offrire condizioni attrattive, oggi invece anche alla Imerys si ricorre agli interinali, pagati meno di 3.000 franchi al mese e senza contratto, «Il rischio che corrono ogni giorno non è più riconosciuto in termini salariali e vien detto loro che sono tutti sostituibili, ma non è così», spiega Bianchi, che prosegue: «Il pericolo a cui sono confrontate queste persone ogni volta che si recano al lavoro va indennizzato con un salario adeguato, come succedeva un tempo».


I nostri interlocutori si dicono certi che dopo questo incidente qualcosa cambierà in ditta, le misure di sicurezza verranno ulteriormente potenziate: «Ma il rischio zero non esiste, mentre lavoriamo dobbiamo essere tutti consapevoli di questo e agire di conseguenza. Avere paura non serve a nulla, la paura è anch’essa pericolosa, ma la consapevolezza e la responsabilità sono fondamentali», conclude Pedro Bravo.

Pubblicato il 

25.09.14

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