“L’omosessualità non esiste in Cecenia”, ribadiscono le autorità cecene. Le stesse che stanno conducendo una spaventosa purga nei confronti dei gay: due mesi fa il quotidiano russo indipendente Novaya Gazeta ha rivelato che uomini percepiti come omosessuali erano stati rapiti nell’ambito di una campagna coordinata ed avrebbero subito torture e maltrattamenti. Almeno tre sarebbero stati uccisi.
Fino a quando le autorità vivranno nella loro propria visione della realtà, gli omosessuali in Cecenia non avranno alcuna possibilità di essere protetti o di ottenere giustizia.


Testimoni incontrati da Amnesty International hanno riferito come gli uomini sospettati di essere gay siano pubblicamente umiliati, prelevati con la forza davanti a famiglie e colleghi, rischiando rappresaglie anche una volta liberati. Proprio questo è successo ad Akhmad, oggi costretto a nascondersi. Ai miei colleghi ha detto: «Prima l’omofobia si traduceva in episodi isolati. Oggi non c’è via di salvezza; si tratta di persecuzioni da parte delle autorità». È difficile immaginare la solitudine totale che provano le persone omosessuali in Cecenia dove, ufficialmente “non esistono”.


Venerdì scorso, in numerosi paesi, degli attivisti hanno protestato davanti alle ambasciate russe. Amnesty International ha raccolto oltre mezzo milione di firme nel mondo per dire “No” a questa scioccante persecuzione ed esigere dalla autorità russe che svolgano un’indagine penale esaustiva sulle atrocità commesse.
Ma gli omosessuali vittime di questa purga non sono al sicuro, né in Cecenia, né in Russia. Secondo un’organizzazione russa una quarantina di persone vivono attualmente nella clandestinità in Russia e stanno tentando di lasciare il paese in ogni modo. Solo alcuni hanno ottenuto asilo in paesi sicuri. La Francia ha dato l’esempio accogliendone uno. È fondamentale che altri paesi aprano le proprie porte ai gay in fuga dalla Cecenia.
Un appello in questo senso è stato rivolto al Consiglio federale da Amnesty International insieme con organizzazioni svizzere per la difesa dei diritti di persone lesbiche, gay e transgender. Negli ultimi anni le nostre autorità si sono mostrate molto reticenti a concedere l’asilo a omosessuali minacciati di morte nel proprio paese. È ora di passare dalle parole agli atti: la Svizzera, che è spesso intervenuta sulla scena internazionale per chiedere agli Stati di mettere fine ad ogni forma di discriminazione basata sull’orientamento sessuale, deve anch’essa accogliere degli omosessuali la cui vita è minacciata.

Pubblicato il 

07.06.17
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