Secondo le statistiche pubblicate dalla Suva per l’anno 2013, il rischio per un lavoratore attivo nell’ambito della finanza e delle assicurazioni di essere vittima di un incidente professionale è dell'1,5% all’anno. Nell’edilizia, nel corso dello stesso anno, il rischio è stato del 17,5%. In altre parole, il rischio di incidenti su un cantiere è undici volte più elevato che in un ufficio.


L’alta frequenza di infortuni nell’edilizia non è una casualità. Si tratta della conseguenza diretta di ritmi elevati, cattive condizioni di lavoro e assenza di misure di protezione adeguate, in particolare dell’obbligo di lavorare nonostante il maltempo. Basterebbe abbassare i ritmi e sospendere il lavoro quando gela, piove o c’è la canicola per ridurre drasticamente il numero di infortuni sui cantieri. Una rivendicazione presentata dalle assemblee operaie riunitesi in questi ultimi mesi per discutere del rinnovo del Contratto nazionale mantello, mettendo tra le rivendicazioni principali quella di una migliore protezione in caso di intemperie.


I padroni però hanno detto di no. Garantire la salute degli operai comporta dei costi, causati dalla sospensione o dal rallentamento del lavoro, spese che riducono i guadagni del padronato e degli azionisti. Profitti che sono in continuo aumento, conseguenza del fatto che negli ultimi dieci anni la cifra d’affari del settore della costruzione in Svizzera è cresciuta del 40%. Sebbene basterebbe quindi rinunciare a qualche migliaio di franchi per salvare un dito o una schiena, la Società svizzera Impresari e Costruttori ha dichiarato che non è disposta a rinunciare a una parte dei suoi guadagni e poco importa se ne va della salute degli operai. Secondo il codice penale svizzero, chiunque crea un rischio e in seguito non impedisce l’esposizione della vittima a un pericolo, a una lesione o alla morte commette un crimine o un delitto.


L’omissione volontaria dei padroni svizzeri della costruzione di prendere le misure necessarie al fine di proteggere gli operai attivi sui cantieri li rende quindi penalmente responsabili per ognuno degli infortuni causati dall’assenza di protezione sufficiente, in particolare per gli incidenti in caso di intemperie. Per ogni operaio morto sotto la pioggia, per ogni schiena rotta, per ogni dito congelato dalla neve, chi ha imposto condizioni indegne agli operai rifiutando la protezione contro le intemperie o obbligando a lavorare in condizioni rischiose, per pura sete di profitto, dovrebbe essere processato e, se le condizioni sono date, condannato.

 

Certo, un simile processo e ancor di più una tale condanna sono molto improbabili, visti i rapporti di forza attuali. Questo non dovrebbe però bastare ai responsabili per dormire sonni tranquilli. La prescrizione per questo tipo di reati è da dieci a quindici anni, un lasso di tempo più che sufficiente perché i rapporti di forza cambino in modo decisivo o perché un magistrato onesto e determinato decida di fare sino in fondo il suo lavoro. Se gli impresari costruttori svizzeri dovessero avere un dubbio a tal proposito, l’ex padrone dell’Eternit Stephan Schmidheiny, sotto processo a Torino per “omicidio volontario” per la morte di 259 operai tra il 1989 e il 2014, sarà certamente disponibile per confermarlo.

Pubblicato il 

22.10.15
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