Mentre vengono a galla i misfatti del capitalismo da "Saloon" del "Far West" globale e mentre gli stati sociali, loro malgrado, salvano gli eredi di Al Capone (e se stessi) con i soldi degli onesti, lo sport continua la sua espansione simile alla rana di Jean de la Fontaine: "grande non più d'un ovo di gallina, vedendo il bove e bello e grasso e grosso, si gonfia a più non posso per non esser del bove più piccina". Fino a scoppiare, come la bolla delle proprietà fondiarie (immaginarie). Ma lo sport, come la borsa per evitare il crollo del sistema, si salverà sino a quando sarà un oppio indispensabile per campare da una settimana all'altra in un mondo di alienati (dalla natura, dal lavoro, da se stessi). La "Premiership" inglese ha 3miliardi di sterline di debiti, di cui quasi un miliardo a carico del ricchissimo Chelsea, che però risponde: "il passivo non è della società , ma del padrone mister Abrahmovic". Vero, e per il russo è poca cosa. Ugualmente però l'Uefa di Platini medita di negare la partecipazione alla Champions League a chi non presenta bilanci in ordine. È un piccolo avviso per evitare, come ha detto il giudice Zali sulla vicenda Hc Lugano, "l'indebita ricerca della gloria che non giustifica il reato, e che non può indurre a voler vincere ad ogni costo, falsando la competizione, in modo non dissimile da chi assume doping". Il famoso "doping amministrativo", la massa monetaria che tutto compra. A parte il fatto che molti miliardari comprano le squadre per ragioni molto meno nobili rispetto a quelle legate alla passione sportiva… ciò che però al tifoso Doc non importa. E qui arriviamo al lato demenziale, tragicomico dello sport come merce da consumo: il fan non solo perdona tutto pur di arrivare alla vittoria per interposta persona-eroe o squadra, ma insulta il ricco padrone che non spende di più senza pensare alla spirale dei costi e al fatto che alla fine questi ricadranno in qualche modo sulle sue spalle. Il tifoso rivela così la sua natura di masochista perché indurrà il petroliere ad aumentare il prezzo del petrolio, ciò che obbligherà il tapino a passare l'inverno a 15 gradi invece che a 18. Per un goal in più. Per non dire dei bambini e delle bambine schiave impegnati a confezionare oggetti e indumenti legati ai colori del club: il "merchandising" che permetterà sulla pelle degli altri qualche miracoloso acquisto a centrocampo. Dal circolo vizioso non si esce se non con una rivoluzione culturale, prima ancora d'una che cambi i rapporti di forza capitale-lavoro o i rapporti commerciali che inducono i poveri a vendere a prezzi stracciati: vendere o crepare subito, altro che gioco della domanda e dell'offerta: vale solo per chi ha qualcosa da mangiare. L'Inghilterra dell'ottocento obbligò la Cina (a cannonate…) ad aprire i porti al commercio dell'oppio che avrebbe fiaccato il popolo e accelerato la decomposizione di un impero da sbranare. Lo sport è più subdolo: non c'è coercizione, non c'è obbligo, c'è solo un malinteso di fondo: l'assimilazione dello sport che abbiamo fatto su sentieri sterrati o in miseri campetti spelacchiati con lo sport dei professionisti. Chi per diletto scopre o riscopre lo sport utilizzando la macchina meravigliosa (per quanto ancora?) del nostro corpo, non sarà schiavo dello sport-oppio, consumato senza pensare ai costi (propri e altrui) da chi dipende da un goal come altri dipendono dalla droga, tra l'altro (tragicamente) di questi tempi sovente più a buon mercato di certi eventi dello sport-spettacolo.

Pubblicato il 

24.10.08

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