A cinque anni di distanza, la Procura ha chiuso le indagini sull'incidente del treno di cantiere nel quale perirono due operai sul sito di Pollegio dell'Alptransit. Quattro persone sono state messe in stato di accusa per omicidio colposo per negligenza.

Salvatore Di Benedetto e Andrea Astorino, il 21 gennaio del 2005 morirono mentre stavano lavorando all'interno del cantiere Alptransit di Pollegio. La loro vita fu stroncata nel pieno delle loro forze, a 24 anni per Di Benedetto e a 31 anni per Astorino. Entro l'estate, Astorino sarebbe diventato padre per la prima volta. Oggi, a cinque anni di distanza, la giustizia è riuscita a concludere una prima tappa.
La scorsa settimana infatti, la procuratrice Chiara Borelli ha intimato l'atto di accusa per omicidio colposo per negligenza a quattro dirigenti. Il primo è un imprenditore responsabile della ditta germanica costruttrice del convoglio che fu all'origine dell'incidente.  Secondo l'accusa, l'imprenditore non avrebbe ritirato il materiale rotabile malgrado sapesse essere "deformato e difettoso" dopo un sopralluogo sul cantiere di un suo collaboratore. Quel giorno maledetto, gli ultimi tre vagoni del trenino rimasero su un binario mentre il resto del convoglio procedeva su un altro binario dopo lo scambio. Per cinque lunghi minuti quel treno viaggiò "in parallelo" sui due binari. I tre ultimi vagoni andarono a cozzare contro il convoglio della pulizia dei binari, in quel momento fermo, che a sua volta travolse quattro operai. Due si salvarono con lievi ferite, mentre per Astorino e Di Benedetto non ci fu nulla da fare.
Per quei minuti in cui il trenino viaggiava su due binari paralleli, dovrà rispondere davanti alla giustizia l'addetto al controllo del movimento ferroviario. È accusato di aver «omesso di prestare la dovuta attenzione al monitor, senza avvedersi del lampeggio della segnaletica indicante una situazione anomala» e quindi senza aver proceduto «come avrebbe dovuto, ad un'immediata verifica all'interno della galleria per il tramite del macchinista del convoglio».
In tribunale dovranno comparire anche due ingegneri del consorzio Alptransit. Si tratta del capocantiere e del capo della sezione meccanica «per avere entrambi, benché consapevoli dello stato difettoso del materiale rotabile, deciso di non procedere, vedi richiedere, un'interruzione del traffico dei treni interi, sino alla risoluzione dei difetti riscontrati».
Per altre sette persone, la procura sta procedendo separatamente. I quattro imputati dovrebbero comparire in tempi relativamente brevi davanti alla Corte delle Assise correzionali di Rivera.


Il commento

La conclusione dell'inchiesta in un caso di morti sul lavoro è una buona notizia. La promozione dell'accusa per due dirigenti del consorzio Alptransit e per un imprenditore segna un punto a favore dell'imparzialità della Procura.
Vi sono però alcuni "ma". I cinque anni di attesa, sebbene possano apparire interminabili per chi vi è coinvolto, non sono imputabili al mancato lavoro della procuratrice Borelli, ma ai mali in cui versa la giustizia ticinese. La carenza di personale e di mezzi è nota. Si preferisce far finta di nulla, perché una giustizia lenta può essere, per qualcuno, comoda.
Non a caso sono le indagini sui reati finanziari e legate al mondo del lavoro a soffrire maggiormente delle carenze strutturali della magistratura ticinese.
C'è poi un grande assente tra gli imputati: il sistema. Fermare i convogli per verificarne l'affidabilità, sostituirne dei pezzi perché rovinati, significa rallentare i lavori e aumentare i costi. E dei costi dovevano rispondere i due ingegneri ai loro capi, i quali dovevano rispondere agli azionisti delle loro società che vogliono i profitti. Ingegneri ingranaggi del sistema? Forse. Di certo nessuna Procura riuscirà a dare un volto alla logica di una sicurezza sacrificata nel nome del denaro.

Pubblicato il 

12.02.10

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