Flessibilità, disponibilità al sacrificio e messa in discussione delle proprie aspettative (cioè al ribasso). Sono questi i ritornelli che i lavoratori, sia quelli occupati che quelli senza impiego, ascoltano ormai da anni. Abituati troppo bene, lo si è sentito pure in una recente conferenza stampa sulla libera circolazione, i lavoratori ticinesi rischierebbero proprio a causa di questa loro rigidità di essere espulsi da un mercato del lavoro – esteso grazie ai bilaterali – qualora l'economia dovesse rallentare. Ma siamo davvero così poco flessibili e adagiati nel sogno del lavoro per una vita? Con l'interessante indagine svolta presso un campione di senza lavoro del Bellinzonese – presentata nell'ultimo numero  di Dati, il trimestrale dell'Ufficio cantonale di statistica – il ricercatore Flaminio Cadlini ottiene invece risultati che vanno nell'altra direzione. La disponibilità ad essere mobili sul territorio, ad accettare lavori meno remunerativi e a cambiare professione sono infatti già una realtà oggi. Ne parliamo con l'autore della ricerca.  

Flaminio Cadlini dalla sua indagine risulta che i disoccupati presi in considerazione sono di fatto flessibili e pronti sia a spostarsi che a guadagnare meno o cambiare professione. È stupito da questi risultati?
In realtà non sono sorpreso dal risultato in sé. Un disoccupato è disposto a fare sacrifici, questo ce lo potevamo aspettare. L'ampiezza e la disponibilità a questi cambiamenti mi hanno invece stupito, anche se purtroppo non esistono termini di paragone per quantificare il fenomeno (questo lavoro è una prima assoluta, ndr). Esiste un'elevata mobilità a livello professionale che abbiamo scoperto essere sistematicamente più alta per i disoccupati sopra ai 50 anni. Questa più alta disponibilità ad accettare un lavoro per le persone sopra ai 50 anni si può spiegare col fatto che i costi relativi agli oneri sociali per questa categoria di lavoratori è più alta. Sopra ai 50 anni questi impiegati non solo si sentono costretti ad accettare condizioni peggiori in termini di salario, ma anche tragitti più lunghi per recarsi al lavoro.
Anche i senza lavoro sotto i 50 anni sono disposti ad accettare peggiori condizioni lavorative?
Sì. L'analisi che abbiamo effettuato ci permette di capire quale sarebbe stato il comportamento dei senza lavoro nel caso in cui fosse stato loro offerto un salario inferiore all'ultimo percepito. Il 55 per cento dei disoccupati nella fascia di età dai 18 ai 50 anni dice che sarebbe stato disposto ad accettare una riduzione del 10 per cento del proprio salario se fosse potuto restare al proprio posto di lavoro. Con un cambio di professione questa percentuale sale al 65 per cento. Nella categoria sopra ai 50 anni questa disponibilità aumenta rispettivamente al 69 e 72 per cento. Se si va più in là, nel caso di una riduzione del 20 per cento di salario un disoccupato su tre la accetterebbe se non avesse dovuto cambiare lavoro. Uno su due accetterebbe una busta paga del 20 per cento inferiore nel caso di un cambio di datore di lavoro. Anche se non esistono dei confronti possibili con il mondo degli occupati, è chiaro che accettare una tale riduzione del proprio reddito significhi subire un calo nella qualità delle propria vita.
Avete preso un campione di 124 persone disoccupate del Bellinzonese. Vi si potrebbe muovere la critica che lo studio non è rappresentativo della realtà cantonale.
Non è una critica. È la verità. Questa ricerca è un tipo di inchiesta interessante e innovativa, ma che necessita di un grande lavoro. Avendo intervistato personalmente i 124 senza lavoro, si riescono ad ottenere meno dati ma di qualità migliore. Inoltre l'80 per cento delle persone intervistate avevano basse qualifiche. Per loro forse è più obbligatorio accettare la mobilità per rapporto a chi ha un maggiore potere contrattuale e un lavoro. Detto ciò ritengo comunque che la disponibilità di vedersi diminuire il salario a patto di poter continuare  a lavorare potrebbe diventare una realtà,  un fenomeno, che soprattutto in una dimensione sociologica, può essere interpretato come preoccupante. Questa flessibilità ad accettare peggiori condizioni lavorative può essere interpretato come un segnale d'allarme sull'attuale mondo del lavoro. La ricerca potrebbe o forse dovrebbe essere estesa anche alle altre zone del Ticino qualora ci si interessi ad approfondire veramente quella che viene definita vagamente "flessibilità".

Pubblicato il 

18.01.08

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