Quando ancora insegnavo mi capitava spesso, di mattina, di incontrare su una delle scale che portano al palazzo scolastico un matto. Un matto: proprio così. Un matto nel senso di una persona estrosa, di quelli che una volta erano detti “artisti”.


Il matto – non ho mai saputo come si chiamasse – , sessant’anni suppergiù, magro come un chiodo, i pantaloni al polpaccio sorretti da un paio di bretelle viola e la camicia vistosa, mi si parava davanti in cima alla scala impedendomi il passaggio. Poi, quando riteneva di essere sufficientemente vicino mi diceva con estrema serietà: “Vedi, tu, se devi fare 6 per 4 fai 6 per 4 uguale 24 ed è finita lì, giusto?” “Giusto.” “Io invece devo fare 6 + 6 + 6 + 6 e non devo sbagliare a sommare sennò poi mi mancano le dita per completare il calcolo.” Finita la frase, mi lasciava insalutato ospite e partiva con una certa urgenza verso il grande magazzino, dove comperava la sua confezione multipla di bibite: otto o dieci lattine di birra come se dovesse attraversare ogni giorno un suo piccolo deserto urbano.


Mi sono sempre piaciuti i matti perché sono persone libere: dirette e libere come i bambini, quelli veri, che hanno sempre e soltanto per la testa domande inevase e nessuna risposta.


C’è una che, come quello delle caselline, vive da anni all’Ospedale Neuropsichiatrico. È da una vita che gira per il parco del nosocomio vestita elegante e intonata: gonna lunga e cappellino. E ogni volta che la incrocio non perde occasione di chiedermi un favore, lo stesso favore, da sempre. Cioè di spedirle una certa lettera che reca sempre in borsetta. È una lettera d’amore della quale mi ha fatto leggere alcune righe. È una cosa a suo modo patetica e struggente, che però non è mai stata imbucata. Anche stavolta le ho promesso che sarei passato alla posta, poi ancora una volta sono partito dal Neuro a mani vuote.


Il Neuro, che oggi si chiama Organizzazione Sociopsichiatrica Cantonale, come molti sapranno è a Mendrisio. Confina con il Liceo, con la Scuola Media e con la Scuola per gli Apprendisti. Dispone di un ampio parco verde aperto al pubblico.


Con gli anni il Neuro è diventato una struttura aperta. Basaglia ha fatto scuola anche a Mendrisio. Basaglia, per chi non lo sapesse, è il medico che per primo concepì e mise in atto la riforma della cura psichica in Italia proponendo una terapia che andasse oltre la logica manicomiale, favorendo l’integrazione sociale del malato. In realtà l’integrazione ancora non è stata realizzata. Direi anzi che invece è nata una nuova ghettizzazione: una ghettizzazione di altro tipo per cui, pur stando fuori dall’ospedale, i pazienti psichiatrici continuano a vivere ai margini del sociale. Passano tutto il giorno da una panchina all’altra chiedendo un obolo per soddisfare le loro piccole grandi dipendenze. Pur continuando a esercitare il loro fascino di capolavori inutili come li definì Giorgio Manganelli, ma senza poter guarire mai quella ferita profonda dell’anima che è la malattia mentale.

Pubblicato il 

16.12.15
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