Calmatosi il clamore mediatico, vorrei analizzare a mente un po’ più fredda la scelta del Conclave il mese scorso. Dico subito che credo molto poco alle svariate storielle che ci sono state propinate per spiegare come mai è stato scelto il cardinale Bergoglio. Pensando all’esperienza millenaria della Chiesa nel fare le scelte politiche adeguate al momento storico, sono convinto che due siano le ragioni che principalmente hanno portato a questa nomina.

 

La prima ha a che fare con la svolta a sinistra avvenuta in America latina negli ultimi 15 anni e che, sotto la spinta dell’asse Caracas-Avana, sta facendo nascere un po’ dappertutto non solo governi perlomeno di centro-sinistra, ma sta anche ispirando a livello popolare la speranza di un socialismo del ventunesimo secolo di stampo latino-americano. Il calvario di Chávez, vissuto da molti venezuelani, ma anche da altri, quasi come quello di un uomo che ha sacrificato la propria salute alla rivoluzione, ne potrebbe fare addirittura un secondo Che.

 

Per la Chiesa era quindi necessario avere un papa carismatico, che facesse della lotta alla povertà l’asse portante del suo papato, dimostrando però che ciò si può fare anche da posizioni ideologiche conservatrici ed anti-socialiste. E chi meglio del cardinale Bergoglio poteva assumere questo ruolo? Mi viene in mente il paragone con la scelta di papa Wojtyla: a quel momento, quando il blocco sovietico cominciava a scricchiolare, lo si scelse anche per “far saltare il sistema”, cosa che è poi puntualmente avvenuta.
Ma c’è una seconda ragione, di cui poco si è parlato. Mi rifaccio ad un colloquio che ho avuto qualche anno fa con il cardinale Ortega, all’Avana. Lui mi diceva: “Per noi Fidel, con quale possiamo sempre arrangiarci, è un problema meno grave che non le sette evangeliche che stanno invadendo l’isola”. E le sette protestanti nordamericane stanno proliferando in tutta l’America latina: basti pensare al Brasile, dove hanno già giocato un ruolo nelle contese elettorali. Per la Chiesa cattolica, l’America latina è sempre stata il “cortile di casa”: bisogna quindi difenderlo ad ogni costo.

 

Il teatro mediatico ha anche ben presto fatto dimenticare la polemica sui rapporti che l’allora priore dei gesuiti Bergoglio avrebbe avuto con la giunta militare argentina. In gioventù padre Bergoglio era stato legato all’estrema destra peronista, e quest’ultima aveva poi aperto la porta ai massacri dei generali. Sembra anche assodato che non sia intervenuto a difendere due sacerdoti gesuiti (Jorio e Yalics), a lungo sequestrati e torturati dall’esercito. Il premio Nobel per la pace Pérez Esquivel, dopo un primo comunicato positivo, si è poi corretto dicendo che bisogna “distinguere tra complicità e passività”. E quest’ultima sembrerebbe essere stata il suo atteggiamento a fronte di un comportamento chiaramente collaborazionista avuto da buona parte della gerarchia ecclesiastica argentina. Ma in questi giorni qualcuno ha detto che anche monsignor Romero proveniva dall’ala conservatrice e poi successe quello che tutti sappiamo.

 

C’è da sperare che questa conversione possa capitare anche a papa Francesco. Ad ogni modo, se continuerà a battere il chiodo della povertà e della giustizia sociale, non potrà che fare esplodere molte contraddizioni. Non è difatti con le ricette di destra, né tantomeno con quelle neoliberali, che si può combattere la povertà. E la carità, anche quella cristiana, può al massimo risolvere dei casi individuali. Se però i nullatenenti, sentendosi spalleggiati anche dal papa, si metteranno in moto, potremmo allora vederne delle belle…

 

Pubblicato il 

19.04.13

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