Il nopal è un cactus messicano. È parte della cultura popolare, simbolo di unione nazionale da quando il Messico respinse gli invasori spagnoli. Secondo la leggenda è dove Huitzilopochtli, divinità solare, disse alle genti azteche di fermarsi: quel posto fu chiamato Tenochtitlan, "luogo del cactus sulla roccia", poi diventato Città del Messico. L'utilizzo del nopal è tuttora vastissimo: in cucina, come bevanda, come rimedio naturale. Chiamato anche cactus anti fame, per le sue qualità. Adan Espinoza è un venditore di nopales. Meglio, era. La sua vita l'ha condivisa tra la vendita della preziosa pianta e la lotta politica contro le ingiustizie. Fin dagli anni 70 quando si batteva contro il caro affitti. Ora, purtroppo, il suo camion non viaggia più sulle polverose strade messicane.

Adan Espinoza, una moglie e due figli, è un uomo in fuga. Fugge dalla violenza dello Stato che negli ultimi mesi contro le lotte popolari di Atenco, Oaxaca e Michoacan ha provocato 30 morti, numerosi desaparesidos, torture, violenze sulle donne e tantissimi prigionieri politici. Attualmente l'attenzione della società civile è concentrata sulla liberazione dei prigionieri ma nell'oscurità e nelle pieghe della Repubblica si muovono i ricercati clandestini. Solo per Atenco sono 5. Adan è uno di loro. Le sue imputazioni sono di appartenere all'Eta (per una visita in Europa incontrando José Bové), sequestro, sedizione, attacco alle vie di comunicazione e furto. Rischia più di 60 anni.
La sua voce trasmette dignità e coraggio ancestrale ma la sua realtà è fatta di paura, dolore fisico e mentale, sospetto, abbandono, solitudine. Ma Adan Espinoza ha scelto di rompere il silenzio. Per diffondere quello che sta succedendo in Messico e per denunciare la violenta repressione che sta ferendo il suo paese. Convinto che occorra dare un'altra visione ai tanti visitatori stranieri che affollano le spiagge e le rovine maya e che vedono la povertà e l'esclusione, che sempre più abbondano in queste terre, come parte dell'orizzonte. Quasi che questo sia il loro destino.
Adan Espinoza era uno dei portavoce del Frente de Difensa de los Pueblos di San Salvador Atenco. Quello che nel 2002 otteneva la prima vittoria contro il neoliberismo mondiale, opponendosi al furto di terre che lo Stato messicano voleva espropriare per costruire un aeroporto internazionale. La vittoria, ai campesinos di Atenco, l'hanno voluta far pagare. Adan è stato arrestato, massacrato di botte, torturato e poi rilasciato.
Evidentemente non bastava. Quando, durante il 2005, il Frente ha appoggiato la rivendicazione dei fioristi di Texcoco che non volevano abbandonare i propri spazi per consegnarli alla costruzione di uno dei tanti non-luoghi della modernità, un supermercato Wall Mart, la vendetta dello Stato è arrivata, pianificata perfettamente. L'accordo con i rappresentanti governativi che permetteva ai fioristi di restare al proprio posto dietro compenso, è stato aggirato lasciando il posto all'aggessione polizesca. La reazione solidale dei campesinos fu forte e senza mezzi termini come insegna la storia delle ribellioni messicane. Blocchi di strade, sequestri di poliziotti, scontri violenti con le forze dell'ordine che per ben tre volte furono messe in fuga. Il dialogo si ruppe, le parti si irrigidirono nonostante fosse ribadita dai fioristi la volontà di trovare degli accordi. Furono rilasciati i poliziotti presi, loro stessi, secondo Adan, «figli del popolo manipolati dal potere», ma la risposta fu il massacro. Un bagno di sangue con l'esercito che entrò in più di 50 case picchiando, bastonando, stuprando. L'alba di quel triste giorno si portò dietro due morti (uno minorenne, l'altro poco più di 20 anni) e tanti feriti nel corpo e nell'anima. I mezzi di comunicazione da parte loro appoggiarono la repressione governativa con una campagna di disinformazione che omise immagini e fatti. Tutto programmato per cambiare prospettiva. I delinquenti sono coloro che difendono le proprie terre, la propria vita.
Ora Adan cerca appoggi, chiede di non essere dimenticato, invita alla solidarietà incondizionata, lancia messaggi di lotta e speranza. Non crede più nei governi. È convinto che per governare il popolo non sia necessaria nessuna carica pubblica ma buona fede e abnegazione. In un Messico ancora fresco dei brogli elettorali denuncia l'inganno delle elezioni di una presunta democrazia che serve solo ad arricchirsi alle spalle del popolo, mentre esso muore di fame.
In questa tragica vicenda un ruolo chiave lo rivestono le donne. Nella storia delle violenze latinoamericane, già dall'arrivo dei conquistadores spagnoli, esse sono da sempre il "bottino di guerra". Oltre alla ferita profonda a coloro che da sempre sono il centro della vita sociale messicana, il perpetrarsi della violenza è una sorta di prolungamento della vendetta verso gli uomini, in una società tradizionalmente machista. Gli stupri subiti dalle mujeres di Atenco rappresentano quindi agli occhi del maschio messicano un doppio affronto. Tradizionalmente a loro difesa con ogni mezzo possibile li vivono come un'ulteriore intimidazione. Sono però la forza e la dignità delle donne stesse a dare un'altra risposta. Rimettendosi in prima persona nella lotta, decidono di opporsi alle ingiustizie, diventando il punto di riferimento per tutta la comunità.
Il 29 novembre scorso la giudice incaricata di seguire il processo degli arrestati è stata dichiarata incompetente una seconda volta. Avrebbe dovuto essere l'occasione per rilasciare i detenuti ma ciò non è avvenuto e le frizioni continuano. Tensioni alimentate dalle infiltrazioni, dai tentativi di rompere l'unità di un intero movimento popolare. Ad Atenco, come a Oaxaca, le persone che scendono in strada a prendersi gas lacrimogeni e bastonate sono infatti persone perfettamente normali, stufe di subire l'arroganza e il saccheggio del potere. La pesante vendetta dello Stato ha sicuramente influito ma qui non si dimentica la vittoria contro la costruzione dell'aeroporto che ha dimostrato che l'unione e la lotta attiva pagano.Negli ultimi anni il Messico, dipinto dai depliant turistici come un'oasi di benessere e tranquillità, è una polveriera pronta a esplodere. Seguendo il classico itinerario turistico si può evitare il confronto con il malessere sociale, anche se diventa sempre più difficile non prestare attenzione a un nuovo modello di società, costruito da uomini e donne, contadini e operai, studenti e maestri, bambini e anziani che camminano verso l'utopia di un nuovo mondo possibile.
Di questo Adan è certo e dalla clandestinità ribadisce il suo grido di denuncia e di speranza con la certezza che un giorno sarà di nuovo alla guida del suo camion e della lotta a diffondere la cultura del nopal e della rebeldia. «Chi resiste vince, chi dispera perde», le sue ultime parole prima di riprendere il cammino dell'oscurità.

Pubblicato il 

16.03.07

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