“È più divertente che andare a Disneyland”. Queste le parole pronunciate, tra le altre, da un giovane europeo affiliato all’Isis in uno dei video propagandistici che girano nella rete.


Parole che mi hanno colpito molto per le implicazioni culturali, ma oserei dire anche filosofiche, che sottintendevano. Parole che per questa loro valenza complessa ho voluto condividere con i miei allievi durante una pausa di mezzogiorno, sotto i raggi dei primi soli primaverili.
E contrariamente alle mie attese (quanti stereotipi ci facciamo!) i miei ragazzi (tutti maschi inizialmente) non si sono chiamati fuori di fronte alla mia sollecitazione, sentendosi profondamente “altro”, come io mi aspettavo che fosse,  rispetto a questi giovani dell’Isis.


In generale il fatto che parecchi giovani europei partissero per andare a combattere con l’Isis e a compiere anche atti atroci e contro ogni logica umana, non era per loro così stupefacente. Potevano cioè capire, anche se non giustificare, queste loro scelte. E le ragioni le trovavano, con sfumature molto diverse tra loro, nelle tante difficoltà che molti giovani devono affrontare per trovare una ragione di vita, una motivazione per andare avanti. La grande assente nella vita di questi giovani (ma anche in quella di alcuni di loro, mi sento di poter aggiungere dopo aver visto la passione delle loro dichiarazioni!) era, a loro giudizio, la speranza.
La speranza di realizzare un obiettivo, un sogno o anche, e soprattutto, la speranza di poter dare, in un modo o nell’altro, un contributo attivo alla società in cui vivevano.


Per i miei ragazzi (restati solo in pochi a questo punto della discussione) il loro sentirsi parte della nostra società era dovuto soprattutto alla famiglia, alla piccola comunità locale in cui vivevano, per alcuni alla squadra sportiva o al gruppo musicale di cui facevano parte, solo per due di loro alla formazione che stavano facendo. Non era quindi per loro difficile capire come in una grande città, in zone periferiche e con famiglie spesso sfilacciate, magari anche con alle spalle una cultura solo malamente impastata con quella locale, potesse essere facile farsi sedurre anche dall’Isis. Perché (e lì sono rimasta proprio male!) a parte i soldi facili, non c’era nulla d’altro da cui farsi sedurre in questa società!

 

Anche se la discussione è poi proseguita sul senso particolare delle parole da cui eravamo partiti evocando Disneyland e sul fenomeno delle spose dell’Isis (discussione iniziatasi dopo che si erano unite a noi due “tostissime” ragazze e di cui vi racconterò magari in un’altra occasione), ancora una volta mi sono detta che come sinistra, come persone convinte di volere e dover cambiare questo nostro sistema di vita e di società, stavamo davvero sbagliando troppo. Perché? Siamo restati davvero così in pochi convinti di volerlo fare o forse anche noi siamo così sfiduciati nella realtà dei fatti da non riuscire più a offrire un sogno, una speranza possibile a nessuno, a noi stessi e soprattutto ai nostri giovani?  Ma anche in Europa (e la Grecia è lì a ricordarcelo!) quando ci si crede, quando si alza la testa e la voce per farsi sentire si può davvero tornare a essere convincenti!


E allora perché non ricominciare a farlo?

Pubblicato il 

18.03.15
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