Racial profiling

Non è la prima volta che in Svizzera un giudice debba occuparsi di un controllo di polizia su una persona di colore quale possibile violazione del divieto costituzionale di discriminazione razziale. Nei giorni scorsi il tribunale distrettuale di Zurigo ha assolto tre poliziotti per il fermo di un uomo di colore con problemi cardiaci che si era rifiutato di mostrare un documento. L’accusa era di abuso di autorità e messa in pericolo della vita altrui.

I fatti risalgono al 19 ottobre 2009. Tre agenti della polizia comunale di Zurigo (due uomini  e una donna) decisero di controllare un uomo di colore 36enne di origini nigeriane, Wilson A., che si trovava su un tram verso l’una di notte. Il controllato si mise a protestare, rifiutandosi di consegnare un documento, perché era l’unica persona di colore nel tram e si sentiva discriminato. In base all’atto d’accusa, i tre agenti fecero scendere Wilson A. dal tram, lo colpirono con diverse manganellate (una vertebra lombare rotta, colpi in faccia e al collo, uno stiramento alla coscia e una ferita a un ginocchio) e gli spruzzarono spray al pepe in faccia da breve distanza. Uno dei poliziotti avrebbe esclamato: “Torna in Africa, africano di merda”. L’uomo fu anche ammanettato e bloccato a terra, benché avesse avvertito i poliziotti di aver subìto un’operazione al cuore e che perciò non potevano trattarlo in quel modo. I medici hanno poi annotato che ogni violenza fisica su un paziente cardiopatico come Wilson A. potrebbe avere conseguenze fatali.


Lo svizzero-nigeriano decise quindi di difendersi ricorrendo alle vie legali. Ma il ministero pubblico, secondo la ricostruzione dell’Arp (Alleanza contro il “racial profiling”), ha tentato tutto il possibile per chiudere rapidamente l’istruzione e archiviare il caso. «Questo è un tipico esempio» – ha scritto l’Arp in una sua presa di posizione – «di procedimento contro la polizia: una denuncia penale contro membri della polizia viene trattata da persone e da uffici che hanno una buona collaborazione quotidiana con gli accusati, o che dipendono dai superiori di questi ultimi. Inoltre, gli accertamenti durante l’indagine preliminare sono spesso insufficienti, poiché tra colleghi ci si protegge reciprocamente e si concorda, oppure perché il ministero pubblico non indaga con perseveranza. Solo grazie al meticoloso e tenace lavoro dell’avvocato di Wilson A. il suo caso è approdato ora, dopo 10 anni dal fatto, al tribunale distrettuale di Zurigo».


Nell’interrogatorio durante l’indagine preliminare i tre poliziotti hanno sostenuto che si trattava di una situazione d’emergenza, poiché l’uomo li avrebbe aggrediti. Uno di essi ha aggiunto di non aver mai visto qualcuno reagire contro i poliziotti come in occasione di quel controllo. Durante il quale, secondo i tre, non si sarebbe parlato di alcuna operazione al cuore. La situazione, per loro, era chiara: il nigeriano semplicemente non ha mostrato un suo documento e non c’è stata nessuna discussione specifica a causa del colore della pelle. Il controllo personale non è stato un capriccio dei poliziotti, e non era motivato né da razzismo né da alcun pregiudizio. Tirandola per le lunghe per nove anni, due volte il procuratore pubblico ha tentato di archiviare il procedimento contro i tre poliziotti, smentito prima dal tribunale cantonale, poi dal tribunale federale. L’accusa di messa in pericolo della vita altrui è stata presa in considerazione solo su insistenza della parte lesa, per cui il tribunale distrettuale ha interrotto il processo nel novembre 2016 raccomandando al ministero pubblico di integrare l’atto d’imputazione.


Alla ripresa del processo, il 10 aprile scorso, c’è stata davanti alla sede del tribunale una manifestazione dell’Arp, a dimostrazione della forte solidarietà che Wilson A. ha incontrato in buona parte dell’opinione pubblica. Alla prima udienza, poiché il procuratore pubblico si è schierato dalla parte dei poliziotti chiedendone l’assoluzione, è stato l’avvocato della vittima, Bruno Steiner, ad assumersi con un lungo intervento di diverse ore il ruolo dell’accusa, proponendo una condanna per tentato omicidio intenzionale e abuso di autorità. Ed ha anche chiesto la sostituzione del procuratore pubblico (una donna) per «forte ostilità» verso la parte lesa, per cui «un corretto processo è impossibile». Certo, il procuratore ha supposto che Wilson A. avesse «rinviato termini» e «girato a vuoto» per far cadere in prescrizione il procedimento contro di lui per violenza e minaccia verso i poliziotti; ma l’avvocato Steiner ha replicato che il suo assistito non ha agito per vendetta: ciò che lui vuole «è che finalmente si riconosca che esiste un problema di “racial profiling”».


Dopo una sospensione prodotta dalla richiesta dell’avvocato di Wilson A. di un’ulteriore perizia medica, il tribunale distrettuale si è pronunciato mercoledì 18 aprile respingendo tale richiesta e pronunciando una sentenza di assoluzione dei tre poliziotti. Secondo i giudici le prove a carico sarebbero insufficienti: le versioni delle due parti sono rimaste divergenti e le lesioni dell’accusatore non permetterebbero una chiara conclusione circa l’accaduto. Il tribunale ha comunque ritenuto più credibile la versione dei poliziotti, per cui ha deciso l’assoluzione degli imputati. Non si sarebbe inoltre trattato di “racial profiling” ma di un regolare controllo, poiché la segnalazione di Wilson A. sarebbe coincisa con quella di un ricercato, il che ha motivato il controllo di polizia.


Il verdetto è stato accolto con indignazione dall’Arp, che con circa duecento dimostranti ha seguito da vicino il processo. Il suo obiettivo è quello di ottenere un riconoscimento politico del ‘racial profiling’ e una riforma del sistema giudiziario che assicuri indagini indipendenti quando gli accusati sono dei poliziotti. «Ancora una volta» – ha detto Tarek Naguib, portavoce dell’Arp – «la fiducia nella giustizia è stata scossa. A quanto pare, il “racial profiling” non può esistere». Anche l’avvocato Steiner ha espresso la sua delusione: «Mi aspettavo una sentenza leale». Adesso, ha aggiunto, dovrà «riflettere attentamente» insieme al suo assistito se presentare ricorso.

Pubblicato il 

19.04.18
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