L'appuntamento è per sabato 17 marzo alle ore 14.00 in Waisenhausplatz a Berna. «Insieme per i diritti della comunità portoghese in Svizzera», recita lo slogan stampato sull'annuncio. Un breve testo spiega che sono circa 200 i dipendenti dello Stato portoghese che lavorano in Svizzera: collaboratori dell'ambasciata e dei consolati, ma anche personale insegnante. «Il brutale programma di risparmio ed il basso corso dell'euro rappresentano un problema esistenziale per gli impiegati portoghesi in Svizzera»: così il testo del volantino rivela il motivo della manifestazione. Una dimostrazione sindacale in piazza solo con 200 persone?

Rita Schiavi, membro della direzione di Unia e responsabile, tra l'altro, del gruppo d'interesse migrazione,  spiega che «verranno soprattutto dei genitori», perché «si tratta in primo luogo dei corsi di lingua e cultura, che da un lato vengono ridotti, mentre d'altra parte vengono tagliati gli stipendi degli insegnanti come pure degli impiegati consolari. E questo significa che insegnanti ed impiegati consolari non possono più vivere in Svizzera con i loro stipendi ridotti di quasi la metà». Si capisce subito che questa è una situazione drammatica, che accomuna  i dipendenti del Portogallo a quelli di altri Stati europei, come Italia, Grecia e Spagna, alle prese con enormi problemi di risanamento dei conti pubblici.
Quella dei portoghesi sembra però la situazione più disperata. Intanto, quanto guadagnano? «Mediamente, sui tremila franchi», spiega Rita Schiavi. «Alcuni anche meno; altri, quelli pagati bene, arrivano al massimo a 3'500 franchi». È vero che sono salari netti, perché imposte e assicurazioni sociali vengono pagate alla fonte, in Portogallo; ma vivere qui con la famiglia, disponendo solo di queste somme, è difficile. Sono salari versati in euro, che hanno già subito una decurtazione del 10 per cento imposta a tutti i dipendenti pubblici. Sommando questo taglio netto alla svalutazione dell'euro, si ha l'effetto di salari praticamente dimezzati. «Sono veramente disperati, non possono più vivere e sono costretti a lavorare in nero, perché effettivamente non ce la fanno più», aggiunge Schiavi. E quanti sono, per la precisione? «Gli impiegati consolari sono una cinquantina, gli insegnanti non so quanti siano esattamente, ma penso che alla manifestazione verranno ben più di 200 persone».
In effetti le misure di risparmio colpiscono un'intera comunità, poiché molte famiglie vorrebbero mandare i figli ai corsi di lingua e cultura. Ma questi corsi vengono ridotti «proprio mentre aumenta il numero dei portoghesi in Svizzera», spiega ancora Schiavi. «Come sindacato noi siamo interessati a questa situazione perché sono moltissimi i nostri soci portoghesi, che in Unia formano un gruppo quasi pari a quello degli italiani». Ma per il sindacato non è soltanto una questione di attenzione verso un particolare disagio socio-culturale: è anche una reazione politica, quasi automatica,  «perché qui c'è chiaramente il tentativo di diminuire il personale». Si tratta, in definitiva, di difendere salari e posti di lavoro.
Gli stessi salari e posti di lavoro messi in pericolo dagli altri Paesi europei con un forte debito pubblico. Tra i dipendenti dell'ambasciata e dei consolati d'Italia, per esempio, sono parecchi i "contrattisti" (cioè personale assunto localmente con contratti a tempo determinato) che incontrano le stesse difficoltà dei loro colleghi portoghesi. Uno di loro è Luigi Fiore, impiegato alla cancelleria consolare presso l'ambasciata a Berna. Nelle sue stesse condizioni ci sono in tutta la Svizzera altri 60-65 dipendenti consolari italiani. In passato – ci spiega Fiore – queste persone venivano assunte con un contratto  regolato dalla legge italiana e retribuite all'80-90 per cento di quanto corrisposto ai parigrado che venivano da Roma. Dal 2001 l'Italia ha deciso di assumere i contrattisti all'estero in base alle leggi e agli stipendi locali.
«Questo va bene», dice Fiore, «se poi gli stipendi vengono aggiornati all'evoluzione dei salari locali, ma non se vengono adeguati con cadenza decennale, a volte. Quindi, uno stipendio che poteva essere giusto all'inizio, non lo è più dopo molti anni di erosione del suo potere d'acquisto». Per di più, dal 2003 il governo italiano ha deciso di versare ai nuovi assunti stipendi e indennità in euro e non più in valuta locale, scaricando il rischio del cambio sui dipendenti. Allora il rapporto euro/franco era di circa 1:1,53, ma l'anno scorso si è sfiorata la parità. Questo significa che chi aveva un salario di 3.200 euro nel 2003 incassava sui cinquemila franchi, oggi gli va bene se di franchi ne prende 3.500.
Ma oltre il danno, qui si rischia anche la beffa, poiché come molte cose italiane anche questa vicenda è più complicata di quanto sembri e rischia di produrre effetti perversi. Luigi Fiore racconta che, sia come sindacato Unia, sia come Unsa/Confsal (Unione nazionale sindacati autonomi, che è il sindacato italiano più rappresentativo del personale del ministero degli esteri, insieme alla Uil/pubblica amministrazione), è stato segnalato al governo italiano che quella decisione di pagare i salari in euro è contraria alla legge che stabilisce di assumere e pagare i contrattisti all'estero in base alle norme ed alle valute locali. Adesso pare che quel parere sia stato recepito dal ministero,  ma si teme che sì, verranno pagati gli stipendi in franchi svizzeri, ma al cambio di oggi. E chissà quando si riparlerà di adeguamento.
Insomma, una situazione critica che si rispecchia anche nella quantità e qualità dei servizi che questo personale deve fornire alla collettività dei connazionali. Lo riconosce anche Sergio Pitton, coordinatore nazionale Unsa/Confsal. «Questa è per noi una preoccupazione», dice Pitton. «È evidente che il contenimento della spesa pubblica già da anni produce una contrazione del personale all'estero. Ed è altrettanto evidente che tutto questo si traduce di fatto in una capacità di far fronte ai servizi più difficoltosa. Le procedure sono diventate più articolate, mentre la misura più incisiva è il congelamento degli organici».
Non tutti i Paesi confrontati con le politiche di risparmio hanno però reagito allo stesso modo. La situazione è critica per gli italiani, ma drammatica per i portoghesi. «Il Portogallo è il Paese che ha operato il taglio più brutale dei salari», puntualizza Rita Schiavi, «invece gli spagnoli hanno un adeguamento dei salari al cambio euro/franco, e gli italiani hanno perso ma non tanto. Comunque», conclude la sindacalista,  «per noi questa cosa non va: le persone devono avere un salario con cui poter vivere decentemente in Svizzera». Ma intervenire quando si tratta di personale alle dipendenze di strutture diplomatiche è sempre molto difficile, anche per i sindacati.

Pubblicato il 

16.03.12

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