L'editoriale

Un pugno nello stomaco a tutti i lavoratori di questo paese che vivono sulla loro pelle un costante inasprimento delle condizioni d’impiego e di lavoro, una crescente pressione sui salari, la sostituzione della manodopera residente con lavoratori esteri sottopagati e il dilagare dello sfruttamento. Non può essere definito altrimenti il disegno dei due consiglieri federali liberali radicali Johann Schneider-Ammann e Ignazio Cassis di smantellare quelle poche misure di protezione dei diritti dei salariati, di cui la Svizzera si è dotata una ventina d’anni fa per attutire gli effetti “collaterali” dell’accordo sulla libera circolazione delle persone con l’Unione europea (Ue), in particolare per contrastare il dumping salariale.


Un disegno che ha preso forma nel bel mezzo dell’estate, ma che non è frutto di un colpo di calore, bensì di una volontà precisa di imprimere una nuova accelerata di stampo ultraliberista nel nostro (già povero) diritto del lavoro. E questo in totale sintonia con i desiderata della borghesia elvetica più dura “alla Martullo-Blocher” e dei vertici dell’Ue, adepti di un liberismo sfrenato e selvaggio. “Via i contratti collettivi”, “via i controlli”, “via le sanzioni” sono le loro parole d’ordine.


Parole d’ordine che ora il Consiglio federale, ormai a trazione Plr-Udc, sembra pronto a fare sue e a tradurre con la cancellazione di fatto di ogni misura di protezione dei salari. Anche grazie al ruolo determinante del ticinese Ignazio Cassis, che evidentemente ritiene di difendere gli interessi del suo cantone (tra i più esposti al degrado del mercato del lavoro) con la legge della giungla.


In un contesto in cui una parte del padronato approfitta massicciamente della libera circolazione per ridurre i salari e per mettere i lavoratori in concorrenza tra loro, le misure di protezione dei lavoratori andrebbero, al contrario, estese e rafforzate per impedire un ulteriore imbarbarimento. Questa è la via che da sempre indicano i sindacati (giustamente indisponibili a negoziare soluzioni al ribasso) e che oggi va ribadita con ancora più forza, perché la svolta ideologica impressa dai due ministri liberali-radicali, lascerà comunque il segno. Può anche essere che con la loro mossa abbiano voluto creare una rottura coi sindacati per avere una carta da giocare nell’ambito dei negoziati con Bruxelles sull’accordo quadro (nessuna intesa possibile senza il loro consenso e dunque senza misure di protezione dei salari), ma in ogni caso hanno sdoganato l’idea che per tutelare gli interessi generali della Svizzera (perfezionare le relazioni con l’Unione europea) si possano sacrificare i pochi diritti di cui godono i lavoratori. E se non sarà per questa volta, sarà per la prossima, penseranno.

Pubblicato il 

30.08.18
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