Parità

«Io l’8 ogni giorno», questo lo slogan delle donne Uss per l’8 marzo di quest’anno, perché «lo sforzo non finisce mai. La libertà non è mai definitiva, ogni generazione deve conquistarsela». E quindi l’appuntamento è per le 18 di giovedì 8 marzo a Bellinzona in Viale Stazione.

Hanno fatto scalpore, e in parte continuano a farlo, le molte denunce da parte di attrici del cinema americano, ma non solo, contro le molestie subite durante la loro carriera. Una serie di denunce che ha avuto quale effetto positivo di accendere i riflettori su un problema che si è rivelato più vasto di ciò che forse in tanti pensavano, quello della violenza (sotto varie forme) che le donne subiscono in molti ambiti della propria vita e della fatica quotidiana che sono chiamate a fare per autodeterminarsi. E questo indipendentemente da dove vivano, dal fatto che siano ricche o povere, istruite o meno, è una condizione generale. Ed è triste constatare come di fronte al fioccare delle denunce una parte dell’opinione pubblica abbia rovesciato la situazione facendo ricadere la colpa per le molestie subite sulle vittime stesse. Purtroppo è quello che succede anche alle non attrici: quante volte si sentono commenti sull’abbigliamento o l’atteggiamento di una donna che ha subito una violenza sessuale? Quasi se la fosse cercata, un atteggiamento che scoraggia chi denuncia o vorrebbe denunciare.


Le forme di violenza sulle donne sono molteplici e vanno dalle battutine sessiste, magari fatte anche ingenuamente, fino al femminicidio, passando per molestie di vario genere, abusi e violenza fisica. Le battute sessiste non vanno sottovalutate, sono la base sulla quale si costruisce una cultura che giustifica queste violenze: una bambina che cresce sentendosi in dovere di ridere di qualcosa che in realtà la umilia crederà che è giusto che venga umiliata, perché lei è femmina.


Scoraggiante anche il fatto che teatro di violenze anche gravi siano spesso i luoghi nei quali una persona dovrebbe sentirsi protetta: la famiglia, le relazioni di coppia, la scuola e anche il posto di lavoro, dove i rapporti dovrebbero basarsi sul rispetto reciproco. In Svizzera nel 2016 i reati registrati nella categoria “violenza domestica” sono stati 17.687 e hanno causato 19 decessi, nel 95% dei casi le vittime erano donne. Nel solo Ticino ogni giorno la polizia riceve in media tre segnalazioni per violenza domestica. Spesso a scatenarne le forme più gravi è proprio la volontà della donna di interrompere una relazione, a volte proprio a causa della violenza già presente. Donne picchiate e/o uccise perché vogliono sottrarsi all’autorità maschile, che si ribellano, che vogliono affermare la propria libertà.


La violenza non è però solo fatta di botte, soprusi, insulti e omicidi. C’è un’altra violenza, più subdola, alla quale le donne sono confrontate ogni giorno, quella dell’ineguaglianza, in vari ambiti. Ad esempio nel mondo del lavoro, dove svolgono generalmente professioni meno qualificate e con salari più bassi rispetto agli uomini, lavorano più spesso di loro a tempo parziale, su chiamata o con contratti atipici, e questo non sempre in un’ottica di conciliazione lavoro-famiglia. Famiglia della quale comunque, pur lavorando, è la donna ad occuparsene svolgendo i compiti di cura dei figli e della casa con un carico di lavoro che a volte diventa eccessivo e molto logorante.

 

Nel 2016 in Svizzera le donne hanno dedicato 56 miliardi di ore al lavoro domestico, gratuito e non riconosciuto. Questo dato di fatto le mette spesso in una situazione di dipendenza dal partner, non permettendo loro di avere una vera indipendenza economica. Infatti, coloro che si ritrovano a vivere in economie domestiche monoparentali sono più a rischio di povertà, economica e sociale. Senza contare che il divario salariale per un lavoro di ugual valore è ancora del 16,5 per cento in Svizzera e non ci sono ad oggi misure concrete che mostrino una reale volontà politica di cambiare le cose (vedi articolo sotto).
Essere donne in Svizzera nel 2018 non dà ancora le stesse chance di riuscire nella vita che hanno gli uomini, la parità è tutt’altro che raggiunta e a volte non ce ne rendiamo neanche conto o peggio alimentiamo noi stesse questa visione della società che vuole la donna in una posizione di inferiorità. Essere femminista non significa odiare gli uomini. Essere femminista non è il femminile di maschilista. Essere femminista vuol dire non accettare questo stato di cose e lottare per eliminare queste ineguaglianze di genere. E soprattutto: per essere femministi non occorre essere donne perché il femminismo non è una questione di genere. E allora tutti uniti questo 8 marzo scendiamo nelle strade e nelle piazze della Svizzera per dire basta.

Pubblicato il 

01.03.18
Nessun articolo correlato