Ci sono stati anche dei momenti peggiori, senza dubbio, ma quello attuale non è certo da annoverare tra i migliori. E le prospettive non sono per niente rallegranti. La barca della società naviga in acque limacciose. Il rischio di derive devastanti è grande, per certi versi già in corso d’opera.
L’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti, non fosse altro per la grande mediatizzazione dell’evento data dall’enorme importanza della posta in gioco (si doveva pur sempre decidere a chi consegnare le chiavi del comando della superpotenza americana), ha solo accentuato un fenomeno che si sta ben radicando anche al di qua dell’Oceano: la protesta popolare contro classi politiche dirigenti incapaci di contrastare un sistema economico e finanziario globalizzato che ha impoverito la produzione e arricchito la speculazione. Questa protesta esplode in maniera dirompente quando la gente viene chiamata ad esprimersi con il voto, ovvero tramite uno strumento assolutamente democratico ma non per questo sempre usato facendo prevalere la ragione.


Solo in Europa, gli esempi non mancano (la Brexit nel Regno Unito, la destra nazionalista al governo in Polonia e Ungheria) e le prospettive sono quantomeno preoccupanti se si pensa che Marine Le Pen potrebbe diventare presidente della Repubblica in Francia, che Norbert Hofer lo diventerà quasi certamente in Austria e che nel prossimo Parlamento della Germania si dovrà fare i conti anche con l’Alternative für Deutschland di Frauke Petry. Non fa eccezione la Svizzera (Ticino compreso), il cui baricentro politico si è decisamente spostato sulla destra.


Ma perché una situazione del genere, dal globale al locale, ha potuto prima formarsi e poi consolidarsi? Le ragioni sono molteplici. Voglio concentrarmi su una che mi sembra importante, ovvero la debolezza della controparte. Se la destra ha potuto crescere è perché ha potuto occupare, senza peraltro dover fare tanta fatica, lo spazio di una sinistra dimostratasi incapace di capire e rappresentare i bisogni della parte più debole, e quindi maggiormente a rischio, della società. Le fasce popolari si sentono tradite e a loro volta tradiscono, illudendosi di poter guarire il male con un rimedio ancor peggiore del male stesso. Una scelta non condivisibile, ovviamente, ma comprensibile. Quando il presente è nero e il futuro non lascia presagire niente di buono, quando vengono a mancare i punti di riferimento e d’appoggio su cui fare affidamento, ci si aggrappa a tutto pur di sopravvivere perché… peggio di così non può comunque andare.
È compito del sindacato colmare questa mancanza. Come lo è sempre stato. Per quanto riguarda specificamente Unia, i segnali che giungono dal recente congresso di Ginevra sono incoraggianti.

Pubblicato il 

23.11.16

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