Civiltà giudaico-cristiana, radicalismo islamico, valori occidentali, diritti umani, populismo ancora vincente: parole più grandi di chi le pronuncia, come quando si parla di manifestazioni culturali nei casinò (i Legnanesi, la Palmira) o di cultura tout court nella città che ha ridotto a puntello di un mastodontico albergo novecentesco una splendida chiesa bernardiniana e i cui abitanti sono orgogliosi di non dover pagare la tassa sul sacco delle immondizie.
E ragionamenti più grandi di chi li pensa, come quello di contrapporre “le due peggiori perversioni del XX secolo, il nazismo e lo stalinismo” al liberalismo, come se quest’ultimo fosse estraneo alla barbarie dello schiavismo e dei genocidi sistematici in Africa e in America e non fosse finito con la spaventosa carneficina della prima guerra mondiale.


Liberalismo come innocenza. Fosse come si voglia, era gagliardo, // prudente, liberal, cortese, umano... Non era certamente provvisto di tutte le virtù attribuite nell’Orlando Furioso ad Aldigieri di Chiaramonte l’equipaggio delle caravelle di Magellano giunte in vista delle isole che ora si chiamano Marianne il 6 marzo 1521, ma insomma fino a quel momento l’economia di mercato non aveva avuto il tempo di esplicare tutte le sue potenzialità. I marinai sono esausti, in buona parte malati, e hanno bisogno di acqua fresca, frutta e carne. Le tre navi si dirigono verso una baia che sembra accogliente. Mentre si preparano a gettare l’ancora, improvvisamente da riva partono canoe cariche di abitanti del posto nudi e senza armi, che si accostano rapidamente alle navi, salgono a bordo e si impadroniscono – evidentemente è loro estranea ogni nozione di proprietà privata – di tutto quello che trovano: attrezzi, corde, cianfrusaglie e perfino una scialuppa legata a poppa. Poi altrettanto rapidamente tornano a terra, felici del loro bottino. Magellano non può naturalmente accettare un tale attentato al patrimonio del re di Spagna, e il giorno seguente fa sbarcare quaranta uomini armati che, dopo aver fatto fuggire nei boschi gli indigeni terrorizzati, recuperano la scialuppa, incendiano alcune capanne e fanno incetta di tutti i viveri che riescono a trovare nelle abitazioni abbandonate, galline, maiali, frutta. Ben rifornite grazie alla razzia, le navi spagnole possono così proseguire nella loro rotta. Ma a quelle isole rimase il nome dato loro da Magellano: Islas de los Ladrones. Mentre i navigatori europei li chiamavano ladri, il regno di Spagna si stava appropriando non solo dei loro beni, ma anche della loro terra, della loro vita e della vita dei loro discendenti.


Vale almeno 1.000 franchi al metro il terreno di 100.000 metri quadri oggi occupato dalle Officine di Bellinzona. Come si permettono quegli incompetenti che non conoscono il valore dell’area di continuare a sollevare con il muletto ruote arrugginite, montare assi sui binari, stringere bulloni, saldare lamiere, verniciare vagoni, tutto materiale di poco valore, in una zona della città destinata a diventare un salotto scintillante per accogliere i turisti che arriveranno con l’apertura dell’Alptransit? Come si permettono addirittura di difendere il loro posto di lavoro? Oltre a tutto – aggiunge l’autore della lettera pubblicata su un nostro quotidiano la settimana scorsa –, se le Officine verranno spostate in una sede più confacente (cioè in un terreno di minor valore), le Ferrovie Federali potrebbero realizzare un buon utile. Far scomparire dalla vista chi vive di lavoro, comprare e vendere terreni, vivere di rendita: è perfettamente legittimo, conforme al Codice delle obbligazioni di uno Stato di diritto liberaldemocratico. È lo stesso linguaggio, cinque secoli dopo, delle lettere dei navigatori portoghesi e spagnoli ai loro re e regine, a cui promettevano guadagni strabilianti con l’imposizione dei dazi sulle spezie. Ma un po’ più ignobile.

Pubblicato il 

23.11.16

Rubrica

Nessun articolo correlato