amianto

Esponendo alle polveri di amianto un giovane lavoratore poi deceduto per un mesotelioma pleurico, alla Eternit di Niederurnen si è consumato il reato di omicidio colposo, è stata cioè causata la morte di una persona per negligenza. Ad affermarlo è, per la prima volta nella storia della giurisprudenza elvetica, il Tribunale federale (la massima istanza giudiziaria svizzera) in una recente sentenza destinata a fare storia e ad aprire uno spiraglio di speranza per molte vittime della polvere killer, cui la legge e la prassi restrittiva dei tribunali hanno sin qui negato ogni forma di giustizia.

Il caso che i giudici di Losanna erano chiamati a giudicare è quello di un uomo (classe 1958) che da ragazzino, all’età di 13-15 anni, lavorò durante le vacanze scolastiche (complessivamente per sole cinque settimane!) nello stabilimento glaronese della Eternit. Tra i suoi compiti vi era anche quello di smussare con un nastro abrasivo gli angoli di lastre d’amianto, un’operazione che produceva polvere. Polvere contenente le micidiali fibre che sono andate a depositarsi nei suoi polmoni e che molti anni dopo hanno scatenato la terribile malattia: era il novembre 2004 quando i medici gli diagnosticarono il mesotelioma pleurico che nel febbraio 2007, a soli 49 anni, lo portò alla morte.


Pochi mesi prima di morire, l’uomo fece richiesta all’Ufficio sociale del Canton Glarona di prestazioni di indennizzo e di riparazione morale appellandosi alla Legge concernente l’aiuto alle vittime di reati (Lav). Una legge (entrata in vigore nel 1991) che sancisce il diritto a varie forme di «aiuto» a «ogni persona la cui integrità fisica, psichica o sessuale è stata direttamente lesa a causa di un reato». Nel caso concreto, la vittima aveva fatto valere il fatto che la sua malattia fosse da ricondurre all’esposizione alle polveri d’amianto subita alla Eternit di Niederurnen.


Siccome in Svizzera le norme sulla prescrizione nel campo del diritto penale non consentono di fatto di celebrare processi (a differenza di quanto succede in Italia) e quelle relative al diritto contrattuale rendono assai difficoltoso l’ottenimento di risarcimenti, la via della Lav risultava nel caso concreto l’unica percorribile secondo il legale della vittima, l’avvocato zurighese Martin Hablützel. «Un processo penale – spiega ad area – non era ormai più possibile in quanto il termine di prescrizione inizia a decorrere dal momento in cui il reato viene commesso e non da quando si manifesta la conseguenza (cioè la malattia e la morte). E lo stesso vale per le pretese risarcitorie sul piano civile, che si estinguono dopo dieci anni dalla violazione dei doveri contrattuali».


Alla fine, la mossa legale si è rivelata vincente: il Tribunale federale ha confermato le tesi del legale e smentito su tutta la linea le autorità giudiziarie cantonali, che in prima e seconda istanza avevano negato ogni risarcimento ai sensi della Lav poiché «la morte non era né prevedibile né evitabile» e «nessuno si era reso colpevole di omicidio colposo».


Motivando la loro decisione, i giudici del Tf ricordano innanzitutto quelle che erano le conoscenze scientifiche dell’epoca (1972-1973) sulla correlazione tra esposizione all’amianto e mesotelioma: era nota sin dall’inizio degli anni Sessanta ed è stata confermata da tutti gli studi successivi. Tant’è che la grave forma tumorale è riconosciuta come “malattia professionale” sin dal 1971, come si sottolinea nella sentenza. Questo significa, argomentano i giudici di Losanna, che «i responsabili della Eternit AG erano consapevoli» che quel ragazzino «era esposto a tale rischio». La sua morte era dunque un evento «prevedibile».

 
Citando leggi e ordinanze che stabiliscono i doveri di un datore di lavoro nell’ambito della tutela della vita e della salute dei lavoratori e in particolare le norme speciali di protezione dei giovani, il Tf giunge poi alla conclusione che a quel giovane non si sarebbero nemmeno potute assegnare mansioni che comportassero  un elevato rischio di malattia. «Un rischio che era dato, come i responsabili della Eternit avrebbero dovuto sapere», si sottolinea. Facendo lavorare quel ragazzino poco più che 13 enne a contatto con la polvere d’amianto, essi hanno «infranto il loro dovere di diligenza».


«Le premesse della punibilità per omicidio colposo» risultano dunque date, affermano a chiare lettere i giudici. Il fatto che «oggi evidentemente non può più essere chiarito quali persone della Eternit AG furono responsabili per l’impiego del giovane lavoratore, è irrilevante». «L’aiuto alle vittime è un diritto che sussiste indipendentemente dal fatto che l’autore del reato sia stato individuato oppure no», conclude la sentenza con cui si ordina alle autorità cantonali glaronesi di valutare l’entità delle prestazioni a cui hanno diritto gli eredi della vittima. Vittima di un omicidio compiuto alla Eternit di Niederurnen.

Pubblicato il 

23.01.14

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