Migrazione

Sono definiti “minori non accompagnati” e nei documenti ufficiali vengono indicati con l’acronimo MNA. Sono bambini e adolescenti che, dopo averne viste di tutti i colori, sono giunti da soli in Ticino alla fine di un viaggio simile a una via crucis. Il travaglio sarà terminato? Una tesi di laurea della Supsi del 2015 evidenzia «un’impreparazione a livello istituzionale nell’accogliere minori non accompagnati». Con la raccomandazione di «rafforzare le competenze interculturali degli educatori».

Il fenomeno dei minorenni che emigrano soli è in continuo aumento in Europa e tocca pure la Svizzera, Canton Ticino compreso. Sono una settantina i giovani sotto i 18 anni distribuiti fra i due foyer della Croce Rossa cui il Cantone ha dato mandato: uno a Paradiso, aperto come progetto pilota nel 2015, e un secondo, visto che i numeri crescevano, qualche mese fa ad Arbedo-Castione, negli edifici che fino a poco tempo fa ospitavano gli operai del cantiere AlpTransit.


È un tema scottante quello legato ai migranti: è uno dei nodi cruciali delle politiche europee; è lo specchio dove il Vecchio Continente ha riflesso la sua incapacità nell’affrontare questa emergenza, non riuscendo a concertare risposte decenti e intelligenti.
I flussi migratori ci dicono essere quantitativamente importanti: si sentono un gran numero di cifre, ma poca è l’attenzione verso chi sta dietro a questi numeri. A questi uomini, a queste donne, a questi minori che dai, ammettiamolo, sono un gran bell’impiccio. Sono un problema: lì mettiamo qui o lì? E quanti soldi ci darà Berna? E i cittadini/elettori come reagiranno? «Si verifica una forte attenzione politica e mediatica nei confronti dei richiedenti l’asilo che risultano essere molto visibili e poco accettati. Questi ultimi si possono sentire rifiutati, giudicati, e di conseguenza mettere in atto dei meccanismi di difesa che possono ostacolare il processo di integrazione. Nascono così le basi che creano un circolo vizioso di non accettazione e non collaborazione tra migranti e popolazione locale, dando luce al fenomeno del capro espiatorio: il richiedente l’asilo incarna le paure legate alla situazione economica e i timori di tensioni sociali della società d’approdo. L’attribuzione di una totale responsabilità e colpa ai richiedenti l’asilo di quanto avviene sul territorio provoca da parte di alcuni gruppi politici la diffusione di sentimenti anti-straniero che si traducono in continue richieste di leggi più severe sull’asilo e più in generale sugli stranieri». Così Chantal Zucchetti, che ha presentato la sua tesi di bachelor, nel corso di laurea di “Lavoro sociale” alla Supsi proprio sul tema de I minori non accompagnati tra accoglienza, integrazione ed educazione. Una presa in carico particolare all’interno di un centro educativo per minorenni. Lo studio realizzato dall’educatrice sociale è relativamente fresco, non è dell’inizio del secolo scorso, per cui le problematiche riscontrate possono aiutare a contestualizzare la situazione.


Ora, lasciamo da parte per un attimo i richiedenti l’asilo e i migranti adulti, focalizziamoci sui minorenni. Se la nostra sensibilità atrofizzata ci permette ancora di comprendere il significato di minore. «La sfida maggiore è quella che i Mna riescano a integrarsi nel tessuto socioeconomico del nostro paese, attraverso il percorso educativo che intraprendono all’interno del foyer» leggiamo in un’intervista rilasciata nelle scorse settimane dai responsabili della Croce Rossa a un settimanale della Svizzera italiana. Già, ma come vivono questi bambini e adolescenti, pardon questi Mna, nella realtà locale? Come sono inseriti? Riescono davvero a integrarsi? «Sembra che questi giovani siano percepiti dalla società come richiedenti l’asilo prima che come minori bisognosi di cure e di protezione. Questa percezione sociale, abbinata a una scarsa conoscenza da parte del minore, rendono difficile il suo ambientamento nella società di approdo» continua Zucchetti.


Sono qui da noi, ma ben poco si sa di loro. Come per esempio che sono dei “giovani vecchi”, essendo dovuti crescere in fretta, seppur conservano ancora le fragilità dei loro coetanei. Quello che caratterizza i flussi migratori di Mna – evidenzia l’educatrice – è una condizione finanziaria precaria o un disagio a livello sociale che mette questi minori nella condizione di assumersi precocemente delle responsabilità per contribuire al sostentamento della famiglia. «La soluzione più praticabile, per quanto radicale, appare dunque essere la migrazione, con la possibilità di sostenere economicamente la famiglia rimasta a casa e di costruirsi opportunità di lavoro e di formazione professionale impensabili nel paese d’origine. Il compito cui sono chiamati questi adolescenti sancisce e concretizza comunque una dimensione presente in molti contesti culturali, il passaggio rapido dall’infanzia a un’età adulta, in cui farsi carico del proprio destino e del proprio futuro, senza più il sostegno e la protezione dei genitori o degli adulti della famiglia. Questi giovani giungono in un contesto nuovo che non riconosce le loro caratteristiche di “adulto responsabile” provocando un’ulteriore sfida di ridefinizione di sé stesso, oltre a quella già dettata dal percorso migratorio». Finisce così che questi minori, che fuggono in un viaggio che condizionerà per sempre la loro esistenza e per questo motivo devono essere supportati, dopo avere intrapreso un percorso difficile e ricco di pericoli, con l’obiettivo di avere prospettive di vita migliori di crescita e di formazione, si ritrovano invece confrontati con una realtà diversa che non permette loro di decidere in prima persona del loro futuro, ma che basa l’esperienza stessa sulla precarietà e sugli obblighi imposti dal luogo d’arrivo.


Da qui possono sorgere difficoltà con la stessa équipe che li segue: «Atteggiamenti scontrosi, poco collaborativi, sono dettati da una scarsa identificazione con il centro educativo e i suoi utenti probabilmente anche perché non compresi. L’aver vissuto una vita autonoma e responsabile, l’aver affrontato un viaggio insidioso e la padronanza di competenze ed esperienze poco riconosciute nel nostro contesto, rende i Mna sofferenti e delusi. Delusi dalla precarietà che si ritrovano a vivere quali richiedenti l’asilo e da una nostra non comprensione del loro valore e delle loro potenzialità, convalidata dall’offerta di attività e stimoli che non rispecchiano le loro esigenze e le loro aspettative» sottolinea Zucchetti.
Da qui la raccomandazione a sviluppare maggiormente sinergie fra tutti gli operatori che si occupano di questa casistica di minori: «La componente legata ai pregiudizi individuali e/o sociali, la sfida identitaria che si trovano a dover gestire i giovani migranti, il lavoro di rete tra servizi del settore presenti sul territorio possono influenzare o addirittura compromettere una relazione transculturale. La complessità della tematica e il lavoro svolto in una simile situazione di emergenza presuppongono un buon lavoro di rete e la presenza di strumenti, conoscenze e competenze approfondite».


Per l’educatrice questi ragazzi sono come degli “invisibili” dal punto di vista della possibilità di parola ed espressione «in quanto non hanno potere decisionale riguardo al loro percorso». D’altro canto però «è molto visibile la loro presenza ad esempio per il colore diverso della pelle, per la lingua differente e per gli usi e i costumi dissimili da quelli del nuovo contesto sociale.È dunque necessario disporre di forme di sostegno e di una presa in carico di questi giovani “migranti soli”, tenendo in considerazione possibili situazioni di fragilità psicologica e identitaria».
L’augurio è che le politiche messe in atto dal Canton Ticino si rivelino di integrazione e non di facciata per evitare di creare cittadini di serie B. Lo facciamo con le parole di Rita Bichi: ««A fronte di storie attraversate da tanta sofferenza, la speranza è ce tutti costoro, cresciuti soli, “vecchi del primo tempo”, sradicati dal loro ambiente di vita naturale, inaspriti dalla vana violenza, stanchi dalla vita e spaventati dai continui sconvolgimenti e da innumerevoli forme di privazione, possano trovare una “casa”, dove incontrare figure adulte capaci di aiutarli a far emergere le loro risorse e a trasformare le loro sofferenze in vite degne di essere vissute» scrive la ricercatrice in “Separated children, i minori stranieri non accompagnati” (Edizioni Franco Angeli).

Pubblicato il 

12.04.17