Per mesi la sua vicenda è stata il simbolo del riesplodere della violenza di estrema destra nella Repubblica federale, ora, dopo la conclusione del processo per l'aggressione ai danni di Ermyas Mulugeta, questa brutta storia è diventata lo specchio del disinteresse delle autorità tedesche, dalla politica alle forze dell'ordine alla magistratura, per la crescita della minaccia neonazista in Germania.

La notte di Pasqua del 2006 Mulugeta, trentottenne di origini etiopiche da anni residente a Potsdam, in Brandeburgo, era stato prima offeso con epiteti razzisti e quindi picchiato in modo talmente selvaggio dai suoi aggressori, da rimanere per settimane sospeso tra la vita e la morte. In un paese che proprio in quelle settimane si stava tirando a lucido per l'imminente inizio dei mondiali di calcio, quel pestaggio di stampo razzista, l'ultimo di una lunghissima serie, attirò, brevemente, l'attenzione dei mass media sulla pericolosità dell'estremismo di destra, specie nei Länder orientali. Persino la cancelliera Angela Merkel, di solito molto tiepida su questo tema, spese qualche parola di generica condanna. La sinistra, i verdi e il sindacato lanciarono un allarme sui rischi legati al neonazismo e qualcuno parlò di "No-go-areas", di regioni (orientali) del paese che gli stranieri avrebbero fatto meglio ad evitare, anche nel corso di un mondiale all'insegna del motto: «Ospiti a casa di amici». Le indagini sul caso Mulugeta portarono rapidamente all'individuazione di due sospetti, appartenenti, guarda caso, alla galassia dell'estrema destra. Contro i due, però, le prove non erano schiaccianti, da una parte per la mancanza di testimoni disposti a farsi avanti, dall'altra perché la deposizione dello stesso Mulugeta, risvegliatosi dal coma dopo molti giorni e in precarie condizioni di salute, era chiaramente lacunosa e a tratti contraddittoria. Così, anche per lo scarso impegno degli investigatori (le carte processuali parlano chiaramente di inquinamento della scena del crimine), si è arrivati, nei giorni scorsi, all'inevitabile assoluzione per mancanza di prove dei due imputati.
La storia di Ermyas Mulugeta ci dà la chiave per capire cosa sta succedendo in questi mesi in Germania. Anche i numeri parlano chiaro, basta volerli leggere. Secondo il Bundeskriminalamt, l'Ufficio criminale federale, nel solo 2006 i reati a carico dell'estrema destra sono stati oltre 18mila, il dato più alto dalla riunificazione, e ben il 50 per cento in più rispetto al 2004. Ma la cifra forse più preoccupante (in un mare di episodi di apologia del Terzo Reich, di negazionismo, di simboli proibiti e di "semplici" minacce a stranieri, nemici politici e omosessuali) è quella riguardante le aggressioni: 1.200 in un solo anno, a una media di quasi quattro al giorno. È sicuro, però, che molte violenze non vengano nemmeno denunciate per paura o per evitare guai di carattere amministrativo, se le vittime sono stranieri senza permesso di soggiorno o richiedenti asilo politico. Ma anche la scarsa fiducia nell'operato delle forze dell'ordine è spesso un argomento per non sporgere denuncia da parte delle vittime del terrore neonazista. E come dare loro torto, visto quello che è accaduto, ad esempio, la settimana scorsa ad Halberstadt in Sassonia-Anhalt, dove un gruppo di attori e musicisti di ritorno dalla rappresentazione del musical "Rocky Horror Picture Show" è stato aggredito da una squadraccia di naziskin. La polizia, intervenuta per altro con grave ritardo, si è rifiutata di fermare alcuni dei picchiatori ancora presenti sul luogo dell'aggressione, nonostante le vittime li avessero riconosciuti. Solo dopo la denuncia dell'accaduto da parte della stampa locale sono arrivati i primi arresti e si è iniziato a parlare di provvedimenti disciplinari nei confronti degli agenti. Mele marce? Forse, ma le accuse nei confronti della polizia di chiudere un occhio verso l'eversione di destra si fanno sempre più numerose. L'associazione "Gesicht zeigen!", fondata dall'ex portavoce di Gerhard Schröder, Uwe-Karsten Haye, e che si batte, all'Est come all'Ovest, per una mobilitazione della società civile contro il razzismo, segnala alcuni episodi in cui la polizia si sarebbe addirittura rifiutata di accogliere denunce di crimini di stampo razzista, motivando il rifiuto con frasi del tenore: «sono cose che capitano», oppure «anche a noi tedeschi può succedere di venire insultati, minacciati o picchiati». Del resto cosa ci si può aspettare da dei semplici agenti di pattuglia, se la loro guida politica, il ministro federale degli Interni Wolfgang Schäuble, in occasione dell'aggressione a Ermyas Mulugeta, minimizzò, dicendo che «anche a un tedesco biondo e con gli occhi azzurri può capitare di essere aggredito per strada di notte»?
Ignorare e minimizzare sembrano essere diventate appunto le parole d'ordine di molti politici, soprattutto in Länder come il Brandeburgo, il Mecclemburgo-Pomerania e la Sassonia-Anhalt. Per paura di dare un'immagine negativa delle proprie città e regioni (o perché in fin dei conti la distanza ideologica coi neonazisti della Npd e della Dvu per alcuni politici conservatori è davvero minima) molti amministratori locali decidono di "abbellire" le statistiche sui reati di estrema destra o archiviano gli stessi come gesti di giovanotti ubriachi e un po' maneschi. Ma c'è di più, come ha dimostrato di recente "Panorama", la trasmissione di approfondimento del primo canale della televisione pubblica tedesca. Secondo l'inchiesta televisiva, in Sassonia-Anhalt in almeno due casi i vertici della polizia avrebbero rimosso dai loro incarichi e trasferito a pattugliare il traffico degli agenti particolarmente caparbi ed efficaci nella lotta contro i neonazisti. «Non si deve sempre vedere tutto» e «non bisogna esagerare coi verbali, altrimenti che immagine diamo del nostro Land», le motivazioni addotte, a quanto sembra, dal capo della polizia di Dessau, terza città della regione, nell'allontanare i due poliziotti dalle loro inchieste sull'estrema destra.

Pubblicato il 

22.06.07

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