Torna all'ordine del giorno della sessione parlamentare di lunedì la trattanda che riguarda gli assicurati insolventi. Cioè quelle 8'500 persone che in Ticino non pagano il premio della cassa malati. Ma anche se di trattanda si tratta, c'è ben poco da trattare a questo punto. I giochi sembrano ormai fatti. Sugli effetti di questa scelta c'è chi – specialmente fra gli addetti ai lavori – si inquieta definendoli non solo antisociali, ma anche un boomerang per la salute dei pazienti morosi e delle finanze pubbliche. Già, perché già oggi c'è chi in farmacia non riceve più medicine. Gli operatori sociali si disperano alla ricerca di una soluzione per i loro utenti malati e insolventi (si veda l'articolo sotto). E per la prima volta area quantifica anche il buco che si sta generando nelle finanze degli enti più coinvolti.
Cerchiamo di capirci di più. Torniamo alla trattanda. A seguito della modifica della legge federale sulla Lamal – entrata in vigore all'inizio del 2006 – che riguarda la sospensione delle prestazioni da parte degli assicuratori a chi non ha pagato tutti gli arretrati (premi, spese di richiamo, interessi e franchigie) i Cantoni, oltre ad essere chiamati alla cassa, sono anche stati obbligati a prendere delle decisioni sull'applicazione della legge. Il problema è semplice: pagare o non pagare i premi agli 8'500 insolventi? Ginevra, ad esempio, ha deciso di continuare a pagare i premi a coloro che non erano in grado di far fronte alla spesa. Il parlamento ginevrino ha stimato che i costi che deriverebbero dalla scelta contraria sarebbero stati maggiori della spesa per i premi. E in Ticino?
In Ticino la maggioranza del Gran consiglio lo scorso gennaio ha deciso di "responsabilizzare" gli assicurati insolventi e di "scaricare una parte dei rischi imprenditoriali" sui fornitori di servizi. Il rapporto di maggioranza presentato allora, e sostenuto dalla compagine di centrodestra, prevedeva di stare alla finestra per 2 anni. Detto in altre parole: non saldare alcun conto per le persone sopra ai 18 anni e vedere alla fine del 2007 che cosa sarebbe successo. Non solo, il rapporto presentato da Mauro Dell'Ambrogio e da Francesca Lepori Colombo prevedeva di non pagare in ogni caso fino a 1'500 franchi le fatture. In questo modo una parte del rischio cade sulle spalle dei fornitori di prestazione: ospedali pubblici, cliniche private, medici, farmacie e altri enti. I quali perderebbero così 1'500 franchi nel verosimile caso in cui l'insolvente non potrà saldare il contro. Ma ognuno di loro può ed ha reagito in modo diverso. A questo punto la direttrice del Dipartimento sanità e socialità aveva rimandato sugli scranni del parlamento la decisione. Rifatti i compiti i granconsiglieri tornano lunedì con una nuova – e definitiva – proposta: stare alla finestra due anni e diminuire a 500 franchi il "rischio-responsabilità". Ma cosa cambia? Un bel gesto quello di scendere a 500 franchi. Non proprio, perché in realtà non cambia nulla dalla proposta precedente: perché chi era insolvente tale resterà. E intanto l'Ente ospedaliero cantonale comincia a mettere a preventivo le perdite previste. Farmacisti, cliniche privati e medici cominciano invece a tirare i remi in barca: chi glielo fa fare di perdere soldi?

Sono preoccupati gli operatori sociali. Da quando la Confederazione ha dato il via libera alle casse malattia per tagliare le prestazioni a chi non paga i premi, cioè dall'inizio del 2006, fino ad oggi, in cui il Gran Consiglio naviga a vista sul tema "assicurati insolventi", la situazione per chi opera sul campo è diventata difficile. Dopo un primo momento di titubanza a fine 2006 gli assicuratori hanno cominciato a scrivere le loro "liste nere". Il risultato è di 120 mila persone che in Svizzera, a causa degli scoperti, si vedono rifiutate le prestazioni della cassa malattia. In Ticino sono 8'500 i morosi.
La situazione è talmente critica che, ad esempio, il personale dell'Organizzazione sociopsichiatrica cantonale a Mendrisio ha deciso il 27 marzo scorso nel corso dell'assemblea del personale di emanare una risoluzione. C'è scritto: «La soluzione adottata dal Parlamento ticinese (cioè di stare alla finestra a vedere cosa succede a chi non paga, si veda anche l'articolo sopra, ndr) è tristemente ridicola e inadeguata a risolvere i bisogni di tanti malati». Ma anche all'Ospedale Civico e in altri enti c'è parecchio malumore.
«Giulia lascia stare per favore, dai la medicina scritta sulla ricetta», il farmacista è contrariato, ma questa volta non se la sente proprio di non dare la medicina regolarmente prescritta dal medico di famiglia al paziente. Lo conosce da 20 anni. È uno degli 8'500 insolventi che con ogni probabilità non potrà rifondere il dovuto, la sua cassa malati ha chiuso i rubinetti. Per il farmacista la perdita finanziaria è quasi sicura. L'operatrice sociale del luganese che ci accompagna l'aveva detto chiaramente: «siamo arrivati al punto che ci dobbiamo arrangiare in qualsiasi modo». In questo caso l'utente che soffre di un disturbo – che se non curato rischia di aggravarsi – è stato fortunato. Ma non fa sicuramente parte di quelle cure minime d'urgenza previste nella costituzione e nella legge sanitaria. Ma non vanno sempre bene le cose. L'operatrice ci racconta della difficoltà quotidiana che deve affrontare quando si tratta di pazienti con problemi economici che sono stati messi sulla lista nera delle casse malati: «non sono solo i farmacisti che non vogliono più fornire a gratis le medicine. Anche i medici privati e le cliniche private storcono sempre più il naso. Ci sono casi in cui devo lottare per far accettare l'utente. E sempre più spesso esco sconfitta».
L'operatrice ci sconsiglia di parlare direttamente con il paziente dei premi di cassa malati. Fanno parte degli stress che l'hanno portato allo stato attuale. «In clinica ci è finito anche per questo», ci ha spiegato. Non ha potuto far fronte alle bollette: prima pagava l'affitto, poi il cibo per la famiglia, il telefono, l'elettricità, i premi della cassa malattia dei due figli e le altre spese di prima necessità. Solo alla fine, se avanzava qualcosa, pagava il premio della moglie e il suo. Lo scoperto ammonta a diverse migliaia di franchi. Anche quando riprenderà il lavoro non sarà verosimilmente in grado di ripagare il dovuto in breve tempo. Intanto, per legge, le casse malati non forniranno alcuna prestazione fino a quando non rimborserà anche l'ultimo centesimo.
Un'altra operatrice del Mendrisiotto, attiva da 30 anni nel settore, si arrabbia quando le parliamo di coloro che potrebbero, ma che non vogliono pagare: «mi vergogno come svizzera di questi discorsi. Stiamo "americanizzando" il nostro sistema sociale. Io ci lavoro qui e di persone che fanno finta non ne ho incontrate. Vogliono colpire i furbi? In realtà ci vanno di mezzo i deboli. Ogni caso è diverso. C'è chi non è in grado di gestire le proprie finanze. Ci sono persone che non sanno come compilare la domanda di sussidio per la cassa malati, che non sanno da che parte prendere la dichiarazione d'imposte. Non stiamo parlando dei consiglieri federali che ricevono il sussidio della cassa malati. La cosa che mi preoccupa di più è che questo fenomeno sta prendendo sempre più piede. C'è un'ondata di esclusioni nelle assicurazioni sociali».


L'Eoc è a quota 1,3 milioni
Danilo Beffa,  vice-direttore dell'Ente ospedaliero cantonale (Eoc) e responsabile del settore finanze, controlling e informatica, non nasconde una certa preoccupazione per la situazione. Da quando ad inizio 2006 sono state sospese le prestazioni per chi non paga il premio cassa malati la fattura per gli ospedali pubblici non fa che crescere. «C'è poco da fare in questa situazione di stallo – ci ha detto il vice-direttore –. Ora stiamo discutendo di quale cifra mettere a preventivo per il 2008. Ma anche l'Eoc ha un credito quadriennale che deve rispettare».
Già oggi i dati – fino a metà marzo – indicano una fattura scoperta che ammonta a 1,3 milioni di franchi. 1'430 fatture non sono state pagate, i morosi in Ticino sono 8'500. «Non sono una sorpresa queste fatture scoperte  – spiega Danilo Beffa –. Sapevamo che quelle persone non avrebbero potuto pagare. Ma noi, come ospedale pubblico non possiamo rifiutare le cure a chi ne ha bisogno. Anche se si tratta di un assicurato insolvente. Per il momento siamo a 1,3 milioni di franchi. Ma la fattura è sicuramente da rivedere al rialzo. E noi, a differenza dei privati non possiamo reagire con la chiusura delle porte...».
Anche Mimi Lepori Bonetti, presidente dell'Associazione cliniche private Ticino, dice che anche il settore privato subisce delle perdite, ma che per il momento non è in grado di quantificarle: «quanto è nel pubblico? Mezzo milione? Ah, vedo che la cifra è cresciuta. Non è che noi del privato siamo cattivi. Solo che le nostre perdite non possiamo poi certamente andare a farcele rimborsare dallo Stato, a differenza dell'Eoc». Già: chi glielo fa fare a farmacisti, cliniche private e medici di prestare cure gratuitamente?
Gli operatori sociali (si veda l'articolo in pagina) definiscono la situazione critica. Una malattia che può essere non grave può degenerare per mancanza di cure tempestive per poi rientrare davvero in quei di "urgenza" – che lo Stato è tenuto a pagare anche se l'assicurato è insolvente – , e questa volta la fattura sarà molto più salata. Per il momento sta alla buona volontà e alle "capacità creative" dei singoli operatori sociali di trovare soluzioni adeguate. La maggioranza politica è lì alla finestra, ma neppure vuole guardare.

Pubblicato il 

22.06.07

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