Libera circolazione

Nei prossimi due anni il popolo svizzero sarà chiamato a prendere una serie di decisioni che determineranno le future relazioni tra il nostro paese e l'Unione europea (Ue). Al centro del dibattito il controverso accordo sulla libera circolazione delle persone e una sua estensione alla Croazia (l'ultima arrivata nell'Ue), su cui il Parlamento deciderà nel corso del 2014. Successivamente toccherà al popolo dire la sua, visto che il lancio di un referendum appare scontato. Resta ancora da definire la composizione dello schieramento che cercherà di contrastare questo processo. Voci molto critiche si levano dal sindacato Unia Ticino.

 

L'esperienza accumulata negli ultimi dieci anni e le distorsioni verificatesi nel mercato del lavoro suscitano dibattito anche in seno al Partito socialista (la formazione di governo tradizionalmente più filo-europeista) e all'interno del movimento sindacale. Nei giorni scorsi la direzione di Unia Ticino ha per esempio richiesto alle istanze nazionali dell'organizzazione di procedere a un'attenta analisi della situazione, di tracciare un bilancio sulla reale efficacia delle cosiddette “misure di accompagnamento” che sono state adottate per contrastare il dumping salariale, nonché di promuovere una consultazione tra tutti gli iscritti prima di decidere se appoggiare l'estensione dell'accordo alla Croazia. Area ne ha parlato con il segretario regionale Enrico Borelli, al quale abbiamo innanzitutto chiesto di illustrarci il contesto in cui si è sviluppata questa iniziativa:

 

«Unia Ticino, in occasione dell'ultima riunione del comitato direttore, ha tenuto un'approfondita discussione sulla situazione esplosiva che regna nel mercato del lavoro ticinese, trasformatosi nell'ultimo decennio in una sorta di giungla in cui a farla da padroni sono soggetti privi di scrupoli che violano sistematicamente il quadro legale e contrattuale, mettendo così i lavoratori in concorrenza tra loro. Tra i delegati sindacali e nella stragrande maggioranza dei salariati che operano in Ticino regna una fortissima preoccupazione.

Unia Ticino reputa pertanto indispensabile analizzare attentamente la situazione, anche perché le prossime decisioni che la Svizzera è chiamata a prendere rappresentano un crocevia rispetto alla tutela dei diritti dei lavoratori e alla tenuta del nostro mercato del lavoro nei prossimi dieci anni. Vista la posta in gioco, siamo anche del parere che la posizione del sindacato venga definita dall'insieme delle iscritte e degli iscritti di Unia».

 

Con questa analisi introduttiva lascia intendere che in Unia Ticino prevalga una posizione contraria all'estensione della libera circolazione alla Croazia?

Non sono in grado di rispondere perché non si è ancora tenuta alcuna votazione.

 

Qual è la sua posizione?

Il mio giudizio sulla libera circolazione è fortemente critico, perché l'accordo ha prodotto

un imbarbarimento delle condizioni di lavoro e le misure di accompagnamento contro il dumping si sono dimostrate totalmente inefficaci e inadeguate a contrastare le distorsioni prodotte dalla liberalizzazione del mercato del lavoro.

 

Dunque lei è contrario alla libera circolazione?

La libera circolazione, cioè il diritto di qualsiasi cittadino del mondo a stabilirsi e a lavorare in dove gli pare, è un principio inalienabile. Il problema è che la situazione prodottasi è un'altra: la presenza di lavoratori provenienti da paesi a 1000 chilometri di distanza chiamati per alcuni giorni in Svizzera per montare delle cucine o degli armadi e sottoposti a sfruttamento e a condizioni di lavoro inaccettabili non ha nulla a che fare con il diritto alla libera circolazione. Dobbiamo prendere atto che l'accordo con Bruxelles risponde prevalentemente agli interessi del padronato e della necessità di provare a negoziare nuove misure di accompagnamento, nettamente più incisive. Se ne sta discutendo in seno ad un gruppo di lavoro coordinato dalla Segreteria di Stato dell'economia, ma purtroppo, per quanto ne so, i padroni non manifestano alcuna disponibilità. Ovviamente, un giudizio definitivo potremo darlo solo a conclusione dei lavori. E poi dovremo prendere una decisione sul da farsi.

 

Quali misure andrebbero introdotte per scongiurare un referendum da parte sindacale?

Penso per esempio a un'estensione dei contratti collettivi, all'introduzione di un minimo salariale legale di 4'000 franchi, all'immediata interruzione dei lavori in presenza di sospetto dumping salariale, al potenziamento dei controlli, a un sensibile inasprimento delle sanzioni, al rafforzamento delle tutele contro i licenziamenti, a una compiuta applicazione del principio della responsabilità solidale in materia di subappalti, alla limitazione del lavoro interinale e al libero accesso delle organizzazioni sindacali sui luoghi di lavoro. Quest'ultima rivendicazione non dovrebbe nemmeno figurare nell'elenco e la sua presenza dà la misura di quanto drammatica sia la situazione. Soprattutto nella Svizzera tedesca, molti cantieri sono presidiati da agenti di sicurezza con cani da guardia che hanno il compito di impedire l'accesso ai sindacalisti e dunque, di fatto, di tutelare gli abusi che vengono perpetrati all'interno a danno soprattutto dei lavoratori distaccati. Una situazione assurda, che produce tensioni tra i lavoratori e che oltretutto alimentano la diffidenza nei confronti del sindacato, talvolta considerato complice di queste situazioni per le sue posizioni a sostegno della libera circolazione.

 

La difficoltà ad accedere ai cantieri non può però essere imputata alla libera circolazione. Non ci sono delle colpe anche dei sindacati?

Non si può parlare di “colpe”, ma si può dire che le organizzazioni sindacali negli ultimi anni non hanno saputo sviluppare dei rapporti di forza per contrastare certe derive. E questo vale in Svizzera, come in Ticino, come in Europa. Il contesto in cui agiamo è del resto difficile e non solo a causa della libera circolazione: abbiamo anche alle spalle vent'anni di offensiva neoliberale e dobbiamo fare i conti con la crisi profonda che investe i paesi a noi vicini (Italia in particolare) e dove si sono creati degli eserciti di manodopera di riserva che favoriscono la messa in concorrenza dei lavoratori da parte di un padronato sempre più spietato.

 

Il Partito socialista (Ps) e l'Unione sindacale svizzera (Uss) minacciano di contrastare l'estensione dell'accordo in caso di un mancato rafforzamento delle misure d'accompagnamento, ma molti osservatori si dicono convinti che alla fine in ogni caso la sosterranno. Anche lei la pensa così?

Nella sinistra e nel movimento sindacale le misure d'accompagnamento vengono quasi unanimemente giudicate insufficienti, ma le rivendicazioni andrebbero formulate in modo più chiaro. C'è poi un secondo problema: negli ultimi 10-15 anni il gruppo dirigente del Ps a livello nazionale e l'Uss si sono spinti troppo in là nell'avallare dal profilo strategico l'adozione della libera circolazione. Non credo dunque che a cinque minuti da mezzanotte decidano una sorta di abiura. In passato sono state fatte valutazioni totalmente errate: l'Europa veniva descritta come una realtà socialmente avanzata, ma oggi, di fronte a milioni di persone espulse dal ciclo produttivo e costrette a vivere in condizioni di miseria, ci rendiamo conto che le cose non stavano proprio così.

 

Resta il fatto che l'Ue non accetterebbe mai la discriminazione di uno stato membro e che pertanto un'eventuale bocciatura dell'estensione della libera circolazione alla Croazia farebbe scattare la cosiddetta “clausola ghigliottina” (che lega giuridicamente tutti i trattati facenti parte del primo pacchetto di accordi con l'Ue) e dunque la decadenza automatica non solo del trattato sulla libera circolazione, ma anche di quelli in materia di abolizione degli ostacoli tecnici al commercio, appalti pubblici, trasporti terrestri e aerei, agricoltura e ricerca. La Svizzera (dove un franco su tre è generato dal commercio con l'Ue) perderebbe così l'accesso privilegiato a un mercato di 500 milioni di consumatori. Non la spaventano le inevitabili ricadute che vi sarebbero sul piano economico e occupazionale?

Questa domanda evidenzia implicitamente l'esistenza di un problema di carattere democratico. Di fronte a una situazione tanto disastrosa che ha portato un malcostume di livello quasi inimmaginabile nel nostro mercato del lavoro, non si possono ricattare i cittadini in questo modo.

 

D'accordo, ma un isolamento della Svizzera avrebbe delle conseguenze...

Una Svizzera isolata nel centro dell'Europa non è uno scenario ipotizzabile. La borghesia elvetica ha evidentemente interesse a mantenere relazioni con i paesi dell'Unione (basti pensare al settore delle esportazioni), ma anche l'Ue ha interesse a mantenere le relazioni con la Svizzera, per ragioni sia di politica finanziaria sia di politica economica. Siamo pur sempre il quarto partner commerciale più importante per l'Ue dopo Usa Cina e Russia. In caso di decadenza dei bilaterali si tratterebbe di rinegoziare degli accordi con Bruxelles. Ma questo è un compito della classe dirigente, del Consiglio federale e dei diplomatici. E non del movimento sindacale, la cui priorità deve essere quella di provare a correggere le distorsioni venutesi a creare nel mercato del lavoro e che nel giro di dieci anni ci porterebbero ad uno stato di arbitrio generale.

 

Ma per un'organizzazione sindacale non sarebbe contraddittorio contribuire alla decadenza della libera circolazione e dunque anche di un principio condiviso?

Ripeto: nel sindacato nemmeno chi sostiene l'ipotesi di un referendum è contrario al principio della libera circolazione. Il problema è che siamo di fronte a una forma di libero sfruttamento dei lavoratori, sia di quelli residenti in Svizzera sia di quelli chiamati dall'estero. E noi a questo dobbiamo dire basta. Un nostro eventuale referendum si farebbe portatore di valori antitetici rispetto a quelli della destra, che è contraria sia al principio alla libera circolazione sia alle misure per contenerne gli effetti. Noi difendiamo i valori dell'internazionalismo e ci battiamo per un rafforzamento dei diritti dei salariati.

 

Ma il rafforzamento del diritto del lavoro è una questione interna. Come si può pensare di compiere passi in questa direzione magari dopo aver eventualmente a far decadere la libera circolazione?

Non dico che si verrebbe a creare una situazione facile. Ritengo però che in uno scenario nuovo potrebbero crearsi i presupposti per sviluppare un rapporto di forza col padronato più favorevole e ottenere misure più incisive. Il problema è che l'attuale diritto del lavoro non è in grado di assorbire i contraccolpi negativi causati dall'accordo.

 

Per lei entra in linea di conto la proposta della destra di reintroduzione dei contingenti?

Assolutamente no. Nessuno di noi vuole un ritorno al passato, al sistema barbaro e incivile degli stagionali. La risposta deve passare dal rafforzamento dei diritti sindacali, salariali e sociali all'interno del mercato del lavoro. E non certamente da una chiusura delle frontiere o dall'innalzamento di muri.

 

Più di un terzo degli affiliati a Unia Ticino sono frontalieri e molti altri sono stranieri. Una posizione contraria alla libera circolazione non rischierebbe di produrre incomprensioni con questi lavoratori?

Un'eventuale decisione di promuovere il referendum verrebbe presa seguendo un percorso democratico. Unia Ticino intende infatti promuovere una consultazione tra tutti gli iscritti, indipendentemente dalla loro nazionalità e dalla loro residenza. E poi, a pagare il prezzo più alto della libera circolazione sono proprio i lavoratori frontalieri e dai distaccati, che conoscono livelli di sfruttamento quasi inimmaginabili. Con il rafforzamento dei diritti si farebbero gli interessi di tutti.

 

Indipendentemente dalla decisione che sarà presa da Unia a livello nazionale, in Ticino verrà in tutti i casi promossa una consultazione della base?

Lo deciderà l'assemblea dei delegati di settimana prossima. Auspico di sì. E la decisione che ne scaturirà diventerà la posizione ufficiale di Unia Ticino.

 

È dunque ipotizzabile che Unia Ticino alla fine assuma una posizione che contrasta con quella di Unia Svizzera? Uno scenario che si verifica sovente nei partiti, ma piuttosto raro nei sindacati...

Come organizzazione di massa e democratica, Unia non è un monolite ed è normale che al suo interno possano coabitare posizioni differenti. Unia Ticino è da almeno una decina d'anni che manifesta maggiore scetticismo rispetto a Unia nazionale in materia di libera circolazione. Abbiamo una posizione più critica, forse anche figlia del contesto regionale in cui operiamo.

 

Allora anche nel sindacato si fa fatica a far capire la situazione drammatica che si vive in Ticino?

Questo lo potremo verificare nell'ambito del dibattito che si terrà nei prossimi mesi. Mi sembra abbastanza chiaro che noi manifestiamo sensibilità diverse rispetto al resto dell'organizzazione.

Pubblicato il 

21.11.13

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