È da una decina d'anni che i sindacati si stanno occupando in maniera importante del settore del commercio al dettaglio, e ora cominciano a vedere i primi risultati, anche se la strada è ancora lunga, come spiega ad area Enrico Borelli, responsabile per il settore terziario a Unia Ticino.

Enrico Borelli, come sono le condizioni di lavoro nel settore della vendita, in generale, e quali sono le differenze tra piccolo commercio e centri commerciali?
Sono sicuramente condizioni di lavoro dure, ma per quanto riguarda le differenze tra piccoli negozi e centri commerciali, da  osservatore esterno non ne vedo, a parte il tipo di rapporto con il datore di lavoro che nel primo caso è sicuramente più diretto che nel secondo. Quello del commercio al dettaglio è uno dei settori dove la produttività è cresciuta di più negli ultimi anni, ed è stata portata a livelli limite, in un contesto senza diritti collettivi di lavoro. Inoltre, in questo settore mancano gli stumenti di controllo per verificare l'applicazione dei contratti e di quello che è il quadro legale (è vero che c'è l'ispettorato che fa dei controlli puntuali, ma non è sufficiente rispetto a quella che sarebbe la reale necessità). Questo fa sì che ci sia un quadro d'illegalità sempre più diffusa. Inoltre è un settore dove i lavoratori sono spinti ad una produttività estrema e sono controllati sistematicamente.
In che senso sono controllati, su cosa?
Ad esempio sugli infortuni e la malattia: le aziende hanno delle strategie chiare per contenere al massimo le assenze e sempre più spesso le persone malate sono spinte ad andare a lavorare ugualmente. Poi, oltre al controllo delle assenze, cominciano ad inserirsi anche nuovi strumenti tecnologici che permettono una produttività migliore, ma che spingono il dipendente a lavorare in condizioni difficili. In alcune aziende sono stati introdotti degli auricolari attraverso i quali i lavoratori vengono diretti seguendo gli ordini di una voce elettronica, per velocizzare i tempi di lavoro. Un altro strumento di controllo è quello del mistery shopping, vale a dire un controllo sul livello di lavoro dei dipendenti, effettuato da finti clienti. Tutto ciò crea chiaramente delle situazioni di forte stress per il personale della vendita.
E il lavoro sindacale come si inserisce in questo contesto?
La presenza sindacale in questo settore è giovane: sono solo 10 – 15 anni che ci occupiamo della vendita e quindi siamo impegnati in quello che è un grosso lavoro di costruzione sindacale. Cominciamo a vedere i primi risultati positivi anche in Ticino, ma è chiaro che siamo ancora lontani dalle realtà che possiamo avere nei settori con una lunga tradizione.
Attualmente le aperture domenicali fanno molto discutere: c'è chi sostiene che è oramai indispensabile tenere aperti i negozi 7 giorni su 7, e chi invece, come il sindacato, ritiene che sia inaccettabile. Può spiegarci meglio perché ed eventualmente a quali condizioni potrebbe essere fattibile?
Bisogna cambiare questa logica della necessità di avere negozi aperti 7 giorni su 7 e porle un freno. Infatti ci si è resi conto che questa liberalizzazione non va a vantaggio di nessuno, se non di pochi soggetti della grande distribuzione. Grazie a questa presa di coscienza le opposizioni alle aperture domenicali cominciano a concretizzarsi: in Germania, ad esempio, la Corte costituzionale ha decretato l'illegalità del lavoro domenicale, e quindi anche in grandi città come Berlino i negozi non potranno più tenere aperto la domenica. In Italia le voci critiche che si levano contro il lavoro domenicale sono sempre più diffuse, dagli ambienti cattolici ai piccoli commercianti. Anche in Svizzera si comincia a dire di no: ad Argovia il popolo ha detto no a due aperture domenicali all'anno, nel Canton Vaud il Parlamento ha deciso di non entrare in materia sulla possibilità delle aperture domenicali, e così in una serie di altri Cantoni.
È oramai chiaro che fondamentalmente questa liberalizzazione ha portato una serie di problemi ai dipendenti (intaccando la loro vita sociale e famigliare), ma anche al piccolo commercio, che è stato schiacciato dalla grande distribuzione, e alla società più in generale. Inoltre, anche dal profilo economico le aperture domenicali si sono rivelate dannose, perché hanno delle ricadute importanti. Non c'è quindi nessuna ragione per la quale si debba continuare sulla strada delle aperture dei negozi 7 giorni su 7.
A volte i Ccl nel settore della vendita possono diventare uno strumento di "ricatto", nel senso che il datore di lavoro concede delle condizioni migliori, e in cambio il sindacato cede su altre questioni, come le aperture domenicali. Cosa ne pensa?
Direi che bisogna distinguere le due cose: da un lato c'è il problema che riguarda la deregolamentazione delle aperture dei negozi e dall'altro il  Contratto collettivo di lavoro. Personalmente non appoggio e non applico questo tipo di "ricatti" che portano ad una maggiore deregolamentazione degli orari d'apertura dei negozi, anche perché credo che gli orari non possano essere più deregolamentati di così.
Esiste invece la necessità di creare dei Ccl, e oggi è un paradosso che un settore  con un impatto economico notevole come quello della vendita, non abbia un contratto di categoria, né a livello nazionale, né a livello cantonale. Esistono dei contratti collettivi fatti da alcune aziende, ma non solo sono  veramente pochi, addirittura ce n'è solo uno che è stato sottoscritto da tutte le organizzazioni sindacali rappresentative e importanti della Svizzera: quello della Coop.
I centri commerciali uccidono il piccolo commercio, ma allo stesso tempo hanno spesso dei Ccl migliori rispetto ai piccoli commerci, che sono invece più restii all'introduzione di misure in favore del personale. In questo senso, il sindacato non dovrebbe preferire i centri commerciali ai piccoli negozi?
È chiaro che un discorso di costruzione sindacale bisogna svilupparlo nelle aziende principali, e le  aziende principali sono quelle della grande distribuzione, quindi da noi: Coop, Migros, Manor e i grandi centri commerciali in generale. Con ciò non voglio dire che non dobbiamo occuparci anche dei piccoli, ma è evidente che un radicamento della presenza dell'attività sindacale non  può che passare da un lavoro sindacale nelle aziende principali, che sono quelle che determinano la politica del settore. In questo senso, il grande lavoro lo svolgiamo nella grande distribuzione, ma siamo presenti  anche nelle realtà più piccole, perché non possiamo assolutamente sacrificare le une rispetto alle altre, altrimenti non riusciremmo a costruire una forza sindacale collettiva.

Pubblicato il 

09.07.10

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