La protesta

Come fanno i giornali a sapere tutto? Se ci riescono il merito in Svizzera è dell’ats, l’Agenzia telegrafica svizzera. Vale a dire una squadra di circa 150 giornalisti che a turni 24 ore su 24 e sette giorni su sette sforna centinaia di notizie sugli avvenimenti quotidiani nelle tre lingue nazionali. Martedì scorso per tre ore tutti hanno scioperato in segno di avvertimento per difendere il loro posto di lavoro, ma anche un servizio pubblico sempre più in pericolo.

 

«È un momento storico per il paesaggio mediatico svizzero», è stato sottolineato al termine di un’assemblea tenutasi a Berna dopo un breve corteo partito dalla sede centrale dell’agenzia, vicino alla stazione, verso il Mappamondo, un locale pieno di ricordi per la migrazione italiana locale. “Sad” è scritto sui cartelli dei manifestanti, parola inglese che si può tradurre in triste-grave-deplorevole, ottenuta spostando le ultime due lettere della sigla in tedesco, sda. “No fake news”, gridano altri striscioni, mentre sulle finestre della sede centrale grandi forbici simboleggiano i tagli annunciati dalla direzione (una quarantina su 150 posti di lavoro). I giornalisti, che hanno alle spalle giorni di incertezza e tensione, fanno sentire la loro rabbia e la loro determinazione a suon di fischietti. All’azione partecipano circa 200 persone: giornalisti, ma anche ex colleghi ed esponenti del mondo politico e culturale svizzero. È la prima volta nella sua lunga storia, cominciata nel 1895, che qualcuno incrocia le braccia all’ats.


Lavoratori nell’ombra
Sui quotidiani i nomi dei redattori non appaiono. I loro articoli portano in calce la semplice sigla ats. Praticamente tutti i media svizzeri sono abbonati al loro servizio, noto per correttezza e imparzialità. All’inizio dell’anno proprio loro si sono visti annunciare un radicale taglio degli effettivi. «Io tanto leggo “20 minuti”, mi dice la gente. Non si rende conto che le notizie di “20 minuti” sono redatte dall’ats», sottolinea tra gli applausi il consigliere nazionale bernese Matthias Aebischer (Ps), ex giornalista venuto a sostenere il movimento di protesta. Adesso, finalmente, tutta la Svizzera prende coscienza dell’importanza di questa sigla, che per la prima volta troneggia sulle colonne dei giornali e risuona nei servizi radiofonici o televisivi.


Nelle redazioni intanto non arrivano notizie e le pagine web, sempre impazienti di novità, si arrabattano come possono. Il servizio di lingua italiana è completamente muto, proprio nelle ore in cui è solito sfornare di più. Durante l’assemblea si percepisce una tensione nell’aria. Mentre gli oratori si alternano portando solidarietà, alcuni redattori si allontanano. «Vado a vedere che cosa mi aspetta», affermano preoccupati, ma contenti che stia per finire l’incubo della logorante incertezza che dura da settimane. La direzione li informa, durante un breve colloquio, sul loro destino. Qualcuno torna sollevato, altri si sono visti annunciare la riduzione del tempo di lavoro o persino il licenziamento. Per i più anziani (donne con più di 60 anni e uomini a partire da 61) si parla di prepensionamento, ma a condizioni che per il momento non soddisfano. Il taglio complessivo interessa effettivamente oltre 80 persone.


Redazione italiana declassata
Inoltre, i giornalisti di lingua italiana, una ventina di persone, hanno scoperto che la loro redazione, da sempre autonoma, indipendente dalle altre lingue e con un proprio responsabile, viene declassata e sta per finire sotto l’ala protettiva dei colleghi francesi. «Tale declassamento è in contraddizione con gli sforzi intrapresi negli ultimi anni … per migliorare i contatti fra la Svizzera italiana e il resto del paese», scrivono nella missiva indirizzata a governo e autorità ticinesi e grigionesi. In gioco quindi non vi è solo il taglio dei posti di lavoro, ma l’equilibrio stesso tra le lingue nazionali.


A Bellinzona la palla rimbalza in Gran Consiglio, dove Matteo Pronzini (Mps) chiede elucidazioni in merito al Governo. Il consigliere nazionale Marco Romano (Ppd) promette di intervenire a Berna e il collega Martin Candinas dai Grigioni sottolinea che se si «tocca l’ats si tocca la coesione nazionale». Il messaggio è così forte che la direzione dell’ats decide di fare un passo indietro e annuncia che “provvisoriamente” la misura è ritirata.
Sostenuta da Syndicom e Impressum, la commissione di redazione da giorni cerca di vedere chiaro tra i conti che prevedono per quest’anno un deficit di oltre 4 milioni di franchi. La crisi dell’ats è strettamente legata a quella dei media. In questi ultimi anni le testate si sono fuse, ultima in ordine di tempo è ArcInfo nel cantone di Neuchâtel. Molti quotidiani della Svizzera tedesca sono spariti o hanno redazioni comuni che producono pagine di politica estera o interna uguali per tutti. I lettori a pagamento sono in calo. Gli editori, che sono anche i proprietari dell’ats (i tre principali sono Tamedia, il gruppo Nzz e Ssr), spingono per una riduzione delle tariffe. Per aumentare la pressione, Nzz e Az Medien, in parte di Christoph Blocher, hanno dato avvio a piani per creare una nuova agenzia, più piccola e più economica: un progetto che avevano denominato “Exit Ats”, come rivelato da Bund e Tages Anzeiger. La pressione è servita: quest’anno le tariffe saranno ridotte del 10 per cento, ciò che spiega l’aumento del deficit da uno a 4 milioni in un anno.


Da qui la decisione di tagliare sul personale, ristrutturare, riunendo le varie redazioni e affidando il servizio economico ad un’agenzia finanziaria. Non sarà possibile in futuro assicurare la stessa mole d’informazione e la stessa qualità, come fanno notare i redattori. Se invece di 200.000 si forniscono 180.000 notizie all’anno non sarà un problema, si sentono rispondere. Invece questo potrebbe essere un grosso problema per le tante organizzazioni no profit (come i sindacati), che domani non avranno più la certezza di trovare all’agenzia e poi sulla stampa l’eco che hanno attualmente.


La Confederazione, che paga quasi tre milioni all’anno per il servizio fornito dall’ats (copertura integrale di sessioni, lavori di commissioni e attività del Governo e dei suoi uffici), esprime la sua preoccupazione attraverso il portavoce del Governo André Simonazzi. «Quello che si deve fare adesso è riflettere prima di prendere decisioni avventate», rileva Regula Rytz, presidente dei Verdi all’assemblea. Anche perché la ristrutturazione che avanza a forte velocità precede una imminente fusione, che potrebbe a sua volta implicare altri cambiamenti (come riduzione dei salari e peggiori condizioni di lavoro). L’ats ha deciso di unirsi all’agenzia fotografica Keystone. Domani anzi dovrebbe chiamarsi Keystone-ats. Il socio maggiore sarà l’agenzia austriaca apa, che dal 2021 spera di ottenere dividendi, mentre l’ats è un’organizzazione privata senza scopo di lucro. Ai redattori non piace che alla testa della prossima organizzazione manchi qualcuno con esperienza giornalistica.
Prima della fusione saranno anche liberate riserve (ammonterebbero a circa 19 milioni di franchi), che l’ats si appresterebbe in parte a versare ai suoi proprietari attuali. Mentre i redattori ritengono che i soldi debbano servire per attenuare le misure di smantellamento.


Il tutto avviene all’ombra del dibattito sulla No Billag per il taglio del canone radio tv. In dicembre, la Confederazione ha annunciato che dal 2019 intende concedere all’ats, come sostegno, due milioni di franchi del canone radio-tv. «Ma non devono finire in dividendi», affermano tutti coloro che si esprimono all’assemblea. La decisione definitiva del governo sul sussidio è attesa per febbraio.
È una matassa difficile da sbrogliare in pochi giorni e proprio per questo i redattori, che continuano a rifiutare la ristrutturazione, chiedono che sia definita una strategia per poter garantire oggi come domani a tutti un servizio all’altezza della sua tradizione. La loro lotta continua!

Pubblicato il 

24.01.18
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