Ancora morti in mare, ma stavolta sulle imbarcazioni e non in acqua. Diciassette le persone morte che gli uomini della nave “Fenice” della Marina militare italiana hanno trovato su vari natanti alla deriva al largo delle coste libiche. Si trattava di 9 barconi e 13 gommoni, a bordo dei quali sono stati soccorsi 217 migranti e recuperati i cadaveri di altri 17. Non si è trattato dunque di un naufragio, ma le persone – secondo le prime informazioni – potrebbero essere morte di stenti o forse soffocate o calpestate a causa del sovraffollamento a bordo dei barconi.


Il Mar Mediterraneo è divenuto una gigantesca, drammatica fossa comune e le cifre sono in continuo aumento. Mi viene spontaneo chiedermi se l’Europa dal volto umano esiste ancora e mi viene in mente una frase di Alex Langer “L’Europa nasce o muore nel Mediterraneo”.
Ma noi che cosa sappiamo veramente di queste persone che nella maggior parte dei casi non hanno voce? Esse decidono di partire per la disperazione. Sono già in una condizione di partenza sfavorevole, in più sono anche in balia di una vera e propria roulette russa gestita dai trafficanti, che sono i veri signori della guerra che si combatte nel Mediterraneo.


Lo scorso 14 maggio, SOS Ticino ha organizzato una manifestazione per ricordare queste morti e per lanciare un appello perché non è possibile rimanere indifferenti a tutta questa enorme tragedia che quotidianamente viene vissuta da queste persone nel Mar Mediterraneo. Non possiamo fingere che queste morti non ci riguardino. “Nel nostro Paese vivono persone che condividono i medesimi luoghi di provenienza con le migliaia e migliaia di persone che non sono riuscite a raggiungere un’altra riva. Un approdo più ospitale, meno difficile, dove potere esplicare il diritto inalienabile di ognuno a un’esistenza dignitosa e meritevole di essere vissuta. Molti di loro hanno perso in mare, o nei viaggi terribili all’interno di questi continenti in fiamme, familiari, amici, conterranei.”
Vorrei concludere questo mio scritto con una testimonianza che abbiamo letto durante la manifestazione del 14 maggio che spero possa far riflettere, quella di Awas Ahmed, che proviene dalla Somalia: «A chi mi chiede “non era meglio rimanere a casa piuttosto che morire in mare?” rispondo: non siamo stupidi, né pazzi. Siamo disperati e perseguitati. Restare vuol dire morte certa, partire vuol dire morte probabile. Tu che cosa sceglieresti? O meglio, che cosa sceglieresti per i tuoi figli?».

Pubblicato il 

02.06.15

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