La storia

Non figura nell’elenco ufficiale dei caduti sui cantieri delle nuove trasversali ferroviarie, ma anche lui è una vittima che in questa sede è doveroso ricordare. Maurizio Bertera, classe 1964, una quindicina d’anni di lavoro come carpentiere sul cantiere del secolo, è stato vittima della malattia, ma anche della totale insensibilità dimostratagli dal suo ultimo datore di lavoro e dell’accanimento di una compagnia assicurativa – la Swica – che gli ha fatto la “guerra” fino alla fine dei suoi giorni e che ora addirittura la prosegue contro i suoi eredi, la vedova i due figli di 23 e 11 anni.

 

La “colpa” di Bertera sarebbe stata quella di essere rientrato in Italia per farsi curare (non dalla slogatura di un polso ma da un cancro!), senza chiedere la necessaria autorizzazione all’assicuratore, il quale si rifiuta dunque di pagare le indennità per malattia. Una colpa però inesistente secondo il Tribunale cantonale delle assicurazioni (TCA), che in una sentenza del 22 marzo scorso ha severamente censurato il comportamento di Swica e l’ha condannata a pagare tutto il dovuto, dando pienamente ragione al lavoratore e al sindacato Unia di cui Bertera era socio da molti anni: «È stato tra i primi sindacalizzati dei cantieri di Bodio e Faido a inizio anni Duemila e grazie a lui altri lavoratori si avvicinarono al sindacato. Era un trascinatore che esercitava grande carisma, anche sui colleghi più anziani – ricorda il segretario della sezione Sopraceneri di Unia Igor Cima –. Era un uomo tutto di un pezzo, un buono ma capace di farsi rispettare e di rivendicare quello che gli spettava».


È stato così fino alla fine Maurizio Bertera: seppur fortemente debilitato dalla malattia e dalle cure cui si sottoponeva, l’11 marzo scorso era venuto a Lugano per assistere all’udienza in Tribunale e per ribadire le sue pretese nei confronti di Swica che da quasi un anno lo aveva lasciato senza stipendio, interponendo «inutili ostacoli formalistici» come hanno poi sentenziato i giudici.


«È andata bene, molto bene. Sono proprio contento», ci disse all’indomani della sentenza del TCA in occasione della nostra ultima conversazione telefonica in cui concordammo un’ampia intervista sull’assurda e drammatica vicenda: «Una volta che tutto sarà finito [che la sentenza sarà definitiva, nda] la inviterò qui a casa mia a Bergamo per una bella chiacchierata. Non ho un semplice raffreddore e non mi posso spostare, anche perché la morfina che assumo contro il dolore mi fa dormire molto. E poi mi sto sottoponendo a una nuova terapia per il tumore. Spero che funzioni. I medici mi dicono che ho il 20 per cento di possibilità di sopravvivere ancora un anno», raccontava con la voce ferma di una persona che ha ancora la forza di lottare.


Purtroppo però poche settimane dopo, martedì 19 aprile, il suo cuore ha cessato di battere e ora tocca ai suoi familiari proseguire la battaglia contro i burocrati della Swica, i quali hanno deciso di non lasciare in pace Maurizio Bertera nemmeno da morto ed hanno inoltrato ricorso contro la sentenza del TCA al Tribunale federale.


Pur senza entrare nei dettagli della complessa vertenza, in questa sede è utile ricostruirne alcuni passaggi che ben danno la misura del grande torto subito da questo operaio bergamasco morto di cancro a 52 anni e costretto nell’ultimo scorcio della vita a lottare per dei diritti elementari di un lavoratore e di ogni essere umano, come quelli di ricevere un salario anche in caso di malattia o di affrontare delle cure oncologiche a casa sua vicino ai propri cari e non in una baracca del cantiere Alptransit di Sigirino. Diritti elementari di cui sia il suo datore di lavoro (il Consorzio Condotte-Cossi che sta realizzando la galleria del Monte Ceneri) sia Swica si sono fatti un baffo, stando alla corposa documentazione e alle testimonianze che area ha raccolto.


Il calvario di Maurizio Bertera ha inizio nell’ottobre 2014 con una diagnosi di neoplasia dell’intestino e un primo intervento chirurgico che lo tengono lontano dal lavoro per alcune settimane. Il fatto di essersi fatto operare e trattare in Italia nonostante la residenza in Svizzera (aveva il permesso di domicilio, di tipo C) gli causa i primi problemi di carattere assicurativo, che il suo datore di lavoro non fa nulla per cercare di risolvere. Anzi, ci ha raccontato Bertera, «mi è stata fatta fretta di rientrare al lavoro e avendo avuto paura di perdere il posto sono tornato forse troppo presto trascurando la salute». In effetti, già nell’aprile 2015 subisce una ricaduta: Bertera sta sempre peggio, si reca dal medico e il giorno 8 si presenta presso l’ufficio di Sigirino del Consorzio Condotte-Cossi con certificato attestante una completa inabilità lavorativa. Giampiero Ricci dell’ufficio personale lo avverte che non può recarsi all’estero senza un’autorizzazione dell’assicuratore. Bertera rientra comunque a Bergamo e due giorni dopo viene ricoverato d’urgenza, subisce un nuovo intervento chirurgico di colostomia (creazione artificiale di un ano sulla parete addominale) e successivamente si sottopone a radioterapia e chemioterapia.


Con una lettera del 9 aprile il sindacato Unia informa immediatamente della situazione sia l’impresa sia Swica («rilevando in sostanza che l’assicurato avrebbe avuto diritto di recarsi all’estero», accerteranno i giudici), i quali reagiscono erigendo muri e infliggendo ulteriori sofferenze ad una persona che già vive in un momento difficile ed estenuante. Bertera «avrebbe dovuto sottoporsi ai necessari trattamenti presso il proprio domicilio, senza alcuna necessità di recarsi all’estero», scrive senza ritegno Condotte-Cossi ricordando l’obbligo di ottenere preventivamente il consenso dell’assicurazione per soggiornare all’estero e cercando addirittura di “sbarazzarsi” definitivamente del povero Bertera sostenendo, in uno scritto del 16 ottobre, che il suo rapporto di lavoro «è da considerare inderogabilmente giunto a scadenza il 31 luglio 2015», con il termine del suo ultimo contratto di lavoro a tempo determinato, il quarto in serie sottoscritto tra il novembre 2013 e l’aprile 2015, senza interruzione e sempre con la stessa mansione («un sistema quello dei “contratti a catena” molto utilizzato dalla Condotte-Cossi per tenere i lavoratori sotto pressione e per eludere l’“ostacolo” dei termini di disdetta», spiega Igor Cima).


Swica dal canto suo non si smuove dalla sua posizione, nemmeno dopo aver incontrato lo stesso Bertera e nonostante la sua disponibilità a rinunciare alle indennità dei primi 5 mesi di malattia, e il 13 agosto conferma formalmente la decisione di negare ogni prestazione assicurativa e dunque di privare una persona gravemente malata di ogni sostentamento finanziario. Una sanzione che il 22 marzo 2016 il Tribunale cantonale delle assicurazioni giudicherà «manifestamente sproporzionata..., tanto più che l’autorizzazione per recarsi all’estero l’ha chiesta immediatamente tramite il proprio sindacato. L’assicuratore avrebbe dovuto e potuto esaminare il caso senza interporre inutili ostacoli formalistici...», affermano i giudici precisando che la partenza per l’estero di Bertera non sia stata «dovuta a negligenza» ma sia «scusabile e comprensibile alla luce della gravità incontestata della patologia» e arrivando a ipotizzare «un inammissibile abuso di diritto da parte di Swica».


Swica però non si piega e ricorre al Tribunale federale, perché «il Signor Bertera ha preferito sin dall’inizio farsi curare dalle strutture ospedaliere italiane senza chiedere l’autorizzazione alla propria assicurazione e ciò pur essendo stato avvertito», ha scritto l’assicuratore il 3 maggio scorso, quando ormai Bertera era morto da due settimane. Senza parole.

Pubblicato il 

24.05.16