Sono parole amare che lasciano allibiti quelle che Reto Togni, presidente del Patriziato di San Vittore, ha scritto coraggiosamente alla famiglia di Michela e Goran Radanovic: «I motivi che hanno spinto i nostri cittadini a respingere la vostra domanda sono difficilmente individuabili anche per il Consiglio Patriziale. Di negativo non si è riscontrato alcun fatto[!]. È purtroppo una tradizione atavica che si ripete: a San Vittore la stragrande maggioranza delle richieste vengono respinte, senza motivazioni vere e proprie[!]. Si vede che siamo in pochi (88 persone con diritto di voto) ed in pochi vogliamo restare. Spiacenti di non aver potuto accogliere la vostra richiesta, distintamente salutiamo».  Questa è stata la risposta alla richiesta dei Radanovic di una comunicazione scritta in merito al "no" alla naturalizzazione pronunciato dall'Assemblea patriziale  il 27 marzo scorso e comunicatogli inizialmente solo in forma verbale. Sono più di vent'anni che nel piccolo paese mesolcinese nessuno straniero gode del privilegio della naturalizzazione. Ma le cose non andavano meglio neppure prima, quando, 30 anni fa, anche Gianni Frizzo – ora municipale di San Vittore – ha dovuto rivolgersi ad un altro comune per poter ottenere il passaporto rossocrociato.  Tutte le carte in regola, i preavvisi favorevoli, la fedina penale immacolata e due figli adolescenti nati e cresciuti in Svizzera non sono bastati ai Radanovic per essere accolti a San Vittore. Il loro caso, che a distanza di 30 anni si incrocia con quello di Gianni Frizzo, è emblematico di una procedura che si è rivelata discriminatoria se non quando addirittura – come ha documentato un recente studio della Commissione federale contro il razzismo – arbitraria. E benché le Camere abbiano respinto l'iniziativa dell'Udc "Per naturalizzazioni democratiche" – che chiedeva l'istituzione di votazioni popolari a livello comunale per la concessione della nazionalità svizzera senza possibilità di ricorso per i candidati respinti – la revisione della naturalizzazione resta un tema spinoso e fonte di accesi dibattiti. Martedì la Camera del popolo ha rimandato al tavolo degli Stati il progetto del senatore argoviese Thomas Pfisterer (Plr) che vuole autorizzare il voto popolare a condizione che i rifiuti siano motivati e i ricorsi possibili. Ma sono sufficienti queste due condizioni per dare una svolta a situazioni come quelle di San Vittore? Per quale ragione la naturalizzazione dovrebbe essere un atto amministrativo? L'abbiamo chiesto a Claudia Josi, assistente diplomata presso l'Istituto del federalismo di Friburgo. Intanto però la famiglia Radanovic sta facendo le valige, San Vittore non sarà più il loro paese. Dal canto suo Gianni Frizzo spera che i Radanovic e soprattutto il ricorso presentato sulla bocciatura della naturalizzazione al Tribunale amministrativo di Coira – che dovrebbe rispondere entro alcune settimane – possa rappresentare un precedente e far aprire gli occhi a chi «non accetta di principio lo straniero».

«Ci ha fatto male soprattutto moralmente». Sono queste le poche parole di critica che Michela Radanovic ha espresso – durante la serata in cui abbiamo fatto incontrare la sua famiglia con Gianni Frizzo – contro la decisione presa il marzo scorso dall'Assemblea patriziale di San Vittore. Assemblea composta da 88 cittadini (al voto erano presenti solo 27) a cui compete la decisione di concedere la naturalizzazione. O meglio di "non concederla" visto che l'ultima risale a più di vent'anni fa.
Il marito Goran è più silenzioso, lavora da anni come meccanico nella regione e le sue mani lo testimoniano. A tavola Gianni Frizzo, municipale di San Vittore e combattivo presidente della commissione dei lavoratori delle Officine Ffs di Bellinzona, racconta alla famiglia serba la sua naturalizzazione: «a me avevano fatto capire già 30 anni fa che ci sarebbe stato poco da fare. Il Patriziato aveva deciso per principio, anche se non so quali principi intendono, di non naturalizzare più nessuno. Così a 21 anni ho dovuto presentare la mia domanda a Rossa anche se la mia vita era a San Vittore. Certo a quell'età non ho capito di cosa si trattava, se mi fosse successo oggi avrei tirato su il finimondo perché, come per voi, il rifiuto come pregiudizio è ingiustificabile».
Nella serata del 27 marzo scorso l'assemblea patriziale ha respinto la domanda di naturalizzazione presentata dai Radanovic nonostante il preavviso positivo di Renzo Togni, presidente del Consiglio patriziale (e autore della missiva di cui abbiamo riportato alcuni stralci sopra), degli insegnanti dei figli adolescenti, dei datori di lavoro dei genitori, degli attestati di buona condotta, eccetera. Eros Tamò, uno dei patrizi presenti al momento del voto, visibilmente arrabbiato per l'esito negativo dichiarava ai microfoni della Tsi di vivere in «un paese di razzisti».
«A noi piaceva, piace ancora San Vittore», ci dice Michela che incontra giornalmente nel negozio in cui fa la commessa chi ha votato contro di loro, ma anche a loro favore. «Abbiamo ricevuto solidarietà da parte di diverse persone – commenta la signora Radanovic –. Fra i contrari alla nostra naturalizzazione quasi nessuno ha voluto spiegare il perché del suo "no". Abbiamo dovuto chiedere una comunicazione ufficiale perché il no ci era stato comunicato solo verbalmente. Ancora oggi non capiamo perché, cosa abbiamo fatto di sbagliato. Solo una patrizia mi ha accusata una volta di non essere sufficientemente integrata. Ma io qui ci vivo, abbiamo amici, partecipiamo alla vita del paese, ci lavoriamo e paghiamo le tasse. I nostri figli ci hanno fatto le scuole».
È infatti davvero molto difficile credere che i Radanovic non sono sufficientemente integrati. Il loro italiano è ottimo, sono ben voluti da molti ci ha detto il municipale Frizzo. I due figli sono nati in Svizzera. Ma allora come si spiegano questo rifiuto? «Forse è perché non andiamo tutte le domeniche a messa», dice il figlio sedicenne Daniel rimasto in silenzio fino ad allora. La mamma aggiunge che sono cristiano ortodossi.
«È pazzesco come una minoranza di cittadini di San Vittore, neppure tutti perché non credo che sarebbe andata in questo modo altrimenti, possa decidere del destino di una famiglia benvoluta come la loro», aggiunge Frizzo. Del resto la stessa storia di Gianni Frizzo, che si incrocia a distanza di anni con quella dei Radanovic, testimonia questa discrepanza. A San Vittore è addirittura entrato nell'Esecutivo dopo che 30 anni fa qualcuno gli aveva fatto capire che era meglio per la sua procedura di naturalizzazione rivolgersi altrove. Segno che San Vittore non è diverso, o più chiuso di altri paesi. Lo è invece la maggioranza dell'Assemblea patriziale, che ha però avuto la facoltà di decidere del destino di una famiglia. Ai Radanovic il consiglio di non rivolgersi al Patriziato del proprio paese per essere naturalizzati non è giunto in tempo. Sono in attesa della risposta che dovrebbe giungere a settimane dal Tribunale amministrativo di Coira in merito al ricorso presentato contro la decisione dell'assemblea patriziale. Una decisione arbitraria che non si fonda – come ha scritto con coraggio Renzo Togni – su alcuna ragione e che è lo specchio di una procedura – quella attuale sulla naturalizzazione – che non protegge le persone dalla discriminazione e dall'arbitrarietà. Per Capodanno la famiglia Radanovic si trasferirà in un altro paese. San Vittore ha perso un po' di sé.


"No alle commissioni popolari"

Claudia Josi, dal suo punto di vista di costituzionalista, per quale ragione la naturalizzazione decisa per voto popolare non è conforme alla Costituzione?
In realtà il problema è proprio quello: non si può affermare con assoluta certezza che l'iniziativa dell'Udc non è conforme alla Costituzione. Di per sé, la Costituzione non contiene delle norme superiori ad altre, salvo la tutela della dignità umana, e la modifica sarebbe quindi stata difficilmente tacciabile di anticostituzionalità. Ma credo però che ci sono altri principi di cui si deve tenere conto. L'iniziativa Udc mette in pericolo lo Stato di diritto perché mette la sovranità del popolo al di sopra dei diritti costituzionali delle persone, negando segnatamente il diritto ad avere una decisione motivata e il diritto di ricorso. E questo, è inconstituzionale, come l'ha indicato il Tribunale federale. A mio modo di vedere c'è incompatibilità anche con la norma costituzionale che sancisce il diritto a non essere trattati arbitrariamente e senza discriminazione.
Le due Camere hanno respinto l'iniziativa dell'Udc "per naturalizzazioni democratiche". Ciò nonostante agli Stati si è deciso di lasciare una porta aperta alle commissioni popolari di naturalizzazione. Una motivazione scritta e il diritto di ricorso sono sufficienti a garantire la non arbitrarietà della decisione di naturalizzazione?
Il controprogetto Pfisterer ha tolto i punti più critici dell'iniziativa Udc. A mio avviso non protegge però sufficientemente gli individui da decisioni arbitrarie e discriminatorie. Va però anche detto che in linea di principio il diritto di ricorso avrebbe come scopo proprio quello di combattere decisioni arbitrarie.
Come è possibile però ricorrere – portando i mezzi di prova necessari – quando, ad esempio, un'assemblea patriziale vi accusa di non essere sufficientemente integrati?
Ha perfettamente ragione, ci sono dei motivi di ordine pratico che limitano la garanzia di una procedura non arbitraria in materia di naturalizzazione. Per questa ragione non sono a favore delle commissioni popolari.
Nel dibattito parlamentare si è insistito sulla natura politica o giuridica della naturalizzazione. Per quale motivo la naturalizzazione dovrebbe diventare un atto amministrativo?
Per molto tempo la naturalizzazione è stata una decisione politica. È soprattutto a seguito di alcune decisioni del Tribunale federale recenti che la discussione si è fatta vivace. Io credo che la naturalizzazione costituisca un atto giuridico. Questo principalmente, perché non solo si determina il destino di un individuo, ma anche il suo statuto giuridico. Si definiscono diritti e doveri di una persona. Il questo senso, essa adempie tutte le caratteristiche di una decisione (nel senso giuridico) perché siamo in presenza di un atto individuale e concreto.
L'Udc dice che il popolo è sovrano. E in quanto sovrano ha diritto di decidere sulla naturalizzazione. Fino a quale punto si può invocare questa sovranità?
La sovranità popolare non è illimitata e neppure superiore ai diritti fondamentali e allo Stato di diritto. Un limite chiaro di questa sovranità sono, oltre che il diritto imperativo internazionale, i diritti fondamentali "più essenziali" dell'uomo. Ad esempio, il popolo non ha il diritto di discriminare un gruppo di persone, una religione o di mettere in pericolo la dignità umana.
Eppure l'iniziativa dell'Udc è stata trattata dal Parlamento. La sua ricevibilità è stata ammessa.
Sì, è vero. E c'è un problema in questo senso a mio avviso. Attualmente un'iniziativa è dichiarata irricevibile se non rispetta l'unità della materia o della forma o se è contraria al diritto imperativo internazionale. Io penso che si dovrebbe andare più lontano. I diritti fondamentali dell'uomo riconosciuti nella nostra Costituzione dovrebbero essere un limite alla nostra democrazia diretta e quindi una limitazione della sovranità popolare. A mio parere, non è accettabile fare dei passi indietro sui diritti fondamentali dell'uomo: anche se lo chiede la maggioranza popolare non si possono reintrodurre pratiche  lesive della dignità umana.
Quali sono i limiti dell'interpretazione del diritto internazionale nell'ambito della ricevibilità di una iniziativa?
Attualmente c'è un dibattito su quali siano i diritti dell'uomo iscritti nel diritto imperativo internazionale. Tutti convengono che, ad esempio, il genocidio o la tortura fanno parte di questo diritto. Ma ci sono ampie discussioni sugli altri diritti umani da includere in quello internazionale. Un dottorando dell'Università di Friburgo ha appena concluso una tesi di dottorato dove sostiene che i diritti fondamentali riconoscuti diffusamente nelle costituzioni nazionali dovrebbero essere inclusi nelle definizione del diritto imperativo internazionale, il cosiddetto "ius cogens". Credo si tratti di una tesi interessante e il "ius cogens" l'unico vero limite materiale posto ad una iniziativa, dovrebbe essere interpretato in maniera più estesa.
Come si spiega che il dibattito verta sempre sulla "sovranità del popolo" ogni volta che si parla di naturalizzazioni, di legge contro la discriminazione razziale, di stranieri…?
Siamo in una fase in cui soprattutto partiti come l'Udc  ogni volta che vi è una discussione acclamano il principio della "sovranità del popolo svizzero". Questo a scapito di tutti gli altri principi fondamentali riconosciuti dal diritto costituzionale, come lo Stato di diritto, il diritto internazionale e quelli dell'uomo. Il loro scopo è quello di mettere la sovranità popolare al di sopra di tutto. L'abbiamo visto anche con la polemica fatta dal Consigliere federale Christoph Blocher sul diritto internazionale che limiterebbe i diritti del popolo svizzero. Questi sono argomenti populisti. Il diritto internazionale e i diritti fondamentali dell'uomo proteggono anche gli svizzeri, non sono contro di noi. Si sta cercando di mettere in concorrenza, il diritto internazionale o i diritti umani con la sovranità del popolo elvetico. Ma in realtà non esiste alcuna contraddizione.

Pubblicato il 

05.10.07

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