Primo maggio

Il Primo Maggio del 2014 a Lugano è stato un momento di particolare partecipazione. Sarà perché si tratta di un momento storico difficile per i salariati e le salariate in questo paese, ma si è respirata una volontà comune di reagire a politiche economiche non più tollerabili: dumping, precariato, sfruttamento e xenofobia. E dalla piazza, dove è stata rivendicata la necessità del salario minimo di 4.000 franchi al mese, spunta una riflessione: la creazione di un unico sindacato perché le problematiche dei lavoratori sono trasversali a tutti i settori: dal privato al pubblico.

 

«Una vita chiuso dentro per produrre qualcosa che non ti appartiene e non ti apparterrà mai. Poi un giorno la notizia che ti lascia senza fiato: tutti a casa senza pietà. Come va? Mica male... guarda dentro agli occhi miei». La canzone, “Un colpo in canna” degli Arpioni, vibrava nell’aria durante il corteo del Primo Maggio a Lugano e le parole sono arrivate dritte al cuore delle tantissime persone scese in piazza per sostenere il diritto al lavoro, giustamente retribuito, senza discriminazioni salariali fra uomini e donne, senza dumping, senza strozzinaggio dei lavoratori costretti – come è stato sottolineato da Saverio Lurati, presidente dell’Unione sindacale (Uss) Ticino e Moesa – ad accettare stipendi da fame e orari illegali.


Qualcosa è cambiato nel nostro paese, in peggio, e lo registrano sempre più lavoratori sulla loro pelle. «Le problematiche dei salariati e delle salariate sono ormai trasversali a tutti i settori. L’attacco ai diritti pensionistici e il dumping non sono che alcuni esempi che richiedono una risposta coesa. La riflessione che parte dalla piazza a Lugano, in questo Primo Maggio, è di creare un unico grande sindacato. È forse questo il compito della nostra generazione perché uniti siamo forti. Pensiamoci» ha ragionato Enrico Borelli, segretario regionale di Unia Ticino, strappando l’applauso dei manifestanti.


Uniti si è più forti. Lo hanno detto a chiare lettere anche i dipendenti dell’aeroporto di Lugano che qualche giorno fa hanno visto riconosciute le loro istanze. «L’azienda, che fa capo al comune di Lugano, per superare il momento di crisi voleva tagliare i nostri stipendi del 10 per cento o procedere a licenziamenti. Avevamo due possibilità: disunirci e così pagare per responsabilità non nostre oppure rimanere coesi per difendere i nostri diritti» ha spiegato alla folla una rappresente dei dipendenti della società aeroportuale. L’obiettivo è stato raggiunto grazie anche all’azione sindacale di Unia Ticino: sono stati salvaguardati tutti i posti di lavoro e il Ccl è stato prolungato fino al 2015.


A reclamare per i propri diritti anche i dipendenti di Scudo, il servizio di assistenza e cura a domicilio di Lugano. I 230 dipendenti del servizio pubblico dall’anno prossimo non potranno più contare sulla protezione del contratto collettivo, disdetto dai vertici padronali.


«Uno scandalo, una vergogna», ha tuonato Fausto Calabretta, sindacalista della Vpod, in quanto si tratta di un’associazione di utilità pubblica finanziata da Comuni e dal Cantone con 14 milioni annui di franchi per assistere a domicilio le persone bisognose. Il personale di Scudo ha approfittato del Primo Maggio per invitare a firmare la petizione contro la revoca della disdetta del Ccl e a partecipare alla fiaccolata di solidarietà prevista lunedì 19 maggio, alle 18, in Piazza Riforma a Lugano. Il corteo ha visto pure la partecipazione delle badanti polacche per le quali Unia ha avviato un percorso di sindacalizzazione: un anno fa avevano sfilato a viso semicoperto, quest’anno si sono mostrate senza paura: qualcosa è cambiato per loro. In meglio, però. Non sono più invisibili alla società.


La manifestazione è servita anche a lanciare la nascita dell’“Associazione aiuto ai familiari di vittime sul lavoro”, che sarà costituita ufficialmente il 14 giugno a Osogna. Dalla tragedia di Martinho, il 30enne portoghese vittima di nel settembre 2013 di un grave incidente sul lavoro, a causa del quale ha subito amputazioni ed è ricoverato da mesi in un ospedale della Svizzera interna, nasce un’associazione pensata per tutti coloro toccati da drammi simili. «Colpisce il fatto che i familiari e gli amici di Martinho non abbiano voluto creare un’associazione di supporto solo per il ragazzo, ma si siano impegnati costruire un movimento collettivo di lotta a questa piaga».
Una solidarietà e una tenerezza che, evidenzia un sindacalista di Unia, «non sono cose di tutti i giorni».
Almeno di questi giorni.
Già.

Pubblicato il 

02.05.14

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