Non restituirà la vita ai sette operai morti bruciati il 6 dicembre dello scorso anno nello stabilimento torinese della ThyssenKrupp (Tk), né riporterà il sorriso sulle labbra arse dal dolore di madri, mogli, figli e compagni delle vittime. Però, la decisione del Gup (il giudice dell'udienza preliminare) di Torino Francesco Gianfrotta di accogliere integralmente le richieste di rinvio a giudizio dei presunti responsabili della strage operaia lascia aperta la speranza di ottenere verità e giustizia da un tribunale. Una decisione storica, perché per la prima volta una corte giudicherà se l'amministratore delegato della Tk Italia, Harald Espenhahn, sia colpevole di omicidio volontario con dolo eventuale, e con lui l'azienda che dirige. E anche questa è una novità assoluta nella storia processuale italiana sugli infortuni e le morti sul lavoro. Con Espenhahn sono stati rinviati a giudizio altri 5 dirigenti del colosso tedesco dell'acciaio con l'accusa "semplice" di omicidio colposo, ma con colpa cosciente, oltre che di omissione dolosa di cautele infortunistiche.

Per spiegare in termini meno tecnici le decisioni del Gup Gianfrotta, basti dire che viene riconosciuta una responsabilità non più solo individuale, perché quell'individuo potrebbe aver agito mettendo i profitti dell'impresa al di sopra della sicurezza e della vita stessa di chi quei profitti garantiva con il suo lavoro. Ai dipendenti della Tk Italia veniva imposto di lavorare in condizioni di pericolo, con la consapevolezza dell'amministratore delegato che avrebbero potuto lasciarci la pelle, com'è effettivamente avvenuto per sette di loro. Unico sopravvissuto fu Antonio Boccuzzi.
L'inchiesta accuratissima condotta in tempi record e guidata dal procuratore Raffaele Guariniello ha scoperto dai documenti sequestrati ai dirigenti che alla ThyssenKrupp esistevano tre livelli di sicurezza: uno massimo (il minimo per la sicurezza dei lavoratori) negli stabilimenti tedeschi, uno inferiore – appena decente – nell'acciaieria di Terni e uno quasi inesistente a Torino. Da quando la multinazionale aveva deciso di chiudere la fabbrica piemontese, provocando un lungo conflitto operaio, ogni misura antinfortunistica era stata abbandonata, persino gli estintori erano fuori uso e i responsabili del controllo e della manutenzione – vecchi operai con una conoscenza approfondita dell'impianto – erano già stati messi fuori dalla fabbrica. Per questo sette operai sono morti bruciati, per non far spendere soldi al padrone in uno stabilimento condannato a morte, e questa cinica decisione si è trasformata in una condanna a morte, eseguita, di chi ci lavorava. Per questo la tesi dei Pm (i pubblici ministeri) dell'omicidio volontario è stata assunta dal Gup che ha deciso il rinvio a giudizio con quelle pesantissime imputazioni.
Due luoghi comuni sono stati sfatati: il primo è che alla base degli infortuni sul lavoro ci sia la "distrazione" degli operai che evitano di attenersi alle norme antinfortunistiche. Tra l'altro si è appurato che i pochi lavoratori rimasti in produzione nell'acciaieria torinese facevano turni pesantissimi, e tra le vittime della strage alcuni erano al lavoro continuativamente da 12-13 ore. Il secondo luogo comune sfatato è la mancanza di dolo, in caso di "incidenti", nel comportamento dei responsabili aziendali. Giudicare una persona per omicidio volontario con dolo eventuale vuol dire giudicare un presunto assassino. Sta qui la svolta del processo torinese alla ThyssenKrupp, che apre una prospettiva nuova forse non solo in Italia. È per questo che i vertici delle associazioni industriali, e non soltanto gli avvocati della Tk, hanno reagito rabbiosamente al rinvio a giudizio dei loro soci. Si è trattato di una doccia fredda per i padroni nostrani, lusingati negli ultimi mesi dalle politiche del governo in materia di sicurezza finalizzate a smantellare, insieme al diritto del lavoro italiano che è tra i più avanzati, le normative che impongono alle aziende vincoli e persino qualche pena in caso di mancato rispetto. Una alla volta, tutte le innovazioni positive introdotte dal governo Prodi (tra le poche scelte in controtendenza a difesa dei lavoratori, l'abbiamo scritto più volte in queste pagine) sono state buttate alle ortiche accogliendo le accuse di giustizialismo mosse dalle associazioni imprenditoriali. La filosofia di Berlusconi e dei suoi ministri è molto semplice: meno regole, meno lacci e lacciuoli alle imprese a cui va riconsegnato per intero il potere di vita e di morte sulla forza lavoro. Si capisce anche da provvedimenti apparentemente meno criminali, come la decisione di detassare gli straordinari che oggi costano meno del lavoro normale. Salari di merda, per aumentarli bisogna lavorare più ore e mettere a rischio la propria sicurezza in una stagione di pesantissima crisi economica che strangola i salariati e ha già prodotto decine di migliaia di licenziamenti.
Infine, la decisione del Gup di Torino è destinata ad agitare il sonno dei padroni dell'Eternit. Mister Schmidheiny e il suo nobile socio belga potrebbero subire lo stesso trattamento dell'ad della Thyssen: anche loro, secondo l'inchiesta svolta da Guariniello, erano a conoscenza delle conseguenze mortali della lavorazione dell'amianto, per gli operai e persino per le popolazioni che vivono nelle vicinanze degli stabilimenti Eternit. Killer amianto, è l'espressione usata dai media. Forse i killer ora potranno avere un nome e cognome meno generici.

Pubblicato il 

21.11.08

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