Sicurezza sui binari

L’incidente ferroviario accaduto lo scorso venerdì 20 febbraio a Rafz, nel canton Zurigo, nel quale due treni si sono scontrati per il mancato rispetto di un segnale rosso, «ha colpito profondamente le Ffs». A dirlo è stato, nella conferenza stampa tenuta una settimana dopo, il direttore generale delle Ferrovie federali svizzere, Andreas Meyer. È una frase che si dice sempre, dopo ogni evento grave. Ma suona un po’ ipocrita parlare solo dell’azienda, quando si sa che queste cose colpiscono soprattutto l’intera opinione pubblica e, individualmente, i lavoratori direttamente o indirettamente coinvolti. area ne ha parlato con un sindacalista e ha raccolto l'interessante testimonianza di un macchinista.

Questo di Rafz è soltanto l’ultimo di una lunga lista di incidenti ferroviari, che negli ultimi anni sembrano essersi intensificati. Nel corso degli anni Settanta e Ottanta le sciagure capitate sulle ferrovie svizzere sono state 13, con 95 morti e un numero di feriti (in due casi non determinato) certamente superiore a trecento. Dal 1990 al 2006 si sono contati altri 16 infortuni gravi, con 25 morti e circa 300 feriti. Ma dal 2010 ad oggi gli incidenti gravi sono già stati 7, fortunatamente con pochi morti (3) ma con 136 feriti.
Di questi ultimi 7 infortuni, ben 5 sono stati causati dal mancato rispetto di un segnale rosso. Sempre colpa dei macchinisti? Andreas Meyer se l’è cavata con qualche espressione diplomatica: «È sempre grave quando un macchinista passa con il rosso. Dove ci sono persone che lavorano, gli errori possono capitare. Noi facciamo di tutto per sostenere questi macchinisti». Questo “facciamo di tutto” significa essenzialmente provvedimenti tecnici per evitare che i macchinisti possano sbagliare.


Sul livello di sicurezza del sistema ferroviario svizzero, in effetti, non vi sono dubbi: è tra i più elevati al mondo. Quanto ai provvedimenti specifici, dopo l’incidente di Rafz e dopo quello di Granges-près-Marnand (Vaud) del 29 luglio 2013 (1 morto e 34 feriti), le Ffs hanno preso ulteriori misure in tal senso. «Tuttavia», afferma l’azienda, «è impossibile escludere totalmente un rischio residuo».

 

Parla il sindacalista
«È bene ricordare che il treno rimane comunque il mezzo di trasporto più sicuro. E ogni incidente è sempre un incidente di troppo», afferma Angelo Stroppini, segretario regionale del Sev (Sindacato del personale dei trasporti) in Ticino, al quale chiediamo una valutazione in seguito all’incidente di Rafz. «Statistiche alla mano», prosegue, «con l’aumento del traffico di questi ultimi anni, gli incidenti non sono aumentati, ma probabilmente sono anche diminuiti in proporzione al volume di traffico attuale. Va però anche detto che la rete è satura, è sfruttata al massimo. Dall’introduzione dell’orario cadenzato, non ci sono più segmenti liberi, ma ci sono treni merci, treni regionali e treni diretti che si susseguono uno dopo l’altro, in continuazione».


E i macchinisti vengono messi sotto pressione?
La tendenza da parte dell’azienda è quella di dividere il personale di locomotiva in più comparti. Ci sono macchinisti che guidano unicamente treni regionali, altri che guidano solo treni passeggeri nel traffico a lunga distanza e altri che guidano soltanto treni merci. Una volta, invece, i macchinisti facevano un po’ tutto, c’era più variazione nell’attività. Ora, è chiaro che questo fatto di dividere i macchinisti in più settori è un po’ pericoloso. Prendiamo ad esempio i treni regionali, dove il macchinista deve stare estremamente attento, fermarsi sempre in modo regolare… Questo può portare a una certa routine e monotonia: l’automatismo non è per forza sempre una buona cosa. E poi, c’è un elemento in più. Una volta il lavoro, dal profilo della sicurezza, era distribuito su più persone: c’era il capotreno, che controllava che tutti i viaggiatori fossero saliti; c’era il capostazione e c’era il macchinista. Dunque, il controllo che veniva assicurato da sei occhi, ora viene svolto da due occhi soli, quelli del macchinista che deve chiudere le porte, controllare che tutti siano saliti, controllare il segnale… Tutte incombenze che adesso ricadono su di lui.


Altre cause di stress?
I turni dei macchinisti sono in generale sempre più tirati; la legge viene comunque rispettata, ma si sfruttano i minimi legali. Ciò vuol dire: pause esattamente giuste, passaggi sempre molto corti. Si tende a sfruttare al massimo i limiti legali al solo scopo di ottenere la massima produttività. Un altro elemento che per noi diventa sempre più importante come sindacato, è quello della medicina del lavoro. Per esempio, i treni merci circolano prevalentemente di notte; e dunque i macchinisti dei treni merci sono impiegati soprattutto nelle fasce notturne. Il lavoro notturno è comunque considerato dal profilo della salute un elemento un po’ contro la natura umana. È vero che i macchinisti sono motivatissimi nel loro lavoro, ma è anche vero che lavorare sempre di notte comporta, a lungo andare, conseguenze che ancora non conosciamo esattamente. Dunque la medicina del lavoro è un tema sempre più presente nell’attività sindacale. E noi richiamiamo spesso l’azienda su questi temi».


C’è anche una certa deregolamentazione?
C’è la liberalizzazione, che complica un po’ il quadro. Quello ferroviario è un sistema molto complesso, molto sofisticato, che non può essere in alcun modo approssimativo. È un sistema che funziona con regole molto rigide. Più si va oltre, cercando di omettere eventuali controlli, più il rischio di un incidente diventa forte. Nel comparto merci ormai liberalizzato, rivendichiamo maggiori controlli da parte dell’Ufficio federale dei trasporti. La liberalizzazione non deve assolutamente portare ad una semplificazione dei controlli. E la relazione liberalizzazione-deregolamentazione non deve in alcun modo entrare in considerazione.


Capita anche, sempre più spesso, che dei segnali vengano sorpassati dal macchinista. Come mai?
Questa è una realtà. Superare un segnale rosso per un macchinista è un dramma, è una delle cose peggiori che gli possano capitare, perché ne capisce benissimo la gravità. Però, dati alla mano, questi rischi sono effettivamente aumentati, per le ragioni che ho detto prima (aumento del traffico, turni sempre più tirati, ecc.) e che sono comunque da monitorare.


Dal punto di vista sindacale, come viene giudicato questo ripetersi di incidenti per guasti tecnici o per errori umani? L’azienda fa abbastanza o dovrebbe fare di più per porvi rimedio?
Abbiamo delle precise rivendicazioni sindacali (medicina del lavoro, turni, lavoro notturno, formazione ecc.) che trattiamo regolarmente con le aziende ferroviarie.


E che cosa rispondono?
La Sbb Cargo International (l’azienda che lavora prevalentemente di notte) dice che sì, la questione della medicina del lavoro può essere considerata, però la questione della produttività resta chiaramente un elemento importante per l’azienda. Dunque, medicina del lavoro e produttività non vanno molto d’accordo. Bisogna discutere. E se da una parte c’è la disponibilità dell’azienda, d’altra parte questa disponibilità cozza contro l’aumento della produttività. Ma noi riteniamo che se in qualche modo i tempi di riposo fossero più adeguati, sarebbe già un passo avanti e sarebbe già un miglioramento importante per la salute e il benessere personale dei macchinisti. Per chi lavora a turni, inoltre, la vita sociale è già un po’ sacrificata. Anche se, ripeto, fare questo mestiere è una scelta e i macchinisti sono orgogliosi del loro lavoro.

 

 

La testimonianza di un macchinista

«Io vado a lavorare tranquillo, non mi sento insicuro quando mi metto alla guida di un treno. E non penso di essere incosciente», racconta Thomas Giedemann, macchinista Ffs. Per lui, l’unica vera insicurezza è quella del mantenimento del posto di lavoro, in seguito a liberalizzazioni e cambiamenti che si prospettano nel settore ferroviario.


«Ci sono delle problematiche», continua Giedemann, «che abbiamo già illustrato da anni ai responsabili delle varie aziende ferroviarie. I quali vanno avanti per la loro strada, senza venire troppo incontro alle nostre richieste. Ad eccezione di quando capitano questi incidenti, per cui tutt’a un tratto ci danno un pochino più di ascolto. Ma non è che per questo – e vale anche per i miei colleghi – io mi senta più insicuro. Anche come lavoratori “sul fronte”, abbiamo comunque la consapevolezza che la ferrovia è un mezzo di trasporto sicuro. Poi, chiaramente, la sicurezza si può sempre aumentare».


Ma i datori di lavoro tengono almeno in considerazione la figura professionale del macchinista?
No, tranne che per la responsabilità, perché quando capita un incidente l’importante è scaricare le responsabilità sul macchinista. Nel caso dell’incidente grave di Granges-près-Marnand, per esempio, la procura ha deciso di citare in giudizio solo il macchinista e non le Ffs come datore di lavoro e gestore dell’infrastruttura.


Quali sono gli altri aspetti non soddisfacenti di questo lavoro?
Il problema è anche politico. C’è un quadro legislativo che regola i tempi di lavoro e di riposo e che, per i ritmi di lavoro che abbiamo adesso, è assolutamente obsoleto. Però non viene rivisto, revisionato nel senso di una maggiore protezione della salute e, in ultima analisi, anche della sicurezza del lavoratore. Ffs e Bls, le attuali maggiori imprese del settore in Svizzera, hanno delle convenzioni migliorative rispetto alla legge, ma bisognerebbe andare oltre. Per esempio, rispetto al carico di lavoro notturno.


La responsabilità di essere alla guida di un convoglio con molte persone o con materiali pericolosi comporta preoccupazione e stress. È così?
Assolutamente. Ci sono vari tipi di stress, a dipendenza se si fa traffico viaggiatori o traffico merci. Nel primo caso lo stress è il viaggiare tanto, rispettare l’orario, l’interazione con i passeggeri, badare ai segnali, fare attenzione alle porte... Lo stress del traffico merci è il carico di lavoro notturno, ma anche i ritardi, le soppressioni, i cambiamenti di servizio, per cui non si sa mai quando si finisce.


Dunque, la vostra rivendicazione centrale qual è?
Nel traffico merci, la medicina del lavoro e la pianificazione dei turni. Nel traffico viaggiatori, i tempi lunghi alla guida senza poter staccare per delle pause».
SDP

Pubblicato il 

04.03.15
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