L'acquisto di nuovi aerei da combattimento è un tema che, dal secondo dopoguerra, solleva regolarmente in Svizzera diffuse polemiche. Innanzitutto, per il prezzo estremamente alto di questi strumenti di guerra, la cui scarsa utilità (ci vogliono proprio dei sofisticati cacciabombardieri per svolgere soltanto compiti di "polizia dell'aria"?) dà spesso l'impressione che si tratti piuttosto di costosissimi giocattoli. Ma anche per i considerevoli interessi industriali ed economici, compreso il mantenimento di occupazione e salari, che questo genere di affari produce con commesse di assemblaggio, manutenzione e logistica. Il che significa che le relative decisioni vengono prese da parlamento e governo dopo aver subito un pressante lobbying.
La scelta del caccia svedese Gripen, annunciata il 30 novembre scorso dal Consiglio federale, non fa eccezione. Con l'aggravante che questa volta sono state sollevate accuse di scarsa trasparenza e persino qualche sospetto (anonimo) di corruzione. La vicenda, in effetti, è stata male imbastita e soprattutto mal gestita. Per cominciare, nell'agosto 2010 il consigliere nazionale zugano Bruno Zuppiger, dell'Udc, raccomandava al suo amico e ministro della difesa Ueli Maurer di sospendere fino al 2015 le procedure in vista della sostituzione dei vecchi caccia F-5 Tiger. Con i 4,4 miliardi di franchi del suo bilancio annuale, secondo Zuppiger, per finanziare l'acquisto dei nuovi jet militari il Dipartimento della difesa avrebbe dovuto rinunciare ad ogni altra spesa per otto anni.
Ma con notevole sorpresa, il 9 marzo 2011 Zuppiger, che allora era anche presidente dell'Usam (l'organizzazione delle piccole e medie imprese), dalla tribuna del Nazionale sosteneva esattamente il contrario: a nome della maggioranza di destra chiedeva di approvare una mozione a favore dell'acquisto degli aerei da combattimento, passata poi con 95 voti contro 69. Il lavoro della lobby industriale era stato evidentemente efficace. In autunno il governo, rassegnato, decideva però di procedere sì all'acquisto, ma di soli 22 aerei (invece di 33) del modello ritenuto meno buono e sicuramente meno caro: il Gripen della svedese Saab, preferito al Rafale della francese Dassault ed all'Eurofighter del consorzio europeo Eads.
In gioco c'erano da 3 a 4 mliardi di franchi in termini di affari compensatori, che sarebbero ricaduti su circa 300 imprese svizzere potenzialmente coinvolte, soprattutto per le promesse della Dassault e del gruppo Eads, sotto forma di collaborazioni industriali e di trasferimento di tecnologie in settori quali il trattamento dei metalli, l'ottica di precisione, le macchine utensili, la robotica. Un affare troppo ghiotto per vederselo sfilare sotto il naso. Per la Dassault s'è mossa l'agenzia di pubbliche relazioni Farner, che è molto ben introdotta (grazie a politici democristiani e liberali della Svizzera centrale) nelle commissioni parlamentari di politica di sicurezza. La Farner sostiene inoltre due associazioni (la Comunità di lavoro per un esercito di milizia efficace e l'Associazione per la politica di sicurezza e le scienze della difesa) i cui rappresentanti siedono nel Comitato consultivo della Difesa che consiglia il ministro Ueli Maurer. E probabilmente la Ruag, impresa tecnologica (armamenti) di proprietà della Confederazione, non avrà mancato di far sentire il suo campanello d'allarme per i posti di lavoro a rischio di soppressione se non arrivano nuovi contratti.
Maurer, però, era (ed è ancora) troppo pressato dal suo partito, che vuole da lui il mantenimento di un esercito efficiente, ma senza aumentare il plafond budgetario. Per avere più fondi, il ministro dovrebbe riuscire a far passare, in governo e in parlamento, economie consistenti negli altri dipartimenti. Impresa impossibile per uno come lui, che deve anche fronteggiare il fermo rifiuto delle truppe di terra di fare altre rinunce a favore dell'aviazione. Un suo collega di partito, il solettese Roland Borer, ha avuto buon gioco a sfotterlo dicendogli che, se continua così, il Gruppo per una Svizzera senza esercito potrebbe eleggerlo presidente onorario.
La scelta del Gripen – il velivolo meno costoso, meno avanzato tecnologicamente ma adattabile alle future esigenze – deve essergli quindi sembrata la quadratura del cerchio. La Saab si sarebbe impegnata ad apportare le migliorie richieste sull'ultima versione del suo Gripen, il modello E/F, per cui le obiezioni contrarie emesse in base ai giudizi negativi espressi sulla versione C/D sono venute a cadere. Ma non tutti i parlamentari borghesi hanno capito questo ragionamento, a cominciare dagli stessi colleghi di partito di Maurer, come lo sciaffusano Thomas Hurter, vicepresidente della commissione della politica di sicurezza del Nazionale, che si è chiesto subito, pubblicamente e provocatoriamente, che cosa ci stava dietro questo ripiego sul jet meno efficiente. Poi sono saltati fuori i vecchi rapporti di valutazione negativa del Gripen C/D, l'insinuazione anonima di qualche bustarella, una presunta nuova offera della Dassault.
Quanto basta ad intorbidire la vicenda, forse per indurre il Consiglio federale a rivedere la decisione e riaprire la gara. Ma abbastanza anche per far sorgere molti interrogativi, tali da spingere la sinistra a proporre la sospensione dell'affare in attesa che si faccia chiarezza. Anzi, i Verdi sostengono che il governo debba rinunciare completamente all'acquisto, visto il «pasticcio terribile» che si è creato.
Per il sindacato, abbiamo chiesto un parere a Corrado Pardini, membro della direzione e responsabile del settore industria di Unia, oltre che consigliere nazionale socialista. «Che la vicenda sia stata gestita con scarsa trasparenza è il minimo che si possa dire», è il commento del sindacalista. «Come è possibile, mi chiedo, che il vertice del Dipartimento militare, e il consigliere federale Ueli Maurer in particolare, non fosse a conoscenza dei fatti? Se così fosse, si porrebbe un problema di rapporto di fiducia tra l'amministrazione e la direzione politica del dipartimento».
Ma a questo punto, parlamento e governo che cosa dovrebbero fare? «Ritengo che non sia opportuno procedere all'acquisto di questi aerei», sostiene Pardini, «sia per delle ragioni di principio che di opportunità e priorità politiche. Il nostro Paese deve contribuire ad una politica di pace attiva, e questa decisione va nella direzione di perpetuare l'idea che la nostra sicurezza passa dalle forze armate. Bisogna inoltre ricordare che nel caso in cui la maggioranza borghese in parlamento dovesse decidere per l'acquisto, la conseguenza concreta sarebbero dei tagli in altri settori dell'amministrazione pubblica».
È vero però che se non si procede all'acquisto dei caccia verrebbero meno gli affari compensatori con le ricadute positive sull'industria. Quanti posti di lavoro sarebbero a rischio? «Di sicuro nessun posto di lavoro è a rischio», risponde Pardini, «considerato che si tratterebbe di un futuro lavoro. La difesa dei posti di lavoro nell'industria passa a mio avviso da altre strade. Come per esempio la riconversione ecologica dell'industria». Una visione, questa, giusta ma di lunga o almeno media prospettiva.
Nel breve periodo, però, all'opinione pubblica viene fatto credere che i vantaggi, in termini di ricadute positive sull'occupazione nell'industria del settore, sarebbero maggiori se invece del caccia della svedese Saab il Consiglio federale scegliesse l'aereo Rafale della francese Dassault o l'Eurofighter del gruppo Eads. È una differenza davvero credibile e consistente? «In questo affare già troppi politici hanno fatto credere di essere degli esperti in materia di aereonautica militare», è la risposta di Pardini. «Io rimango un modesto sindacalista e consigliere nazionale. Dunque lascio agli esperti rispondere ad una simile domanda tecnica».

Pubblicato il 

02.03.12

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