La mano invisibile

Mese d’agosto, mese funesto. Forse perché mese di disattenzione. Non per i malvagi. Ha partorito due guerre mondiali. Stava maturandone una terza per il prevalere degli immancabili paranoici. Dieci anni fa aveva inizio una crisi finanziaria, non ancora terminata, una delle più violente, che ha colpito negli anni successivi banche e Stati, ma soprattutto i lavoratori di tutto il mondo.


Le crisi finanziarie sono un po’ come le guerre: scoppiano in un momento imprevedibile, ma quando scoppiano ci si accorge che c’erano tutte le premesse perché accadesse. Il 9 agosto 2007, all’apertura dei mercati borsistici, c’è dapprima il sentore di un forte rialzo dei corsi. Pochi minuti dopo tutto crolla. Una importante banca aveva appena annunciato la chiusura di tre grossi fondi monetari per “problemi di liquidità”. Un fallimento, insomma. Corse allora dappertutto una parola che diventò il nome dell’origine del male: subprime. Significava crediti concessi a dismisura, sottocosto, nel settore immobiliare, mutui che non potevano più essere sostenuti o restituiti, speculazione diventata carta straccia, svuotamento istantaneo dei valori immobiliari. L’apice della crisi arriva pochi mesi dopo con il fallimento o la disperazione di una lunga sequenza di banche e società finanziarie. Le conseguenze sono drammatiche, nonostante che gli Stati o le banche centrali iniettino miliardi per tamponare le falle o impedire che alcune banche “troppo grandi per fallire” falliscano, trascinandosi le economie nazionali (caso Ubs): recessione, disoccupazione, aumento dei disavanzi pubblici sia per salvare finanza ed economia sia per attenuare le gravi conseguenze sociali.
A dieci anni di distanza rimangono due domande: si è imparato qualcosa? Si ripeterà?


Alla prima domanda si può rispondere che si è imparato poco. Neppure un terzo delle correzioni necessarie e promesse nei grandi consessi mondiali (G20) ha avuto riscontro reale. Ogni regola adottata si è spesso fermata a metà strada. Anzi, l’America di Trump promette ora di deregolamentare per favorire il “business”. È vero, la sorveglianza delle banche è stata rafforzata, il rapporto tra fondi propri e crediti emessi è diventato più esigente, si è tentato qualcosa per migliorare la  “trasparenza” con lo scambio di informazioni fiscali e la lotta ai paradisi fiscali. Non si può però ignorare che nessun limite è stato posto al mercato dei prodotti derivati che fanno tra l’altro il corso speculativo che vogliono a materie prime o beni alimentari, alla speculazione degli “hedge funds” che mettono spesso a sconquasso le industrie nazionali e che sono in massima parte domiciliati nei paradisi fiscali, alle concentrazioni di ricchezza che moltiplicano le ingiustizie. Gli scambi ad altissima frequenza, basati sulla dittatura degli algoritmi, che hanno già dimostrato di aver incorporato il patatrac istantaneo, rappresentano ormai la metà delle transazioni in azioni e il cosiddetto “shadow banking” (la banca ombra, intermediari fuori dal sistema tradizionale, incontrollabili) rappresentano più del  40 per cento della finanza mondiale.


Alla seconda domanda si può quindi rispondere che un’altra crisi, forse ancora più terribile, è possibile perché non si è fatto niente per ridurre l’ipertrofia e l’immensa produzione di ingiustizia della finanza.

Pubblicato il 

31.08.17
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