Nuova ferrovia transalpina

Il primo colpo di piccone alla realizzazione della galleria più lunga del mondo sotto le Alpi svizzere fu dato da minatori sudafricani. E fu subito dumping.

Nel 1999 la metà dei 140 operai che scavò il pozzo che scendeva 800 metri nelle viscere delle montagne grigionesi per creare la stazione intermedia di Sedrun, era alle dipendenze della Shaft Sinkers Ltd di Johannesburg.


Quei lavoratori sudafricani ricevevano un terzo in meno (circa mille franchi )del salario minimo decretato d’obbligatorietà dal contratto nazionale. Inizialmente l’impresa sudafricana giurava di pagare correttamente i suoi operai, rifiutandosi di mostrare le carte che lo provassero. Dopo lunghe insistenze dell’allora Sindacato edilizia e industria (poi confluito in Unia), la verità venne a galla. Si scoprì così che il dumping complessivo a beneficio dell’impresa sudafricana ammontava a 640.000 franchi. Un importo che fu poi restituito ai legittimi proprietari, gli operai.


L’anno dopo fu la volta dell’azienda austriaca Ast, attiva nel cantiere di Amsteg, a essere condannata da un tribunale urano per aver costretto i suoi operai a prestare in nero migliaia di ore straordinarie (5.530 ore per l’esatezza).
Da quelle prime truffe, il sindacato imparò la lezione. Unia si dotò di nuovi strumenti per vigilare sul rispetto dei diritti dei lavoratori impiegati nei cantieri sotterranei, riuscendo a imporli a più livelli grazie anche alla propensione all’ascolto dei vari attori coinvolti. Alptransit ha rappresentato dunque una sorta di palestra sindacale per la difesa e l’organizzazione di migliaia di operai attivi nell’eccezionale cantiere del secolo.


Il primo fronte fu la sicurezza. Visto il numero degli incidenti mortali non si può dire che la sfida sia stata vinta. Nel solo asse del San Gottardo, nei primi due anni di scavi a Sedrun perirono due minatori, un tedesco e un sudafricano. Altre sette persone completarono quel triste elenco. In totale, nei trafori della nuova trasversale ferroviaria alpina perirono 16 persone: nove nello scavo sotto il Gottardo, due al Ceneri e cinque nella realizzazione del Lötschberg.
Nel lavoro in galleria la sicurezza assoluta non esiste. Ne sono coscienti gli stessi minatori, che si affidano alla loro protettrice Santa Barbara. Rischi notevolmente accresciuti nella realizzazione di un’opera mai tentata prima per dimensioni. Ma il tempo è denaro. Il profitto esige produttività, cioè velocità nell’esecuzione. La sicurezza invece richiede calma e tempo per la sua messa in opera.
All’interno del traforo del San Gottardo è andato dunque in scena l’eterno scontro tra capitale e lavoro, tra il profitto degli azionisti delle imprese e la salute degli operai.


«La produzione non poteva fermarsi» rispose al magistrato inquirente il responsabile della manutenzione dei trenini sul perché non avessero sostituito le molle rotte dei vagoni deragliati che provocarono la morte di due giovani operai a Bodio nel 2005. Al processo furono poi condannati il costruttore dei trenini e l’operatore del controllo del traffico ferroviario. Anche sulla morte di Pietro Mirabelli, minatore deceduto nel cantiere di Sigirino nel 2010, vi sono pesanti sospetti che la sicurezza sia stata sacrificata sull’altare della produzione. A cinque anni di distanza, la magistratura ha rinviato a giudizio tre responsabili dei lavori con l'accusa di omicidio colposo.


Se la sfida della sicurezza non si può dire sia stata vinta, minatori e sindacato si sono impegnati e hanno lottato per migliorare le condizioni di lavoro. 250 operai scioperarono per ventiquattro ore nel 2002 nel cantiere di Ferden, in Vallese, dove si stava scavando l’asse del Lötschberg, parte integrante della nuova trasversale ferroviaria. Da mesi operai e sindacato segnalavano alla direzione lavori le pessime condizioni all’interno della galleria, in special modo la qualità dell’aria, con temperature e umidità elevate. Alcuni minatori colpiti da malessere furono trasportati d’urgenza all’esterno. Per la cronaca, la Ssic denunciò il sindacato per violazione della pace del lavoro, misconoscendo che l’agitazione operaia aveva “stimolato” le imprese ad adottare soluzioni che migliorarono sensibilmente le condizioni di lavoro.
La mancanza di aria fresca fu un problema che si presentò ripetutamente nei vari cantieri di Alp­transit. E non fu mai risolto interamente. Alla ricerca della soluzione si chinarono vari ingegneri, ma la risposta ottimale non arrivò mai. Esiste un'attenuante: non c’era nessuna esperienza di scavo di questa lunghezza a cui poter attingere. Garantire una buona qualità d’aria a una decina di chilometri rimase dunque un’impresa parzialmente insoluta che rese particolarmente duro il lavoro in galleria.


Ma la complessa macchina lavorativa sotto le Alpi svizzere presentava una moltitudine di problemi. Nella galleria più lunga del mondo il lavoro era corale. C'era chi posava le reti per la messa in sicurezza del cunicolo, chi spruzzava il calcestruzzo per isolare le pareti, chi gettava le solette su cui sarebbero stati posati i binari, chi tirava i cavi elettrici e allestiva gli impianti, chi stendeva le condotte d'acqua, chi riparava i guasti meccanici, chi guidava i treni per portar dentro e fuori uomini e materiale. C’erano gli operai che scavavano i cunicoli di collegamento tra i due tubi ogni 250 metri. Ogni mansione ha la sua particolarità, i lati migliori e quelli peggiori.
A questi ultimi, il sindacato cercava di dare risposte valide per tutti. E quando i disagi non potevano essere evitati, ci si batté per compensarli economicamente. Dall’inizio della realizzazione dell’opera, le condizioni dei lavoratori sotterranei migliorarono progressivamente. I supplementi salariali per il lavoro a turni sono stati aumentati notevolmente, così come i salari minimi. Furono introdotte nuove indennità per lavoro usurante e le condizioni di vitto e alloggio nei villaggi dei cantieri migliorate. Conquiste poi ancorate nei contratti. Conquiste perché non furono dei regali padronali, ma frutto di lotte sindacali.
Nel 2002 vi fu il primo sciopero nel cantiere urano di Amsteg per le paghe. Cinque anni più tardi si scioperò a Sedrun per le indennità e le condizioni di lavoro. L’anno successivo fu la volta di Sigirino, paralizzata dallo sciopero per tre giorni.
Ma le migliaia di lavoratori provenienti dalle varie parti del globo impiegati ad Alptransit diedero prova di solidarietà internazionale, sostenendo anche le lotte dei colleghi edili elvetici. Nel 2002 non esitarono a incrociare le braccia nei cantieri della nuova trasversale alpina nell’ambito della lotta per il prepensionamento a 60 anni, pur essendo consapevoli che molti di loro non ne avrebbero beneficiato. Gli operai dell’Alptransit giocarono pure un importante ruolo nel duro conflitto tra sindacato e padronato per il rinnovo contrattuale del 2007. Gli operai di Bodio, Faido e Amsteg si fermarono per 24 ore.
I 5.000 operai di Alptransit non solo hanno realizzato un’opera storica, ma hanno contribuito non poco al progresso dei diritti del lavoro in Svizzera.

Pubblicato il 

24.05.16