Lo spettacolo offerto di questi tempi dalla Rsi è di basso livello. E non mi riferisco alla qualità dei programmi radiofonici e televisivi, bensì a come l’azienda, confrontata con la necessità di contenere i costi (tagli per 28 milioni di franchi) e quindi di dover anche ridurre l’organico (soppressione di 49 posti a tempo pieno), sta gestendo la gestione del personale. Il modo scelto per procedere ai licenziamenti, e ancor più quello per darne l’annuncio alle persone direttamente colpite dalla misura, sono stati inappropriati nella forma e devastanti nella sostanza, tant’è che lo stesso direttore Maurizio Canetta ha dovuto fare ammenda e il presidente della Corsi, Luigi Pedrazzini, affermare che quanto successo ha “reso visibili disagi che covavano da tempo”.


Questa brutta situazione avviene in un momento non particolarmente facile per il servizio pubblico radiotelevisivo, messo duramente sotto pressione da chi lo vuole certamente indebolire per poi magari persino eliminarlo. Il campanello d’allarme è suonato il 14 giugno 2015, quando il popolo svizzero ha approvato di strettissima misura l’introduzione di un sistema generalizzato di riscossione del canone, con una nettissima bocciatura proprio in quella Svizzera italiana che ne beneficia a piene mani (la Rsi riceve circa il 20% delle risorse finanziarie attribuite dalla Ssr pur contribuendo solo con il 4% tra canone e pubblicità alle entrate complessive a livello nazionale). Un segnale chiaro e forte, eppure quantomeno sottovalutato nei quartieri alti di Besso e Comano.


Il finanziamento del servizio pubblico radiotelevisivo sarà messo a dura prova quando si voterà sull’iniziativa cosiddetta “No Billag” che chiede l’abolizione pura e semplice del canone; una sua accettazione popolare farebbe saltare il banco. E non è ancora tutto perché, ammesso che questo scoglio venga superato, in prospettiva ce n’è un altro non meno difficile da superare, ovvero il rinnovo della concessione.


La Ssr è un patrimonio nazionale e la Rsi lo è della Svizzera italiana, entrambi sono un servizio pubblico fondamentale e quindi da mettere al riparo dall’ondata privatistica che in Svizzera si abbatte sui settori strategicamente importanti. Su questo non ci devono essere dubbi. Ma occorre l’impegno di tutti, in particolare dei diretti interessati.


Se già ci si trova sulla difensiva, si eviti almeno di fornire alla controparte le munizioni per spararci addosso; ed è proprio quello che la Rsi sta purtroppo facendo.
La cura dimagrante in quel di Besso e di Comano è inevitabile, su questo non ci sono dubbi. In discussione non è tanto il “cosa fare” quanto invece il “come farlo”. E lì, cara Rsi, i dubbi sono tanti, anzi troppi.

Pubblicato il 

17.02.16

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