L'intervista

“Poi mi dirai se il nome, quel Giusto, è azzeccato”, ci dice un collega quando gli raccontiamo che stiamo per andare a incontrare don Giusto Della Valle. Il prete di Rebbio che ha aperto la sua parrocchia ai migranti, diventando un punto di riferimento per quei disperati, perché tali sono, che arrivano a Como senza un oggi, con uno ieri drammatico e con un domani che chissà.

 

«Ah, mi stavate cercando e perché?» esordisce, ributtando la palla al centro quando una volontaria della sua parrocchia ci presenta. Confessiamo che immaginavamo di trovarci di fronte a un sacerdote rubicondo che, vestito di nero nella sua camicia col colletto rigido, ci avrebbe accolto con un sorriso bonario. Sbagliavamo, niente di tutto ciò che il nostro immaginario più scontato potesse fantasticare. Don Giusto, nei suoi riccioli scarmigliati e nella sua camicia a quadrettoni verdi, non ha tempo né voglia di convenevoli e scarica come una mitraglietta quello che sulla lingua gli pizzica dopo la tragedia dei due ragazzi folgorati su un treno Tilo: «Dovreste dirmi voi che cosa ne pensate. La Svizzera ospita il presidente della Repubblica camerunense: Paul Biya è pressoché in pianta stabile da voi. Mi dicono che a Ginevra, in un albergo di lusso, abbia riservato un piano intero per il suo clan. Ha la stessa nazionalità di quel giovane, che sta combattendo fra la vita e la morte, perché per lui le frontiere erano chiuse. Sarebbe interessante chiedere a Biya se è andato a rendere visita ufficiale al suo connazionale di cui è presidente al Centro ustionati di Zurigo...». Quel Biya che Amnesty International non smette di accusare di limitare le libertà e commettere violazioni dei diritti umani.


Don Giusto conosce bene il Camerun: ha una lunga esperienza pastorale nel nord di un paese di cui ha conosciuto dall’interno le violenze e le ingiustizie: «La prima moglie di Biya si dice sia stata uccisa con la complicità della massoneria: non rivelo nulla di nuovo. Nel 2008, in anticipo sulle primavere arabe, si è sollevato un grande movimento di protesta contro il costo della vita. La risposta del governo è stata quella della repressione armata. Su un ponte l’esercito ha fatto cozzare muso contro muso due blindati per schiacciare i manifestanti. A tutt’oggi non esiste un elenco ufficiale dei morti. Dovreste dirmi voi, che siete svizzeri, che cosa ne pensate. Constato che ci sono pesi e misure diverse: i ricchi possono muoversi liberamente nel vostro paese come vogliono. Gli altri, con una politica che chiude le frontiere agli ultimi, bruciano vivi sul tetto di un treno. Ci vorrebbe una manifestazione di protesta della società civile e dei movimenti a Ginevra sotto l’albergo del presidente del Camerun...» continua don Giusto.


Il prete di Rebbio, il quartiere più popoloso di Como, che si trova nella zona sud-ovest della città, si interroga anche sul diritto al lutto per l’altro ragazzo, il ventenne morto il 27 febbraio folgorato da una scarica altissima, mentre tentava di guadagnare la via di una vita migliore. «Voi giornalisti, indagate. Fateci sapere, dateci informazioni. Qui c’è una famiglia da rintracciare, ma che sia effettivamente quella del defunto, cui va riconosciuto un aiuto anche per le spese. Voglio sapere anche chi è il camerunense per attivare una serie di aiuti. Insomma, muovetevi anche voi...».


Don Giusto, che parla, si capisce, non per disperdere belle parole al vento, ma per tentare di soffiare sulle coscienze e smuoverle dalla loro pigrizia, ricorda «quanto succede a due ore da qui: in Libia, nei carceri a cielo aperto che sono i campi. Non sempre chi arriva da noi riesce a raccontare che cosa ha vissuto lì fra crudeltà, torture ed estorsioni di denaro. Se i soldi non arrivano dalle famiglie di origine, si resta in carcere. A Rebbio abbiamo avuto un ragazzo che è stato in prigione per tre anni senza macchia: il suo compito era portare i morti, anch’essi senza colpa, se non quella di non possedere nulla, nel deserto dove li sotterrava facendo dei buchi con le mani nella sabbia. Giovani come lui morti innocenti nei campi d’attesa di coloro che aspettano i barconi di massa per arrivare in Italia e passare dalla Svizzera per chi vuole andare in Germania. E chi pensa che tutto ciò si arresterà, si sta illudendo: il fenomeno non farà che aumentare nella nostra vecchia Europa. Occorrono ora altri tipi di risposta più sensati e di politiche più giuste e umane».


La Svizzera che accoglie come criterio chi mostra il conto bancario ben rigonfio alla faccia della moralità dei personaggi, i giornalisti che non sollevano abbastanza lo scandalo, la Libia con la sua barbarie sui migranti per la quale la comunità internazionale non interviene e infine il business delle armi. Don Giusto non tralascia nulla. «Assistiamo a una corsa al riarmo ovunque. Gli Usa hanno votato il 30 per cento in più di spese militari, togliendo finanziamenti alla sanità. Altrettanto hanno fatto Cina, Italia e Germania. Quelle armi andranno dove non andrebbero, se si vuole davvero frenare il terrorismo. E ritorna il discorso dell’ ingiustizia: le armi che uccidono possono circolare ovunque, le persone no».


Il Talmud, non ce ne vorrà il parroco di Rebbio per la citazione dal testo di riferimento ebraico, recita: «Chi salva una vita, salva il mondo intero». Dopo la seconda guerra mondiale, il termine “Giusti tra le nazioni” è stato utilizzato per indicare delle persone normali, che poste di fronte all’ingiustizia reagirono opponendosi anche a rischio della propria vita. Sono le “persone normali” che durante la Shoah salvarono la vita di almeno un ebreo senza trarne alcun vantaggio personale. La loro esistenza stessa dimostra che anche nelle situazioni peggiori, in cui l’assassinio era diventato legge di stato e il genocidio parte di un progetto politico, è comunque sempre possibile per tutti gli esseri umani fare delle scelte alternative. Don Giusto è stato battezzato così dai suoi genitori. Rispondiamo in questo modo al nostro collega che ci chiedeva se in questo caso davvero ci trovassimo di fronte a un caso di “nomen omen”, di presagio nel nome. Chi lo sa, lui è comunque don Giusto.
R.B.

Pubblicato il 

30.03.17
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