A Milano non c'è una Chinatown

«Tornate a casa vostra cinesi», non è difficile sentire queste parole ed altre decisamente più pesanti in via Paolo Sarpi a Milano. Dopo più di un mese dalla rivolta della comunità cinese gli animi non sono ancora sereni. I disordini erano scaturiti a seguito di una multa comminata alla signora Bu Ruowei, che ha in seguito accusato le forze dell'ordine di maltrattamenti. Ma era solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso dopo mesi di tensione. Mentre la giunta comunale sta cercando di trovare una soluzione per spostare i negozi dei grossisti cinesi – perché di un problema di viabilità si tratta – la situazione resta sospesa. Gli occhi sono aperti. Non solo quelli dei vigili che battono insistentemente la zona, ma anche quella dei commercianti cinesi che al minimo accenno di multa allungano orecchie e osservano con attenzione la scena. In questo reportage parlano commercianti, residenti ma anche un vigile stanco di dover «controllare i cinesi».

Una cosa è via Paolo Sarpi di giorno e un'altra cosa di notte. «La chiamano Chinatown, ma non è vero», ci ha detto a giusta ragione Dali Wang che abita nel quartiere e ci è cresciuto (si veda l'articolo sotto). Infatti il 95 per cento dei residenti è italiano. Esistono due strati, uno a livello della strada in cui i cinesi hanno avviato le loro attività e l'altro, quello superiore, in cui abitano perlopiù italiani. Sui balconi sono ancora appese le bandiere arancioni di "ViviSarpi", l'associazione dei residenti che si dice esasperata dal continuo viavai dei commercianti cinesi. Sulle bandiere c'è scritto: "Basta illegalità e ingrosso". Già, perché il nocciolo della questione starebbe nell'attività all'ingrosso dei cinesi che negli ultimi anni sono cresciute in maniera particolare. Ma di illegale c'è ben poco: diversi cinesi hanno acquistato a caro prezzo negozi e magazzini per i quali hanno regolare licenza per l'attività che vi svolgono. Mentre ora con un dietrofront il comune sta valutando di spostare le attività di ingrosso in un'altra zona. I cinesi ostruirebbero le vie con i loro affari e l'uso dei carrelli per il trasporto delle merci (vedi foto) – che venivano multati con particolare solerzia dai vigili – è stato limitato alla fascia oraria 10:00-14:00. Ma ci sono anche altre tesi: come quella non del tutto infondata di un particolare interesse immobiliare su un quartiere che si vorrebbe rivalorizzare con l'isola pedonale. Via Paolo Sarpi si trova non lontano dalla stazione ferroviaria di Porta Garibaldi e ha dei begli edifici storici. Qui si sono concentrate le attività della comunità cinese, ma anche curiosamente il numero di vigili che fanno su e giù per la via. Se camminate per la strada incontrerete almeno due o tre pattuglie attente alla minima violazione del codice stradale.
A microfoni spenti e lontano dal quartiere uno dei vigili accetta di parlarci: «Sono stanco di essere mandato lì. E sono stanco di coloro che mi fanno capire che devo essere inflessibile. Lo sanno tutti quale è la situazione dei parcheggi e del traffico a Milano. Non capisco perché qui dobbiamo usare un altro peso e un'altra misura». Il vigile ci ha detto di essere anche particolarmente preoccupato per l'atteggiamento troppo spavaldo di alcuni colleghi giovani «dobbiamo far rispettare le leggi, ma ogni tanto bisogna saper usare anche il buon senso. L'atteggiamento da sceriffo non si giustifica con il parcheggio in doppia fila».
A prova della particolare solerzia dei vigili c'è anche un video girato con una telecamera nascosta in cui un vigile spiega ad un italiano munito di carrello per le merci che in altri tempi non avrebbe dovuto dargli una multa ma che «probabilmente ora i cinesi ci stanno filmando, quindi mi deve capire».
I commercianti cinesi si dicono infatti particolarmente sottopressione dai controlli. «Non solo quelli dei vigili che appena ci fermiamo in auto o ci vedono con un carrello intervengono, ma anche quelli della finanza», ci ha detto uno dei negozianti.
La sera la faccia del quartiere cambia con la chiusura dei negozi, la Chinatown – che è solo economica – è sopita mentre le famiglie tornano a casa. I residenti ci hanno parlato delle difficoltà viarie dovute all'eccessiva concentrazione di negozi, non solo in via Sarpi, ma anche in via Bramante e via Niccolini. C'è chi si dice entusiasta del mix culturale che si è prodotto in zona mentre altri non nascondono di avere paura «che nel mio quartiere di giorno si sente parlare solo cinese».

"La comunità sta aspettando"

Canticchiano le canzoni italiane, vestono come i giovani di Milano e sono perfettamente integrati. Sono i giovani cinesi di seconda generazione di Milano che da un paio di anni hanno dato vita al progetto Associna che conta già un migliaio di membri iscritti. Sul sito web si confrontano, organizzano incontri e lottano per combattere i falsi miti e luoghi comuni sui cinesi d'Italia. Non sono neppure mancati i contributi sugli incidenti di via Paolo Sarpi. Dali Wang, che in questo quartiere ci è cresciuto e vi abita da quando aveva 3 anni,  ha vissuto tutta l'evoluzione di via Sarpi. Dai primi anni in cui i genitori lavoravano per risparmiare denaro per avviare un'attività fino al boom dei grossisti avvenuto negli ultimi 5 anni. «Ci sentiamo tenuti d'occhio, credo davvero che c'è una diversa parità di trattamento nei nostri confronti».

Dali Wang quale è la situazione in via Paolo Sarpi a più di un mese dagli scontri?

Gli animi si sono un po' raffreddati anche se la tensione non è ancora svanita del tutto, i controlli dei vigili sono ancora a tappeto (si veda l'articolo sopra, ndr). La comunità cinese sta aspettando di vedere quali saranno i risultati delle trattative con il Comune. La situazione era già tesa almeno da due mesi prima degli incidenti. Ci sentiamo tenuti sott'occhio, le autorità sono molto pressanti. Non ci sono solo i vigili urbani che danno multe, ma abbiamo l'impressione che anche altri tipi di controlli sui negozi siano più frequenti che in altre zone. Come ad esempio quelli della finanza. Sicuramente c'è un trattamento diverso. Il problema del traffico è comune a molte zone di Milano, basta andare in viale Padova o in zona navigli. Ci sono le medesime problematiche che abbiamo qui. Ma in queste zone non ci sono controlli pressanti come in via Paolo Sarpi. Chiaro, i vigili fanno il loro lavoro: posteggiare in doppia fila è vietato. Ma fatevi un giro a Milano per vedere quale è la situazione. C'è una diversa parità di trattamento. Non c'è un'applicazione omogenea delle regole. Non si tratta di illegalità manifesta come dicono i leghisti o la Moratti, si tratta di un problema di traffico.
Per quale motivo siete tenuti sott'occhio?
Non saprei rispondere a questa domanda. In parte è dovuto alla pressione dell'associazione dei residenti "ViviSarpi" che ha un contatto più facile con le autorità, poi alle promesse date dal sindaco durante le elezioni....  ma sinceramente credo che ci siano anche altre ragioni e in particolare grossi interessi di speculazione di fondo e di ripianificazione del territorio milanese. Inoltre c'è l'idea diffusa di via Paolo Sarpi come "Chinatown" ghetto – ma il 95 per cento dei residenti sono italiani – e  che in via Paolo Sarpi i cinesi abbiano una zona grigia in cui possono agire indisturbati. Chissà cosa combiniamo e quali loschi traffici stiamo facendo. Sembra che sia tutto fatto sottobanco con cantine e laboratori clandestini.
Chi sono i cinesi di via Sarpi?
Sono perlopiù immigrati economici che sono venuti in Italia per lavorare. È un'immigrazione recente, ora siamo alla seconda generazione. La maggioranza dei cinesi che sono qui provengono dallo Zhejiang, una regione nel Sud Est della Cina. Siamo emigrati da una zona vicina a una città che si chiama Wenzhou, famosa in Cina per l'intraprendenza imprenditoriale dei suoi abitanti. La maggior parte è venuta senza una grande disponibilità di denaro. Poi con quello che hanno risparmiato e con quello che si sono fatti prestare da parenti e da amici – da noi la famiglia è molto importante ed è quindi più facile mettere insieme il denaro – sono riusciti ad avviare un'attività. È il fine ultimo dei cinesi che arrivano in Italia: cioè quello di passare dal livello di dipendente – che è considerato uno stato non ottimale – a quello di libero imprenditore. Non c'è paura di investire e assumere rischi imprenditoriali. Via Paolo Sarpi incarna questo sogno.
Una delle tesi è che con il rafforzarsi delle vostre attività, specialmente quelle all'ingrosso, state pestando i piedi ai commercianti italiani. Una volta erano loro che importavano dalla Cina e rifornivano mercati e negozi. Ora siete voi che lo fate. E si dice a prezzi più bassi.
Non saprei, forse è percepito così. Ma in generale secondo me non è vero. Il commerciante italiano – di solito di piccola impresa –  non ha mai importato prodotti dalla Cina e tanto meno ha trattato prodotti uguali a quelli che sono venduti dai grossisti in Paolo Sarpi.  Il boom dei grossisti si è cominciato ad avvertire negli ultimi 4-5 anni. Specialmente per quanto riguarda il tessile. E tantissima è la clientela italiana. Si dice anche però che ci sono forti interessi immobiliari sulla zona. Se si dovesse realizzare la zona pedonale (prevista inizialmente per luglio e ora per data da definire, ndr) trasformando via Sarpi in una sorta di via Montenapoleone i prezzi aumenterebbero moltissimo. Chiaro che in questi termini c'è interesse a mandare via i cinesi.
Cosa si aspetta ora la comunità?
I rappresentanti dei commercianti stanno trattando col Comune. Non sappiamo cosa sta succedendo, c'è una mancanza di comunicazione e di informazione. Vorremmo sapere cosa succede. I commercianti portano avanti i loro interessi, ma qui ci sono in gioco quelli di tutta una comunità. Mi sembra assodato però che il Comune sposterà i grossisti in un'altra zona di Milano. Bisogna vedere come, quando e dove. Alcuni dei commercianti in zona sono proprietari o sono subentrati in subaffitto. Spesso a prezzi molto alti. Le attività sono tutte regolarmente registrate. Il fatto che Milano abbia concesso loro la licenza per l'attività e che ora voglia fare un passo indietro è il cruccio e l'insoddisfazione dei commercianti. Hanno investito un sacco di soldi e ora rischiano di essere delocalizzati. Chiaramente con il pericolo di perdere la clientela e con un'altra serie di problemi.
Il governo cinese e il console hanno reagito con decisione ai fatti di via Sarpi. Ve lo aspettavate?
No. La presa di posizione non solo dal console, ma anche dalla Cina ci ha stupito. Devo dire che ci ha fatto piacere il fatto che il nostro governo sia intervenuto per difendere una comunità molto piccola come la nostra di Milano. Non siamo abbandonati, è questo quello che abbiamo provato.
Come giudica l'atteggiamento delle istituzioni italiane nei confronti della vostra comunità? Il sindaco Moratti ha parlato di "zona franca", Mastella ha detto che "i cinesi non possono pensare di vivere in aree extraterritoriali"….
Sono dichiarazioni infelici. C'è un clima di diffidenza nei nostri confronti. Negli ultimi tempi il senso di intolleranza è cresciuto purtroppo. Eppure siamo ragazzi come altri, abbiamo amici italiani, abbiamo fatto qui le scuole, siamo andati all'università. Alcuni di noi non sanno neppure più parlare il cinese.

Pubblicato il

25.05.2007 01:00
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