Al capezzale della sanità cubana

A Cuba può succedere che a dei bambini malati di leucemia o di altre forme di cancro non possano essere somministrati i farmaci di cui necessitano perché l'azienda  che li produce si rifiuta di fornirli, nel nome di quell'embargo commerciale, economico e finanziario contro la Repubblica socialista imposto dagli Stati Uniti da ormai mezzo secolo. Quello stesso embargo che in talune circostanze priva i chirurghi cubani di dispositivi endovascolari, costringendoli a operare a torace aperto bambini affetti da gravi patologie cardiache. È per cercare di rimediare a situazioni assurde e disumane come queste che nel 1992 un gruppo di medici e semplici cittadini svizzeri fondò l'associazione Medicuba.

Associazione che in vent'anni, grazie alla generosità di migliaia di donatori, sin qui ha investito oltre cinque milioni di franchi in importanti progetti di aiuto medico, alcuni dei quali ancora in piena realizzazione. Progetti a sostegno della produzione di medicamenti (in particolare antibiotici), del miglioramento dell'infrastruttura ospedaliera e della prevenzione, di cui area ha parlato con il noto oncologo ticinese Franco Cavalli, direttore scientifico dell'Istituto oncologico della Svizzera italiana (Iosi) di Bellinzona, co-fondatore e vicepresidente di Medicuba Svizzera, e con la dottoressa Patrizia Frösch, co-presidente nazionale dell'associazione e medico oncologo dello Iosi.
Con loro cerchiamo innanzitutto di capire perché Cuba, che presta aiuto medico in 77 paesi del mondo, ha avuto e continua ad aver bisogno di un'organizzazione come Medicuba. Un bisogno che affonda le sue radici nei cambiamenti epocali avvenuti in Europa tra la fine degli anni Ottanta e l'inizio degli anni Novanta, con la caduta del muro di Berlino, la fine dell'Unione Sovietica e il dissolvimento del blocco di paesi satelliti. Eventi che per Cuba hanno significato la perdita dei principali partner commerciali e dunque un rapido scivolamento nella più grave crisi economica della storia dell'isola, che rischiava di compromettere le importanti conquiste sociali della Rivoluzione.  
«Prima del 1990 il sistema sanitario cubano era ben sviluppato – spiega Franco Cavalli – A tal punto, che già nella seconda metà degli anni Ottanta l'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) lo aveva indicato come il modello ideale verso cui i paesi del Terzo mondo avrebbero dovuto tendere. Ideale sia come struttura, basata sulla centralità e la presenza capillare sul territorio della figura del medico di famiglia, sia per il livello delle varie specializzazioni, della formazione e della ricerca. Poi però gli sconvolgimenti nei paesi dell'Europa dell'Est, da cui Cuba importava praticamente tutto per il settore sanitario (e anche per altri), hanno fatto piombare il paese, già alle prese con l'embargo americano, in una situazione di grande difficoltà e senza sbocchi alternativi. Ricordo ancora molto bene che dopo due o tre anni nei centri anti-tumorali di tutte e quindici le province dell'isola non c'era più una sola unità di radioterapia che funzionasse perché mancavano i pezzi di ricambio. E lo stesso valeva per gli equipaggiamenti pesanti di sala operatoria, così come per i farmaci».
È dunque in questo contesto che nel 1992 è stata fondata Medicuba, che in un primo tempo ha svolto in un certo senso la funzione di "pompiere": «All'inizio – racconta Cavalli – cercavamo di sopperire alle carenze che si creavano nel sistema sanitario cubano, soprattutto fornendo puntualmente il materiale che veniva a mancare nelle strutture ospedaliere: un endoscopio, una macchina, un farmaco». «Siamo per esempio intervenuti quando era venuto a mancare un farmaco specifico per l'oncologia pediatrica, che veniva acquistato da una ditta messicana poi venduta a un'azienda americana, la quale da un giorno all'altro, nel nome dell'embargo, ha interrotto la distribuzione. Medicuba ha dunque acquistato il prodotto qui in Svizzera e l'ha fatto pervenire a Cuba, dove per fortuna nel frattempo il problema si è risolto grazie ad un accordo commerciale con la Cina», spiega la dottoressa Frösch.
Sempre in questo ambito, l'associazione vanta tra le sue realizzazioni l'apertura di una fabbrica (tra l'altro interamente progettata in Ticino) per la produzione di medicamenti generici anti-tumorali. «Un progetto – ricorda Cavalli –  messo in piedi grazie ad un finanziamento iniziale della Confederazione svizzera e poi ripreso da Medicuba Europa (organizzazione nata sulla spinta di Medicuba Svizzera, ndr), che continua a occuparsi di fornire la materia prima necessaria».
In vent'anni Medicuba ha investito la bellezza di oltre cinque milioni di franchi (frutto di donazioni volontarie) e realizzato molteplici progetti di aiuto medico: si va dalla costruzione, nel centro di diversi villaggi, di case con studio annesso per i medici di famiglia, alla ristrutturazione di un ambulatorio in uno dei quartieri più popolosi e popolari della capitale l'Avana, al finanziamento del primo progetto di cure palliative per malati tumorali, alla partecipazione a programmi specifici per l'individuazione precoce del diabete, della mucoviscidosi o delle infezioni nei bambini che hanno subito trapianti di organi, fino a un programma di prevenzione dell'Aids, già entrato nella sua terza fase e che «sta dando importanti risultati», sottolinea Patrizia Frösch, che allo stesso ha partecipato in prima persona durante il suo soggiorno a Cuba per un master universitario sette anni or sono: «Già all'epoca esisteva un piano di prevenzione dell'infezione da virus Hiv (responsabile dell'Aids, ndr) e c'era la disponibilità di farmaci per pazienti sieropositivi, ma restava (e resta tutt'oggi) ancora molto da fare perché la diffusione della malattia è in incremento, soprattutto all'interno della popolazione omosessuale. In questa fase si stanno dunque compiendo sforzi particolari per la prevenzione della malattia in questo gruppo a rischio, grazie soprattutto   all'aiuto di volontari cubani, che si recano nei locali gay e nelle spiagge di turisti per distribuire profilattici,  informare sul rischio d'infezione e per realizzare test veloci che verifichino immediatamente la presenza dell'infezione». Ma grazie al contributo di organizzazioni di aiuto medico come Medicuba, si sono già conseguiti risultati importanti in questo campo: «Sono per esempio pochissimi i bambini cubani affetti da Hiv – ricorda Patrizia Frösch – perché i programmi di prevenzione sulla trasmissione della malattia da madre a bambino stanno dando i loro frutti. L'obbligo per tutte le donne incinte di sottoporsi a un test Hiv consente infatti nella maggior parte dei casi di sieropositività di prendere le necessarie contromisure per evitare l'infezione nel neonato».
Merita infine una menzione la creazione dell'Osservatorio cubano del cancro, una sorta di registro che raccoglie i dati epidemiologici di tutti i nuovi casi di pazienti con tumori e che «consentirà di meglio capire la diffusione delle varie forme della malattia e di meglio intervenire sia sul fronte della prevenzione sia su quello della terapia», spiega il dottor Cavalli. Medicuba svizzera finanzia in particolare le infrastrutture, le attrezzature così come la formazione delle persone addette.  
Dottor Cavalli, la grave crisi economica che ha colpito Cuba all'inizio degli anni Novanta ha avuto ripercussioni tali sul sistema sanitario da creare danni visibili, per esempio sul piano della mortalità?
Fortunatamente no. Come dicono gli stessi cubani, in questo paese si vive come persone del terzo mondo ma si muore come gente del primo mondo: l'aspettativa di vita e la mortalità infantile sono tuttora uguali a quelle della Svizzera e dei paesi occidentali in generale. Questo anche grazie al fatto che Cuba non ha mai smesso di investire massicciamente nella formazione (ancora oggi è tra i paesi che sfornano più medici al mondo) e nella ricerca medica e biologica, che per qualità si colloca subito dietro quelle di Europa, Stati Uniti e Giappone. E poi anche da un punto di vista economico più generale Cuba ha recuperato molto terreno rispetto agli inizi degli anni Novanta, soprattutto grazie al turismo, all'alleanza con il Venezuela e all'apertura di canali commerciali con la Cina.
E per quanto riguarda il sistema sanitario in particolare, Cuba ha recuperato gli strumenti necessari per praticare la scienza medica?
In buona parte sì, ma a condizioni più difficili di un tempo. Il blocco economico imposto dagli Stati Uniti (che nel frattempo è stato inasprito a due riprese, nel 1994 e nel 1996) produce infatti un aumento dei costi: se Cuba riesce per esempio comprare un equipaggiamento medico in Spagna o in Giappone (il che già non è scontato), lo paga di più perché il venditore corre il rischio di subire ritorsioni dagli Stati Uniti, la cui legge prevede sanzioni per qualsiasi entità economica che commerci con Cuba. La stessa Ubs, attraverso cui Medicuba trasferiva il denaro, a un certo punto è stata minacciata di una multa da parte degli Usa e ha smesso di prestare questo servizio. Alla luce di questa situazione, anche noi spesso quando dobbiamo acquistare degli strumenti destinati a Cuba, siamo costretti a ordinarli a nome dell'Ospedale San Giovanni o dell'Ospedale universitario di Zurigo, perché altrimenti corriamo il rischio che il fornitore si rifiuti venderceli.
L'aiuto medico internazionale rimane dunque tuttora fondamentale per la sopravvivenza della sanità cubana?
Non in termini assoluti, ma la medicina è molto complessa: basta poco per mandare in tilt l'intero sistema. È come un muro che per stare in piedi ha bisogno di tutti i mattoni, e il compito di un'associazione come Medicuba è quello di intervenire per fornire quelli mancanti.
Il Governo cubano accetta di buon grado gli aiuti internazionali?
Per quanto riguarda Medicuba, una delle pochissime associazioni riconosciute, la collaborazione oggi è ottima, ma all'inizio era stata dura. Loro erano abituati ad avere a che fare con movimenti di solidarietà che versavano dei contributi in denaro alla loro struttura internazionale che raccoglie questo tipo di proventi, ed hanno fatto fatica ad accettare che il nostro contributo fosse esclusivamente legato a progetti concreti e che il nostro rappresentante cubano sul posto gestisse i soldi donati.

Pubblicato il

06.07.2012 04:00
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