Amianto, Schmidheiny nel mirino

I vertici della Eternit sapevano. Conoscevano i pericoli per la salute nascosti nelle fabbriche italiane del gruppo dove si lavorava l’amianto-cemento. Ad esserne convinti sono gli avvocati difensori delle vittime e dei loro familiari che mercoledì a Genova hanno chiesto il sequestro conservativo dei beni per un importo di 60 milioni e 100mila euro a Stephan Schmidheiny, ex boss della multinazionale con sede a Niederurnen (Glarona). La notizia è stata riportata mercoledì dal quotidiano la Repubblica. L’azione legale rappresenta un salto di qualità nei tentativi di inchiodare la Eternit alle sue responsabilità. Sin qui i processi – alcuni ancora in corso, altri terminati con condanne a pene detentive e pecunarie – hanno riguardato esclusivamente i dirigenti svizzeri e italiani delle fabbriche della Eternit in Italia. Da qualche tempo però i fratelli Stephan e Thomas Schmidheiny figurano fra gli indagati delle procure di Torino e Siracusa. E ora a Genova a Stephan viene lanciata una nuova sfida (Thomas sarebbe stato risparmiato per aver già risarcito i familiari delle vittime e degli ex dipendenti ammalati di Siracusa). Stando a quanto scrive la Repubblica, alla fine dell’estate scorsa un paio di ex dirigenti della Eternit in Italia e in Svizzera avrebbero cominciato a collaborare con le autorità giudiziarie italiane, portando nuovi elementi a carico dei vertici della multinazionale. Le accuse hanno indotto il procuratore aggiunto di Torino, Raffaele Guariniello, e il procuratore capo di Siracusa, Giuseppe Campisi, ad aprire nuove indagini per accertare le eventuali responsabilità dei fratelli Schmidheiny nella morte e nelle malattie dei loro dipendenti in Italia. Dalla documentazione che i legali delle vittime hanno messo a disposizione degli inquirenti risulterebbe che Stephan Schmidheiny abbia “influenzato” i dirigenti locali dell’azienda in modo che «non emergesse mai l’assetto delle reali responsabilità» e che essi «non collaborassero con le autorità giudiziarie italiane e svizzere», scrive la Repubblica.

Pubblicato il

03.12.2004 01:30
Stefano Guerra
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