Amianto, ora i responsabili paghino

Il Tribunale federale ordina un nuovo processo per stabilire il diritto al risarcimento dei familiari di una vittima dell’amianto: caso non prescritto

Sono trascorsi più di 10 anni da quel 10 novembre 2005, quando Hans Moor morì soffocato dall’amianto che aveva respirato durante l’intera vita lavorativa. Ma presto, finalmente, il competente tribunale di Baden si chinerà sulle richieste di risarcimento all’ex datore di lavoro avanzate dai suoi familiari, a cui dal suo letto di morte, ormai senza fiato e attaccato ad una bombola d’ossigeno 24 ore su 24, aveva chiesto di portare avanti la battaglia per la giustizia «fino alla fine». Una battaglia lunghissima, fatta di tante delusioni e di tante sconfitte (prima davanti alle due istanze giudiziarie del Canton Argovia e poi al Tribunale federale), ma che è all’origine della storica sentenza emessa l’11 marzo 2014 dalla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo che condanna la Svizzera per la sua prassi in materia di prescrizione e le impone un cambiamento di rotta.

È proprio grazie a questa sentenza che il Tribunale federale il 26 novembre scorso ha accolto l’istanza di revisione del processo presentata dal legale della famiglia Moor, l’avvocato zurighese David Husmann, e rinviato la causa al Tribunale del lavoro di Baden «per una nuova decisione» che «non consideri la questione della prescrizione», sin qui sempre invocata dalle varie istanze che si sono occupate del caso per giustificare la non entrata in materia.


Come ha infatti stabilito la Corte di Strasburgo, la legislazione svizzera in materia di prescrizione e l’interpretazione data dai tribunali a questo istituto (che definisce il periodo di tempo a disposizione di un cittadino per far valere una determinata pretesa davanti a un’autorità giudiziaria) violano, nel caso delle vittime dell’amianto, il diritto di far valere delle pretese di carattere civile davanti a un tribunale. Ciò in virtù soprattutto del fatto che nel nostro paese i 10 anni previsti dalla legge (attualmente in fase di revisione) sono sempre stati calcolati a decorrere dal momento in cui la persona ha subito l’ultima esposizione continuativa alle polveri. E non, come logica vorrebbe visti i lunghi tempi di latenza delle malattie asbesto-correlate, da quando subentra il danno.


Ora, grazie alla tenacia e alla combattività della vedova e delle figlie di Hans Moor e all’abilità del loro legale, la logica è stata ristabilita e il tribunale di Baden dovrà chinarsi sul caso e valutare l’istanza di risarcimento del danno e di riparazione del torto morale (per complessivi 213.000 franchi) nei confronti di Alstom Svizzera, successore in diritto delle società per cui Moor aveva lavorato e che erano venute meno all’obbligo di tutelare la salute dei loro dipendenti.


«Finalmente ci prendono sul serio», commenta la vedova Renate Howald Moor (nella foto in basso), pur consapevole che con la recente decisione del Tribunale federale la procedura (che si era iniziata il 25 ottobre 2005, pochi giorni prima del decesso della vittima, 58 enne) riprende «dalla casella di partenza» e non sarà né semplice né breve. Ma non importa: «Si riaccende la speranza che un minimo di giustizia possa essere stabilito». E non è tanto una questione finanziaria: «Il risarcimento è secondario. Lo scopo della nostra famiglia è quello di ottenere un cambiamento delle regole sulla prescrizione, in modo che in futuro venga sempre calcolata a partire dal momento in cui subentra il danno».
Purtroppo il dibattito in corso alle Camere federali non lascia intravedere una soluzione equa per le vittime dell’amianto (il Consiglio degli Stati si occuperà della questione il 15 dicembre) e in linea con le osservazione della Corte di Strasburgo. Ma staremo a vedere.


Altrettanto difficile si preannuncia il nuovo procedimento di Baden sul caso di Hans Moor, in particolare il riconoscimento delle responsabilità dell’ex datore di lavoro. Questo nonostante gli errori gravi, macroscopici e protratti nel tempo, che emergono con chiarezza dalla ricostruzione della storia professionale di Moor peraltro ben descritta negli atti giudiziari sin qui sempre ignorati dai tribunali.


Durante l’intera vita professionale Hans Moor si è occupato del montaggio e della manutenzione di turbine. Sempre per lo stesso datore di lavoro, nonostante l’azienda per cui lavorava all’inizio (la Maschinenfabrik Oerlikon) nel corso degli anni abbia più volte cambiato proprietà essendo stata poi rilevata dalla Asea Brown Boveri (Abb) fino a finire, all’inizio degli anni Duemila, sotto il controllo di Alstom. E sempre, per 42 anni, a diretto contatto con l’amianto.


La prima volta è capitato già al terzo anno di apprendistato, nel 1965: era stato impiegato nel montaggio di turbine a vapore. Come regolarmente negli anni successivi: nel 1967 presso la centrale nucleare di Beznau, nel 1968 e nel ‘69 in Danimarca, tra il 1970 e il 1973 in Australia, poi in Algeria e di nuovo in Australia. Per tutti questi anni Hans Moor è stato a contatto con l’amianto nel 70 per cento del suo tempo di lavoro, in particolare quando si occupava del montaggio o della revisione delle turbine. Un’operazione quest’ultima che imponeva di grattare via l’amianto (che veniva spruzzato in due strati attorno all’involucro come isolante dal calore) e che dunque produceva un gran sollevamento di polvere.
«Il materiale polveroso si depositava sui vestiti di lavoro e in parte ce lo portavamo anche a casa», ricordava nel 2004  Moor illustrando il suo caso ad un funzionario della Suva dal suo letto d’ospedale dove si stava sottoponendo alle prime terapie.


Ma non solo: come confermato da numerose testimonianze raccolte dall’avvocato Husmann, nessuno dei lavoratori coinvolti era informato della pericolosità dell’amianto: la prima circolare in cui si fa riferimento a ciò è stata emessa dalla Abb solo nel 1989, vale a dire un anno prima della messa al bando da parte della Confederazione di questo materiale un tempo considerato “miracoloso” per le sue proprietà isolanti e per la sua economicità.


Ma questo non vuole ancora significare che in seguito i lavoratori venissero informati: Ad Hans Moor ancora nel 1992 e nel 1996, quando fu mandato a fare lavori di revisione di turbine negli Stati Uniti e sull’Isola caraibica di Aruba, non è mai stato né imposto né consigliato di portare anche una semplice maschera di protezione. Non esistevano nemmeno impianti d’aspirazione e gli operai lavoravano in mezzo alla polvere. Soprattutto quando i lavori di revisione non avvenivano in fabbrica ma direttamente nelle centrali elettriche, dove il rispetto dei valori limite di polverosità non veniva neppure verificato. Due fotografie ricordo scattate da Moor a 26 anni di distanza l’una dall’altra  mostrano con evidenza come le condizioni di lavoro ad Aruba nel 1996 fossero praticamente le stesse che erano state documentate durante i lavori di revisione di una turbina a vapore a Dalum (Danimarca) nel 1970!


Hans Moor, come tutti i lavoratori venuti in contatto con grossi quantitativi di polveri di amianto, aveva insomma prenotato la morte. Il suo calvario è incominciato il 7 marzo 2004 con la diagnosi: mesotelioma pleurico maligno, il classico tumore da amianto che il 10 novembre dell’anno successivo lo avrebbe ucciso.
Ora è venuto il tempo che qualcuno paghi per tutto questo.

Pubblicato il

03.12.2015 15:18
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