Anno XVI numero 5

L'editoriale
27.03.2013

di 

Claudio Carrer

Un illustre cittadino svizzero è dal 2009 sotto processo in Italia. Accusato di reati gravissimi, è già stato condannato in prima istanza a sedici anni di carcere ed ora è in attesa della sentenza di secondo grado. È il miliardario e sedicente filantropo Stephan Schmidheiny, già membro dei consigli d’amministrazione di importanti società elvetiche (come Ubs, Abb, Swatch, Nestlé) e soprattutto ex “patron” della multinazionale dell'amianto Eternit. Non proprio uno svizzero qualunque.

Articoli

Verso le elezioni comunali
27.03.2013

di 

Francesco Bonsaver

Il 14 aprile i luganesi sono chiamati a eleggere il consiglio comunale, il municipio e il sindaco della nona città della Svizzera, la prima del cantone. Una città che al pari di molte altre, al suo interno presenta forti disparità sociali ed economiche.

Ticino
27.03.2013

di 

Raffaella Brignoni

La penosa situazione che vivono le badanti polacche in Ticino, portata alla luce da un’inchiesta del nostro giornale, ha avuto echi. La redazione DOK & Reporter della SRF– canale televisivo nazionale – intende venire in Ticino per un reportage sulla vicenda. Intanto le lavoratrici, riunitesi in un collettivo, vengono sostenute da Unia, che ha intrapreso i necessari passi sindacali per tutelarle e ripristinare un quadro ora ai limiti dello sfruttamento.

Ticino
27.03.2013

di 

Francesco Bonsaver

Meno di 2.700 franchi lordi mensili. Lo ricevono per 42 ore settimanali il 60 per cento dei lavoratori interinali impiegati da agenzie non sottoposte al ccl obbligatorio. Oltre che precari, con paghe da fame, dunque.

E quanto emerge dalle verifiche svolte dall’Ispettorato del lavoro su questa tipologia di lavoratori per incarico della Commissione Tripartita.

Svizzera
27.03.2013

di 

Veronica Galster

Gli anti-abortisti tornano alla carica con due iniziative popolari e l’interruzione di gravidanza fa nuovamente discutere i politici, a 11 anni dall’approvazione della soluzione dei termini.

Iniziativa Avs plus
27.03.2013

di 

Silvano De Pietro

L’Unione sindacale svizzera (Uss) – con il sostegno delle federazioni sindacali Unia e Sev, nonché del Partito socialista svizzero (Ps) e dei Verdi – ha avviato la scorsa settimana la raccolta delle firme per l’iniziativa federale popolare “Avs-plus”. L’obiettivo è quello di inserire nella Costituzione una disposizione transitoria che afferma: «I beneficiari di una pensione di vecchiaia hanno diritto ad un supplemento del 10 per cento della loro pensione».

L'Italia di Grillo
27.03.2013

di 

Loris Campetti

Moody’s aspetta l’esito delle consultazioni prima di dare i voti all’Italia. In poche parole, o il segretario del Partito democratico (Pd) Pierluigi Bersani raccoglie una maggioranza per governare, oppure saranno dolori. Con il verbo “governare” l’agenzia di reating intende una cosa sola: continuare l’opera antisociale avviata dal governo Monti e obbedire ai diktat della troika europea.

Rubriche

27.03.2013

di 

Nicola Emery

Architetti, urbanisti e pensatori cercano spesso di chinarsi, con le loro matite rosse o nere, sul tema dell’abitare. Alcuni grandi quotidiani dedicano supplementi patinati a ville e giardini sempre più “smart” e “green”: promesse di felicità. All’estetica  della casa si dedicano poi corsi universitari, ricordando immancabilmente che “poeticamente abita l’uomo”, come recita una sentenza di Heidegger, il filosofo tedesco che mentre la enunciava, taceva al contempo i crimini del nazismo.


Certo, Heidegger resta un importante filosofo, ma poi viene come minimo da obiettare che non si doveva vivere tanto ‘poeticamente’ in Germania, a cavallo della grande depressione e soprattutto  dopo il 1933, costretti a subire l’evacuazione forzata di interi quartieri demoliti per realizzare i “piani urbanistici” di Albert Speer. L’architetto di Hitler anche al processo di Norimberga si difese osservando che il suo operato era di natura puramente “tecnica” e “artistica”. Ma il fatto è che quegli sfratti forzati e quei traslochi in massa ponevano le premesse materiali  per la successiva dislocazione nei lager di migliaia di ebrei e irregolari. Anche se  Speer fosse stato in buona fede argomentando la sua autodifesa “tecnica”, il che manifestamente non fu, il suo caso testimonia in modo brutale la dimensione intrinsecamente politica legata alla pianificazione dello spazio e al rispetto, o alla negazione violenta, del diritto alla casa, del diritto all’abitare.


Anche per questo ritengo che sarebbe ora di porre al centro dell’ attenzione e della formazione dei futuri tecnici, architetti ecc., non la mistificazione di un abitare da sogno, ma la critica dell’inabitabilità del mondo, ossia di una condizione che sempre più si diffonde nel cuore stesso dell’occidente, testimoniando sui marciapiedi di molte città, fra i gelidi cartoni degli homeless, il ritorno di una dislocazione perpetua semplicemente disumana. Qualche tempo fa è stato presentato il primo censimento delle “persone senza dimora” in Italia, e ne è risultato un esercito di quasi cinquantamila persone, che sopravvive tra mense, strutture d’accoglienza, stazioni ferroviarie e marciapiedi.


Proprio mentre scrivo, arrivano dalla Confcommercio dati che parlano altresì di 4 milioni di “nuovi poveri” . I senzatetto accertati (per quanto i dati reali sono sicuramente maggiori) formavano già nell’ ottobre 2012 una popolazione numericamente pari a quella di una città come Mantova, costituita non solo da immigrati e disoccupati, ma appunto anche da molti woorking-poor, che nonostante lavori e lavoretti con i salari da fame non ce la fanno. Ovviamente, non è solo all’ Italia che bisogna pensare. Esemplare è da tempo il caso di Detroit, la “motor-city” per definizione degli Usa nella quale la crisi e la trappola dei mutui sub-prime ha trasformato in homeless larghi strati di popolazione. Vengono alla memoria le drammatiche pagine di John Steinbeck, i paesaggi di ruderi e rovine descritti in Furore, il capolavoro da lui dedicato alla grande depressione del ’29, ed ora già si parla di de-urbanizzazione. Non c’è che dire, nel presente la città dei senza casa ritorna ad assumere dimensioni mondiali. Facciamo dunque attenzione a queste analogie fra il passato e il presente, alle inquietanti  corrispondenze attorno alle figure dell’inabitabilità, della dislocazione e della negazione del diritto stesso all’abitare.

 

Anche nelle cittadine svizzere e nei ridenti ‘paeselli’ montani è all’ordine del giorno la rimozione (in senso psicologico, oltre che fisico) degli asilanti, vergognosamente dislocati non solo da ogni centro, ma pressoché da ogni possibile e reale luogo visibile. Gli anni Trenta non si ripeteranno, e gli Albert Speer non ritorneranno, ma è bene ricordare che le promesse del “capitalismo di stato totalitario” riscossero il loro consenso imponendo la loro biopolitica non solo con il terrore, ma anche attuando una ridistribuzione razzista di luoghi e mezzi. Case, luoghi “purificati” e vita epurata: per soli ariani, per soli autoctoni… Attenzione, affermiamo con  forza un’altra realtà, ricordiamo con azioni politiche e sociali che garantire il diritto alla città e all’abitare resta umanamente prioritario rispetto a qualsiasi retorica purista “territoriale” , identitaria e magari anche pseudo-ecologica.

27.03.2013

di 

Chiara Orelli Vassere

Recenti fatti di cronaca hanno di nuovo portato alla ribalta il tema della violenza domestica all’interno delle comunità migranti: un tema mediaticamente di impatto, e dunque cavalcato senza troppi scrupoli da chi è alla ricerca di titoli ad effetto, ma dietro al quale si celano realtà drammatiche.


La violenza domestica è un fenomeno non specifico delle comunità migranti: riguarda tutti, tutte le nazionalità e tutte le culture. Al di là della valutazione quantitativa di un’eventuale prevalenza della violenza domestica presso gli stranieri (intesi sia come autori sia come vittime della violenza: è evidentemente possibile che a commettere violenza a casa di una moglie di origine straniera sia un marito svizzero), è pure vero che i fattori di rischio per le donne (il genere più colpito da violenza domestica) senza passaporto svizzero sono maggiori che per le donne svizzere. Nell’alta incidenza della violenza domestica tra il gruppo di popolazione ‘stranieri’ incidono, in altri termini, più che la nazionalità in sé, un insieme di fattori di natura socioeconomica (reddito, disoccupazione o sottoccupazione, alloggio precario eccetera), culturale (rappresentazione tradizionale dei ruoli, stress da adattamento e da transizione determinata dalla migrazione stessa) o individuale (giovane età eccetera), cui si associa la spesso difficile integrazione nel contesto locale. Un ostacolo importante all’emersione della violenza domestica è poi determinato dalle norme giuridiche esistenti: per le vittime di violenza il rischio effettivo di dover lasciare la Svizzera al seguito di una separazione coniugale non favorisce certo l’emersione di un’ampia casistica.


In questo contesto, è evidente che possono essere efficaci molte misure di contrasto alla violenza domestica, dalla introduzione di un diritto di soggiorno indipendente per i coniugati stranieri, al migliore inserimento formativo, professionale e sociale dei migranti, soprattutto delle donne (è quanto SOS Ticino si impegna a fare ad esempio con il Servizio In-Lav e con progetti mirati a favore di mamme straniere con figli piccoli), all’adeguato accesso alle strutture sanitarie, alle consulenze specifiche, ai consultori presenti sul territorio. È soprattutto importante un’opera di informazione e di prevenzione. È questo il terreno sul quale SOS Ticino ha sperimentato negli anni 2009-2010, con esiti interessanti, un progetto ad hoc, avviato dalla nostra Antenna Mayday, e che si è avvalso della preziosa figura delle mediatrici interculturali, pure formate (con l’Agenzia Derman) da noi. Un progetto importante e necessario, che speriamo possa essere riproposto in un vicino futuro.

 

27.03.2013

di 

Anna Biscossa

Sono forti perché, pur non essendo molte (per lo meno in alcune professioni), sanno muoversi in perfetta solitudine in mezzo ad uno stuolo di maschi molto spesso in piena tempesta ormonale.
Sono forti perché lavorano nel cantiere, in squadra. E chi conosce il cantiere, sa che non è un ambiente facile, per i giovani in generale, per le giovani donne in particolare.


Sono forti perché sanno risolvere molto spesso, usando la testa e trovando soluzioni adeguate, le situazioni in cui la loro forza fisica non sembra essere sufficiente (mentre i ragazzi, per dimostrare di essere forti, dimenticano troppo spesso di avere la testa e si rovinano la schiena).
In alcuni casi, queste donne forti si adeguano e adattano il loro modo di essere all’ambiente di lavoro, agli atteggiamenti, ai linguaggi, agli approcci, alle mentalità prettamente maschili.
Mascherano cioè il loro essere donne dietro un’immagine che permette loro di vivere un po’ più tranquillamente, meglio confuse in mezzo a tanti uomini.


Altre mostrano invece con orgoglio e cipiglio il loro essere donne, senza paura, senza compromessi, senza alcuna concessione, mantenendo colleghi di lavoro e compagni di scuola alla necessaria distanza.
Di solito sono apprezzate, a volte invidiate, quasi sempre temute e tenute a loro volta a distanza. A molta distanza! Questa loro solidità, questa loro indipendenza di giudizio, questa loro autonomia non piace molto e, soprattutto, fa un po’ paura ai colleghi!
Poi ci sono le donne sagge che, pur essendo capaci, molto indipendenti e autonome, mostrano ai loro colleghi di voler collaborare con loro e di aver bisogno di loro. Senza vergogna ma anche senza sottomissione alcuna. Sono spesso le preferite dai colleghi.


Tutte queste mie donne, al di là del loro atteggiamento nei confronti degli uomini intorno a loro, fanno davvero tenerezza quando le si vede insieme: si cercano, si sostengono, si aiutano reciprocamente, se possibile collaborano tra loro.
E sono proprio queste mie donne a conquistare molto spesso (per non dire sempre!), in sede di esami di fine tirocinio, le migliori valutazioni e a ottenere i risultati più lusinghieri.
Perché allora queste giovani donne devono essere già destinate a guadagnare meno dei loro colleghi (e le statistiche, ma anche la pratica quotidiana, ce lo dimostrano); perché, quando sarà il momento giusto per loro, dovranno fare i salti mortali per riuscire a conciliare la loro maternità con il lavoro (per mancanza di strutture sul territorio, per un’assicurazione maternità davvero “magrina”…); perché dovranno accettare tutto ciò, senza arrabbiarsi per questo stato di cose?
Quanto tempo dovrà passare ancora prima di veder scomparire queste disparità?
La strada è ancora tanta, troppa per poterci permettere di aspettare pazientemente, quasi in silenzio, che la stessa sia percorsa.


Una bella, radicale e profonda accelerazione è più che mai necessaria, soprattutto di fronte ad una crisi che andrà a colpire come sempre soprattutto i più deboli e quindi ancora loro.
Stiamo facendo abbastanza per queste giovani donne? Me lo chiedo spesso!

 

27.03.2013

di 

Sarah Rusconi

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