Anti-abortisti alla carica

Gli anti-abortisti tornano alla carica con due iniziative popolari e l’interruzione di gravidanza fa nuovamente discutere i politici, a 11 anni dall’approvazione della soluzione dei termini.

 

Nel 2002 il popolo ha approvato al 72 per cento l’odierna legge sull’interruzione della gravidanza, stabilendone il carattere non punibile se effettuato entro la dodicesima settimana (oltre ai casi in cui l’aborto sia necessario per evitare rischi alla salute della gestante) e garantendone il finan-
ziamento da parte dell’assicurazione di base obbligatoria. Questa soluzione, chiamata “soluzione dei termini”, è stato il frutto di decenni di accese discussioni, dibattiti, iniziative e referendum. Una lotta tra chi voleva veder riconosciuto il diritto delle donne alla libera scelta della maternità e gli anti-abortisti.
Da quel chiaro voto popolare del 2002, le acque si sono un poco calmate, fino al 2010, quando un gruppo interpartitico della destra conservatrice ha lanciato un’iniziativa che chiede di stralciare l'interruzione volontaria della gravidanza (Ivg) dal catalogo delle prestazioni di base obbligatorie della cassa malati, in nome di un presunto risparmio. A questa iniziativa, depositata nel luglio del 2011 con 109.600 firme valide, ne è seguita una molto più radicale (lanciata nel febbraio di quest’anno) che chiede il divieto totale dell’aborto, inserendo nella Costituzione la frase “La vita umana è protetta”.


Se per quest’ultima le possibilità di riuscita in caso di voto popolare sono scarse, visto il suo carattere estremista, per la prima qualche timore in più c’è tra i difensori dell’odierna legge. Facendo leva su questioni finanziarie e presunti risparmi, gli iniziativisti potrebbero infatti riuscire a convincere il popolo della bontà dei loro propositi, dietro i quali si nasconde però la semplice volontà di ostacolare il ricorso all’aborto (vedi articolo sotto).


Basta guardare i dati sulle interruzioni di gravidanza in Svizzera (paese europeo con il tasso più basso di Ivg), più o meno stabili dal 2002 a oggi con circa 11.000 interventi all’anno, per rendersi conto che queste influiscono solo in minima parte sui costi delle casse malati: rappresentano infatti solo lo 0,3 per mille dei costi totali. In realtà, togliendole dal catalogo delle prestazioni obbligatorie il rischio sarebbe piuttosto quello di aumentare le spese, l’esatto contrario di quanto dicono di voler ottenere gli iniziativisti.
Anche il Consiglio federale, nel messaggio inviato al Parlamento evidenzia il rischio di «conseguenze sociali e sanitarie funeste» nel caso l'iniziativa dovesse essere accettata dal popolo. In particolare il Consiglio federale teme:
• Che si crei incertezza riguardo alle eccezioni e alla loro interpretazione, con conseguenti disparità di trattamento, oltre che un aumento dei costi amministrativi degli assicuratori;
• Che si crei un incitamento a praticare l’aborto fuori dal quadro legale stabilito dal Codice penale, a scapito della qualità delle cure (che non sarebbe più garantita) con conseguenze sulla salute delle donne e quindi sui costi dell'assicurazione malattia;
• Che si crei una correlazione tra la situazione economica della donna e la scelta di ricorrere all'interruzione di gravidanza. Si legge infatti: «Il legislatore ha deciso che nella nostra società liberale la decisione di ricorrere all'interruzione della gravidanza deve essere lasciata alla persona e, per di più, che ogni donna deve poter ponderare i criteri morali, teologici e socio-etici senza dover considerare gli aspetti economici».
Per questi motivi, il Consiglio federale ritiene che «i risparmi ottenuti stralciando il rimborso delle cure per l’interruzione della gravidanza da parte dell’assicurazione obbligatoria non giustificano le prevedibili conseguenze giuridiche, sociali e sanitarie». Senza contare che l’adozione di questa iniziativa popolare «rimetterebbe in dubbio la possibilità di ottenere un’interruzione della gravidanza sicura e accessibile». Inoltre, «trattandosi di un intervento medico terapeutico che garantisce l’integrità fisica e psichica delle pazienti, è opportuno che rientri nelle prestazioni rimborsate dall’assicurazione obbligatoria delle cure».
Lasciando da parte le convinzioni etiche, morali o religiose di ognuno, questa iniziativa rischia quindi palesemente di ottenere l’effetto contrario di quello che dice essere il suo obiettivo, cioè il risparmio sui costi della salute. Con le loro argomentazioni, gli iniziativisti vogliono far leva sul portafoglio delle persone, ingannandole. Non sarebbe, infatti, un risparmio dello 0,3 per mille a far scendere significativamente i costi delle assicurazioni malattia, senza contare le spese in più che si creerebbero per avere questo esiguo risparmio. Attendiamo il risultato delle urne.

 

 

Pubblicato il

27.03.2013 22:12
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