Banca cantonale ma con artiglio

Affare Sulzer, diga di Ilisu, maneggi con i dividendi, acquisizioni ostili: tutto dimenticato. «Non succederà più», ha detto come un ragazzino contento di essere sfuggito ad una pesante punizione, Urs Oberholzer, dell'Udc, nel ringraziare il parlamento cantonale zurighese di averlo rieletto per altri quattro anni presidente del consiglio d'amministrazione della Banca cantonale di Zurigo (Zürcker Kantonalbank, Zkb). S'è persino messo a parlare di «comportamento etico», che dovrebbe essere non solo dettato, ma anche praticato nella Zkb a partire dai vertici. E se prima della sua rielezione s'era avventurato a sostenere in un'intervista alla Sonntagszeitung la necessità di trasformare la Zkb in società per azioni, dopo la sua riconferma al vertice s'è affrettato a relativizzare quelle affermazioni, precisando che «la competenza in materia è del parlamento».

Per capire il senso e la portata di questo teatrino, occorre ricordare che cos'è la Zürcher Kantonalbank e perché negli ultimi mesi ha fatto tanto parlare di sè. Con 87,4 miliardi di franchi quale cifra di bilancio e 4 mila 300 dipendenti,  la Zkb è la più grande tra le banche cantonali e uno dei maggiori istituti di credito del Paese. Giuridicamente, è un ente di diritto pubblico posseduto interamente dal cantone di Zurigo, dal quale ha assicurata una garanzia statale illimitata. Non essendo  una società per azioni, la Zkb non è governata da un normale consiglio d'amministrazione, ma da un "consiglio di banca" (Bankrat) eletto dal parlamento cantonale secondo la logica della spartizione politica. L'ufficio di presidenza (il presidente e i due vice) è "occupato" dai tre partiti maggiori: Udc, Ps, Plr. E poiché il Bankrat è in pratica un organo di sorveglianza politica della banca,  la direzione gode di un'insolita libertà d'azione.
La prova è data dalle ultime avventure della Zkb. Alla fine dell'anno scorso, è stata rivelata all'opinione pubblica una certa insufficienza dei controlli interni. Particolarmente problematico è apparso il commercio di derivati, il quale, ha scritto la Nzz, «conduce una vita propria, che i conoscitori paragonano ad un razzo sfuggito al controllo». E poiché la Zkb svolge in tale settore un ruolo di primo piano, ha finito anche col trovarsi coinvolta, attraverso la compravendita di opzioni, in praticamente tutti gli attacchi ed acquisizioni finanziarie ostili degli ultimi anni. C'era di mezzo la Zürcher Kantonalbank nel caso della Unaxis (Oerlikon Corporation), della Saurer, di Converium, di Ascom, di Implenia, di Sulzer: tutti casi in cui l'offensiva era condotta (ma guarda un po'!) dall'hedge-fund britannico Laxey Partners.
E sono tutti casi in cui fiorenti imprese svizzere sono state date (o si è cercato di dare) in pasto alla speculazione finanziaria, che non ha certo interesse a mantenerle integre o a salvare posti di lavoro. Ma c'è anche il caso della famosa diga di Ilisu, in Turchia, dove sono in gioco valori diversi e molto più importanti. Come non s'è fatta alcuno scrupolo ad aiutare l'investitore russo Viktor Vekselberg a conquistare furtivamente una considerevole partecipazione nella Sulzer, così la Zkb non ha esitato a partecipare al finanziamento per la costruzione della diga di Ilisu: un progetto che solo per la storica città di Hasankef produrrà 11 mila senzatetto ed altre 40 mila persone perderanno le loro terre, senza contare i danni al patrimonio culturale ed il rischio di scatenare conflitti per l'acqua tra Turchia, Siria e Iraq.
Disavventure – chiamiamole così – che hanno nuociuto all'immagine ed al prestigio della Zkb. Specialmente per il caso Sulzer le critiche sono state molto forti, in particolare quando si è saputo che il presidente della direzione generale, Hans Vögeli, con le opzioni Sulzer aveva  intascato un guadagno privato di 75 mila franchi. Vögeli, finito sotto inchiesta, ha dovuto dimettersi. Ma i 13 membri del "consiglio di banca", e in particolare i tre dell'ufficio di presidenza, non ne uscivano molto bene, e tutti si aspettavano che il parlamento cantonale prendesse qualche decisione nei loro confronti. Non è successo nulla. Sono stati tutti riconfermati, senza opposizione.
Non basta. Con 90 voti contro 73 il parlamento ha anche respinto un postulato del capogruppo socialista Ruedi Lais, che chiedeva di fare qualcosa per salvaguardare la reputazione della Zkb. Lais proponeva più controlli e più trasparenza, in particolare che il "consiglio di banca" avesse il potere di controllo su tutti gli affari della banca, soprattutto di quelli maggiori. Nel corso del dibattito, il Plr ha replicato che questo sarebbe stata un'ingerenza del "consiglio di banca" nella gestione operativa, e questo avrebbe «portato la banca alla rovina». Piuttosto, si dovrebbe fare della Zkb una società per azioni: una soluzione, questa, che non piace né all'Udc, né ai socialisti. Dunque, è piuttosto il parlamento che deve stare più attento ed esercitare una maggiore sorveglianza. Alla fine, lo spirito di lottizzazione ha prevalso su ogni altra considerazione.

Una crisi di identità

La banche cantonali sono in crisi d'identità. Soprattutto perché diversi di questi istituti di diritto pubblico negli ultimi anni hanno creato non pochi problemi. La questione di fondo è che il loro ruolo non ha più alcun senso in un mercato finanziario maturo e funzionante, dominato dall'iniziativa privata. La clientela di queste banche non è diversa da quella delle banche private e non si aspetta trattamenti migliori. Mentre la garanzia statale di cui godono può invogliare i dirigenti, come già accaduto, a fare affari troppo rischiosi, o poco chiari, o comunque politicamente pilotati.
La sola vaga  giustificazione dell'esistenza delle banche cantonali sarebbe la possibilità di promuovere e guidare, attraverso il mercato creditizio e ipotecario, una politica cantonale delle abitazioni e di sviluppo economico. Ma la loro influenza sul mercato è ormai talmente ridotta che alcuni cantoni,  come Soletta ed Appenzello Esterno, hanno semplicemente deciso di fare a meno di una banca cantonale. L'alternativa alla soppressione (che non è detto sia sempre una soluzione saggia) di queste banche è la loro trasformazione in società per azioni, con una parziale privatizzazione ed una ridotta garanzia statale. Il vantaggio sarebbe quello di una gestione economica meno politica e, quindi, più severa ed efficiente. Lo svantaggio è che affari ed arricchimenti privati si farebbero anche con denaro pubblico. Questo spiega la spinta di chi (il Plr e il Ppd) vorrebbe trasformarle in società per azioni, e la resistenza di chi (la sinistra e parte dell'Udc) vorrebbe mantenerne il ruolo pubblico tradizionale.

Pubblicato il

06.07.2007 01:00
Silvano De Pietro
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