Brasile, fame di terra

In Brasile l’1 per cento dei proprietari possiede il 46 per cento delle terre. Solo la metà dei terreni coltivabili sono seminati e producono. La concentrazione delle proprietà agricole lascia 4,8 milioni di contadini senza nessun appezzamento da cui ricavare gli alimenti per sopravvivere. Dei contrasti del mondo rurale brasiliano – e delle prospettive apertesi da quando Lula è al potere – parla Vilson Santin, che sarà domani a Chiasso per l’apertura di Festate (vedi box). Santin è membro della direzione nazionale del Movimento dei Sem Terra (Mst) che da quasi vent’anni – attraverso occupazioni, accampamenti e manifestazioni di protesta – lotta per la riforma agraria accanto a contadini senza terra e piccoli e medi produttori. Membro della direzione nazionale ed ex deputato statale del Partido dos Trabalhadores (Pt), Santin è responsabile nazionale per l’Mst della campagna contro l’Area di libero commercio delle Americhe (Alca). Vilson Santin, la posizione dell’Mst nei confronti del governo Lula è duplice: da un lato rivendicate l’autonomia nel proseguire la mobilitazione sociale, dall’altro vi dite pronti a collaborare quando gli interessi convergono. Quale è stato finora il peso relativo dei due atteggiamenti? La politica dell’Mst in relazione al nuovo governo è coniugare la collaborazione con l’autonomia. Saremo collaboratori del governo e lo appoggeremo in tutti quei programmi che rappresentano un miglioramento delle condizioni di vita del nostro popolo, in tutte quelle misure che rappresentano una messa in discussione del modello economico neoliberista. Ma manterremo l’autonomia necessaria per conservare il nostro ruolo e la nostra funzione principale: coscientizzare i poveri delle campagne, organizzarli perché lottino e si mobilitino per i propri diritti. Soltanto con mobilitazioni sociali ampie otterremo che il governo riesca ad avanzare e a compiere le promesse della campagna elettorale. Niente sarà ottenuto senza mobilitazione sociale. Finora abbiamo mantenuto aperto il dialogo con funzionari del Ministero dello sviluppo agrario e dell’Incra, nel senso di collaborare all’elaborazione di un Piano nazionale di riforma agraria. Proprio il ministro per lo sviluppo agrario Miguel Rosseto affermò alla fine di marzo che il governo Lula in un mese e mezzo aveva già espropriato 200 mila ettari di terra in 17 stati. Il modello di riforma agraria dell’Mst, però, va oltre la democratizzazione della proprietà della terra. Non basta distribuire soltanto la terra, perché la terra da sola non è garanzia o condizione sufficiente perché gli agricoltori si riproducano e migliorino la loro vita. Bisognerà pensare a una riforma agraria di tipo nuovo, nella quale non si democratizzi solo la proprietà della terra, ma anche le agroindustrie, il commercio agricolo; una riforma che si coniughi con un modello di sviluppo che metta al primo posto il mercato interno e il rifornimento di alimenti. E anche che garantisca l'accesso ai semi e la loro produzione. Con la democratizzazione della proprietà della terra, bisogna costruire un nuovo modello di produzione agricola e una nuova forma di organizzazione sociale della produzione in ambiente rurale. Il ruolo dell’Mst è continuare ad organizzare i lavoratori, i poveri delle campagne perché lottino e continuino a occupare latifondi. E faremo questo non per scontrarci con il governo Lula, né per danneggiarlo, faremo questo per aiutare il governo Lula a fare la riforma agraria. Il programma “Fame 0” lanciato da Lula è funzionale alla lotta “strutturale” per la sovranità alimentare che l’Mst porta avanti oppure si tratta di un rimedio parziale, che non attacca le profonde radici della sottoalimentazione in Brasile? Il concetto di sovranità alimentare sviluppato da Via Campesina (movimento internazionale nato nel 1992 che raggruppa contadini senza terra, piccoli e medi produttori, lavoratori agricoli, donne contadine e popoli indigeni, ndr) in Brasile e a livello internazionale è recuperare il principio che ogni popolo, nel suo spazio specifico, sia a livello di paese, sia a livello di Stato, sia a livello di comunità, deve produrre i suoi alimenti. Solamente questo può dargli l’indipendenza necessaria, solamente questo gli garantirà la sovranità sul suo destino. È presente in tutte le dottrine politiche, esplicitamente in Martí, Gandhi, Che Guevara, e anche nell’ islamismo, che nessun popolo sarà effettivamente libero se non produrrà i propri alimenti. Il programma della fame è ancora al di qua di questa idea, perché lavora con il concetto di sicurezza alimentare che parte dal principio che è dovere dello stato garantire che tutti i cittadini abbiano diritto di accesso all'alimentazione di qualità per tutto l'anno. Dal punto di vista delle proposte di politica economica per combattere la fame, ciò che viene enunciato nei documenti del governo, ci soddisfa perché capiamo che fa parte di questo processo di transizione verso un futuro di sovranità alimentare. Nel programma di governo è chiaro che abbiamo bisogno di politiche di emergenza (la distribuzione di ceste basiche o coupon perché le persone almeno non muoiano), di politiche specifiche come quella per la regione del semiarido (che oltre a tutto il resto affronta la siccità, la mancanza d'acqua, ecc.) e di politiche di lotta strutturale nelle quali ci deve essere la necessità della riforma agraria e di un ampio programma di distribuzione del reddito che otterremo solo con il mutamento del modello economico neoliberista. Come possono difendersi i piccoli e medi contadini brasiliani – e in generale quelli latinoamericani – dall’importazione di prodotti agricoli fortemente sussidiati da Usa e Unione europea? Esiste una grande discussione in Via Campesina internazionale su questo tema. Noi sosteniamo che lo Stato deve avere un ruolo forte e fermo nella protezione della sua agricoltura. E deve appoggiarla in vario modo anche con sussidi nei prezzi o nel credito rurale. Il fatto che sosteniamo che ogni paese ha il diritto e perfino il dovere di dare sussidi per proteggere i propri agricoltori di fronte agli altri settori della produzione industriale è un modo di proteggere chi produce alimenti. Quello a cui siamo contrari è che questa politica di sussidi sia utilizzata per fare concorrenza nel commercio agricolo internazionale. In questo caso non ci devono essere sussidi né nei paesi ricchi, né in quelli poveri. Anche quando l’Europa e gli Usa danno sussidi ai loro agricoltori per competere nel mercato internazionale, i piccoli agricoltori di là ci dicono che questi sussidi, in realtà, non sono per i piccoli agricoltori che di solito si dedicano solo alla produzione per il mercato interno, locale. Questi sussidi servono invece ai grandi agricoltori e alle imprese monopolistiche del commercio agricolo. In sintesi, i sussidi sono uno strumento importante per distribuire reddito tra i piccoli agricoltori, proteggerli dal fallimento, impedire l’esodo rurale e stimolare la crescita della produzione di alimenti garantendo così la sovranità alimentare in ogni paese. Ma i sussidi devono essere combattuti come forma per regolare il commercio agricolo internazionale. Per questo siamo contrari ai sussidi per l’esportazione e al fatto che l’Omc regoli il commercio agricolo. Purtroppo anche il Brasile sussidia gli agricoltori solo per l’esportazione. Il governo Lula è una delle voci più critiche in tutta l’America latina riguardo l’Area di libero commercio delle Americhe (Alca). In che modo l’Alca approfondirebbe la dipendenza alimentare del Brasile? Con l’attuazione degli accordi che sono in discussione tra i governi e gli imprenditori, a partire dal 2005 ci sarà libertà totale per il commercio agricolo tra tutti i 34 paesi delle Americhe. Ci saranno tariffe di importazione ed esportazione per certi prodotti, in discussione, ma queste tariffe saranno uguali per tutti i paesi. Quindi sarà proibito che un paese aumenti la tassa di importazione di certi prodotti per proteggere i suoi agricoltori nazionali da quel prodotto. Così come sarà proibito porre ostacoli di carattere sanitario o relativi alla qualità dei prodotti. Invece le misure in negoziazione, stabiliscono norme – che tutti devono rispettare – relative a condizioni sanitarie e alla qualità dei prodotti agricoli che verranno esportati. Negli ultimi anni c’è stata una confluenza di opinioni da parte di movimenti contadini, esperti, organizzazioni non governative, enti di ricerca e anche governi progressisti, sul fatto che la sovranità alimentare deve essere l’obiettivo numero uno della politica agricola di qualsiasi governo. Le basi del commercio agricolo internazionale dovrebbero essere poste solo dopo aver centrato questo obiettivo. I paesi dovrebbero negoziare i prodotti solo dopo aver compiuto la missione di alimentare il proprio popolo. Ora, se l’Alca sarà una realtà, la regola prioritaria sarà la totale libertà per il commercio internazionale e non per il consumo nazionale. Ancora di più se questo commercio sarà controllato da multinazionali che non sentono nessun impegno nei confronti del popolo brasiliano. L’Alca colpirebbe definitivamente la possibilità di una politica nazionale di sovranità alimentare che garantisca in primo luogo gli alimenti necessari per il popolo brasiliano. Vilson Santin, l’Mst ha denunciato un paio di mesi fa che «la società brasiliana è vittima di una cospirazione patrocinata dai difensori dei transgenici». Chi sono i promotori di questa cospirazione e in che modo essa si manifesta? Più di quattro anni fa, la Ctnbio (Commissione tecnica nazionale di biosicurezza) del Ministero della scienza e tecnologia ha approvato la prima liberalizzazione commerciale di un prodotto transgenico in Brasile: la soia resistente all’erbicida Roundup (entrambi, seme ed erbicida, prodotti dalla multinazionale americana Monsanto). Subito, l’Istituto brasiliano di difesa del consumatore (Idec) e Greenpeace Brasile misero in discussione dal punto di vista giuridico la competenza legale della Ctnbio. La giustizia dette ragione alle Ong, considerando che, secondo la Legge della biosicurezza, queste liberalizzazioni spettano ai ministeri della salute, dell’ambiente e dell’agricoltura e che la Ctnbio può solo dare consigli al governo. La Costituzione esige la realizzazione di studi di impatto ambientale prima di procedere alla liberazione dei transgenici nell’ambiente. Nonostante il fatto che la Monsanto e i ministri di Cardoso affermavano che questi prodotti erano innocui e sicuri, non hanno risposto alle richieste della giustizia di realizzare questi studi e si sono appellati al Tribunale regionale federale a Brasilia. Il governo Cardoso ha fatto pressione sui giudici e emesso misure provvisorie per rafforzare la Ctnbio. Colpevolmente non ha represso il contrabbando di semi transgenici arrivati dall'Argentina, attraverso il Rio Grande del Sud né le piantagioni clandestine e ben visibili in quello Stato. Ha chiuso gli occhi nei confronti dei prodotti contaminati con transgenici, venduti liberamente nel paese e ha fatto pressione sul Consiglio nazionale dell'ambiente per evitare rigore negli studi di impatto ambientale dei transgenici. Parallelamente la Monsanto ha speso fiumi di denaro per la propaganda nei media, per seminari rivolti a potenziali formatori di opinione e lobby perché i parlamentari votassero un progetto di legge favorevole alla liberazione semplificata dei transgenici. La stampa in generale ha trattato gli enti e gli scienziati che chiedevano precauzione rispetto ai transgenici come dinosauri, nemici della scienza, ecoterroristi, venduti alle imprese di agrotossici e nemici del progresso. Lo stesso trattamento che hanno riservato a chi si era opposto al tipo di alimentazione data agli animali che ha dato origine all'incontrollabile malattia della mucca pazza. Il tempo ha dimostrato che la ragione stava dalla parte di coloro che chiedevano prudenza. Innumerevoli problemi sono sorti nelle coltivazioni transgeniche Usa ed è chiaro che il Brasile deve respingere questo tipo di coltivazioni, non da ultimo per approfittare del mercato costituito da coloro che – in Europa e in Asia – vogliono prodotti liberi da transgenici. A che punto è arrivata la penetrazione dei transgenici in Brasile e in che modo si potrebbe radicalizzare la lotta contro di essa? L’insistenza delle imprese multinazionali nel liberalizzare i semi transgenici è legata solo alla loro necessità di aumentare il profitto. Poiché solo dieci imprese controllano questi semi in tutto il mondo. E i semi transgenici non sono legati all’aumento della produttività, ma piuttosto al necessario uso di agrotossici prodotti dalle stesse imprese! Imprese che cercano, attraverso il monopolio dei semi, di creare la dipendenza degli agricoltori che, ad ogni raccolto, dovranno comprare i semi da queste imprese. In realtà, poiché i consumatori sono sempre più attenti rispetto alla salute, una agricoltura brasiliana libera da transgenici occuperebbe il mercato delle multinazionali degli Usa. La vittoria del popolo brasiliano nelle ultime elezioni ha dato forza perché sia rivista anche la politica relativa ai transgenici. Come Mst lotteremo in tutti i modi possibili. Se sarà necessario, distruggeremo coltivazioni che sono illegali, denunceremo la pratica delle imprese transnazionali, boicotteremo i loro prodotti, lotteremo. Poiché dalla possibilità che gli agricoltori controllino i loro semi dipende la sovranità alimentare del nostro popolo e la possibilità di una agricoltura sana e rivolta verso gli interessi del nostro popolo. Lotteremo in ogni modo per un nuovo modello agricolo, che riorienti la produzione agricola verso la produzione di alimenti e verso il mercato interno. Che democratizzi le agroindustrie, stimolando la loro distribuzione nel territorio, la valorizzazione delle zone interne e l’installazione di agroindustrie cooperative. Lotteremo perché lo Stato torni a controllare il commercio dei prodotti alimentari, controllando immagazzinamento e prezzi. * Intervista realizzata via e-mail con la collaborazione di Serena Romagnoli (Mst-Italia)

Pubblicato il

06.06.2003 04:00
Stefano Guerra
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