Carte false, sfruttamento vero

Scandalo permessi, affiorano scenari inquietanti nel tessuto sociale

Dietro lo scandalo dei permessi, un gruppo di giovani da poco ventenni, un solo imprenditore o l’ombra di una organizzazione criminale tra le più potenti d’Europa? E chi guadagnava in cima alla scala dalla manodopera a basso costo ed estremamente ricattabile immessa nel sistema economico cantonale e nazionale? Questi gli interrogativi centrali a cui la magistratura ticinese è chiamata a dare delle risposte, districando la difficile matassa.

Allo stadio attuale, nella speranza che la magistratura riesca a fare piena luce, si possono solo formulare delle ipotesi. Partiamo però da alcune certezze, ricapitolando i punti salienti dell’inchiesta.
Dopo aver scontato sei mesi di prigione in Kosovo per tratta di esseri umani e falsificazione di documenti ufficiali, al rientro in Svizzera il 7 febbraio un giovane 25enne è stato arrestato dalle autorità elvetiche con l’accusa di aver corrotto dei funzionari dell’Ufficio migrazione per procurarsi dei falsi permessi B.  Nel medesimo momento scattano le manette per il fratello del 25enne e per i presunti corrotti, un funzionario e una ex dell’Ufficio migrazione. Nei giorni seguenti vengono arrestati anche una ragazza con un passato da stagista all’Ufficio migrazione e un suo amico coetaneo.


A quel punto la storia poteva apparire quella di una malefatta compiuta da un gruppo di ragazzi da poco ventenni che approfittando delle falle nell’Ufficio migrazione cantonale avevano trovato modo di guadagnare qualche migliaio di franchi. Ma l’ipotesi vacilla non poco alla luce di un’altra certezza: il ragazzo di 25 anni, definito la mente dai media locali, aveva creato una ditta fittizia la cui unica funzione era fornire a terzi della manodopera con permesso di lavoro, seppur fasullo.


Stando alle indiscrezioni, il 25enne avrebbe ammesso di aver fornito una ventina di permessi taroccati.
A utilizzare parte di questi operai sarebbero state due ditte attive nel ramo dei ponteggi riconducibili al medesimo proprietario. «Quattro o cinque operai al massimo» aveva dichiarato alla Rsi il proprietario, negando però di essere implicato nella storia dei permessi falsi. Tempo due giorni, la magistratura lo arresta insieme con il direttore dell’impresa. Entrambi respingono le accuse di «tratta di esseri umani, ripetuta usura, ripetuta falsità in certificati, ripetuta incitazione aggravata all’entrata, alla partenza o al soggiorno illegale di persone». L’aggettivo “ripetuta” evidenzia la possibile dimensione del disastro su cui sta indagando la magistratura ticinese. Per quanti essere umani si sarebbe ripetuta la tratta? Quanti operai a basso costo ed estremamente ricattabili sono stati immessi nel mondo del lavoro ticinese e nazionale? Quanto è marcio il sistema paese? Interrogativi pesanti a cui la magistratura sta lavorando di buona lena per dare risposte.


Chi ci ha guadagnato?
«Negli ultimi quattro anni, i prezzi dei ponteggi erano scesi del 35-40%» aveva detto alla Rsi Omar Biaggi, presidente della Società ticinese imprenditori di ponteggi (Stip) «Ora capiamo perché» aveva aggiunto. Ad approfittare di operai sfruttati a basso costo e dei relativi prezzi stracciati sarebbero stati molti. I committenti, pubblici o privati, ma non solo.
Da nostre fonti e documenti ufficiali appare assodato che le ditte di ponteggi del titolare arrestato lavorassero spesso in regime di subappalto con molte ditte cantonali, e in particolare con una delle più grandi ditte nazionali della posa ponteggi presente in Ticino con una filiale. Nel 2015 l’impresa nazionale aveva salvato dal fallimento la ditta ticinese, saldando una fattura di un paio di centinaia di migliaia di franchi. Un’iniezione benefica che consentì al titolare di far revocare dagli uffici competenti il fallimento.


Dal Ticino alla Svizzera
La ditta fallirà comunque l’anno dopo, ma il titolare non lascia, raddoppia. Nel frattempo infatti aveva costituito una ditta a Dietikon (canton Zurigo) e una seconda a Meggen nel Canton Zugo.
Non solo raddoppia le ditte, ma estende anche il ramo d’attività e il raggio d’azione all’intera Svizzera. Dai soli ponteggi, con le nuove ditte si dedica anche all’attività d’impresario costruttore. Il fatto curioso è che le due ditte avevano aperto due succursali in Ticino proprio nel medesimo stabile dove da poco più di un anno ha sede una terza ditta di ponteggi. E proprio venerdì scorso, gli inquirenti ticinesi hanno sentito i vertici di quest’ultima società in qualità di persone informate sui fatti, come ha reso noto la Rsi, precisando che al momento non sono indagati. Dalle perquisizioni però «sono spuntati dei contratti per la cessione in subappalto di cantieri e per il prestito di personale» da parte della ditta il cui titolare è oggi in carcere.  
Fondamentale sarà il numero di operai sfruttati e iniettati nel sistema con carte false che la magistratura riuscirà a stabilire.


Da quella cifra si capirà se siamo di fronte a un imprenditore che si sarebbe autonomamente procacciato la “mercanzia” umana sottocosto appoggiandosi al 25enne corruttore, oppure se le dimensioni presuppongono un livello organizzativo superiore.  Se questo fosse il caso, visto il paese di provenienza, i sospetti cadono sulla cosiddetta mafia kosovara. Un’organizzazione criminale molto potente che, stando a una recente informativa dei servizi segreti tedeschi, controlla il 40% della distribuzione di stupefacenti in Europa. E dove passano le droghe, passa anche la tratta umana.


Far luce sugli appalti, sui subappalti, sui loro importi per risalire a chi ha tratto beneficio dall’impiego di manodopera sfruttata è l’augurio di molti. Risalire la filiera di chi avrebbe guadagnato dell’odiosa tratta di essere umani senza sporcarsi le mani, è necessario. Solo così sarà possibile estirpare quello che potrebbe rivelarsi un tumore già ramificato nel tessuto sociale.

Pubblicato il

22.02.2017 10:52
Francesco Bonsaver

«Nessuno può dirsi assolto»

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