Fiscalità

Lo scorso mese di febbraio, il popolo svizzero ha detto no all’abolizione della tassa di bollo sull’emissione di capitale proprio. Un risultato senza se e senza ma: il 62,7% dei votanti e tutti i Cantoni tranne Zugo hanno respinto al mittente questo progetto promosso dai partiti di destra e dagli ambienti padronali, in particolare da quello bancario. L’attacco alla fiscalità elvetica non è però finito. Fra qualche giorno infatti si vota sull’abolizione dell’imposta preventiva. In vista di questa votazione vi riproponiamo l’intervista che avevamo fatto dopo la bocciatura della tassa di bollo allo storico Sébastien Guex, professore all’Università di Losanna, esperto della storia del segreto bancario elvetico e noto per i suoi contributi in materia di fiscalità e finanze pubbliche.

 

Professor Guex, la soppressione delle imposte di bollo è un vecchio sogno degli ambienti economici. L’argomento è che si tratta di una tassa anacronistica. Partiamo allora dalle sue origini: quando sono state introdotte?


Le tasse di bollo sono state create verso la fine della Prima guerra mondiale, in un periodo dove le spese della Confederazione esplodono. Siamo anche in un contesto dove il movimento operaio è in piena ascensione e le tensioni sociali, che sfoceranno nello sciopero generale del 1918, aumentano. Il Partito socialista e i sindacati esigono allora l’introduzione di una fiscalità che vada a toccare i più ricchi e le imprese che accumulano profitti grazie alla guerra. Per fare una concessione alla sinistra, il Consiglio federale introduce così un’imposta sul reddito su scala federale (l’attuale imposta federale diretta) e le imposte di bollo. Si tratta di un’imposta sulle transazioni finanziarie che esisteva già in diversi altri Paesi.

 

Come furono accolte dal mondo economico?


Le tasse di bollo sono sempre state una spina nel fianco per la classe capitalista svizzera perché si tratta di imposte difficilmente trasferibili su altre classi sociali. Al contrario, l’imposta sugli utili può ad esempio essere in parte trasferita sui prezzi e quindi sui salariati. Per questa ragione certi ambienti economici, soprattutto le banche, si sono sin dall’inizio opposti con vigore alla loro introduzione in opposizione perfino ad una parte dei dirigenti borghesi, in particolare ai grandi contadini. Lo stesso discorso vale per l’imposta federale diretta, all’epoca detta “imposta di guerra”, che ancora oggi è considerata provvisoria e quindi da sopprimere. È dunque da più di cento anni che il mondo finanziario tenta di sopprimere questa tassa.

 

Una soppressione che si vuole fare a tappe...


Gli ambienti economici e i loro alleati politici hanno capito che si rischia di fallire con un attacco frontale contro le imposte che toccano le grandi fortune in Svizzera. Hanno quindi optato per la tattica del salame cercando di smantellare queste tasse a poco a poco, in funzione dei rapporti di forza. La tassa di bollo sull’emissione di capitale proprio è un esempio eclatante. Fino al 1995, il tasso di questa imposta era del 3% e portava sulla totalità del capitale emesso. All’inizio degli anni Novanta, approfittando della crisi economica, il padronato ha ottenuto un abbassamento del tasso dal 3% al 2%, così come una soglia minima di 250.000 franchi a partire dalla quale questa imposta può essere prelevata. Nel 1997, gli ambienti borghesi hanno imposto un nuovo abbassamento del tasso, all’1%, e, nel 2003, hanno rialzato la soglia minima a 1 milione di franchi. E così si arriva al 2021, con la decisione di sopprimere totalmente la tassa.

 

Una tassa che è pagata in gran parte da poche e grandi aziende. In campagna, e anche dopo, si continua a parlare di Piccole e medie imprese (Pmi). C’è sempre stato questo discorso?


In Svizzera, sono sempre le Pmi. È una vera e propria tradizione centenaria. È molto più difficile vincere una votazione affermando che i principali beneficiari sono Nestlé, Roche o Ubs o altre multinazionali. Quando si parla di persone fisiche è invece sempre la classe media: dire che una misura fiscale beneficerà ai multimilionari non è pagante. I consiglieri in comunicazione dei grandi dirigenti elvetici l’hanno capito ed è quindi logico che anche nel caso della tassa di bollo si è parlato di Pmi anche se ciò non corrisponde alla realtà.

 

L’attacco alla fiscalità continua. In dicembre, il Parlamento ha deciso l’abolizione dell’imposta preventiva sulle obbligazioni; sinistra e sindacati hanno così dovuto lanciare un nuovo referendum. Ci può dire, anche in questo caso, in che contesto è stata introdotta questa imposta?


L’imposta preventiva è stata introdotta durante la Seconda guerra mondiale ed è da collegare ad un importante dibattito: l’attacco contro il segreto bancario condotto, all’interno della Svizzera dalla sinistra, e, all’estero, da certi grandi Stati come gli Usa o la Francia. Il Consiglio federale decise l’introduzione di un’imposta anticipata sui redditi percepiti dai detentori d’azioni svizzere e estere e d’obbligazioni svizzere (ma non dagli interessi percepiti sulle obbligazioni estere, ciò che lascia una porta aperta alla frode). È detta preventiva perché i contribuenti possono recuperare l’imposta se dichiarano i titoli in questione. La sua introduzione fu quindi venduta come una misura di lotta contro la frode fiscale e aveva come obiettivo mitigare gli attacchi contro il segreto bancario.

 

Oggi, però, il contesto è diverso...


Sì, la Svizzera ha dovuto accettare lo scambio automatico delle informazioni e ha firmato degli accordi con più di cento Stati. Gli ambienti finanziari elvetici affermano quindi che questa imposta non si giustifichi più. Evitano tuttavia di menzionare un altro aspetto importante.

 

Quale?


Il fatto che all’interno della Svizzera il segreto bancario continua ad esistere. L’imposta anticipata mantiene dunque una funzione dissuasiva per le classi ricche all’interno stesso della Confederazione. Sopprimendo questa imposta, lo Stato si priverebbe di uno strumento efficace per combattere la frode fiscale degli svizzeri e dei residenti stranieri in Svizzera.

 

Negli ultimi anni, le autorità elvetiche hanno già dovuto adattarsi a certe imposizioni internazionali. Ora tocca agire per quanto riguarda l’introduzione prevista di una tassa minima globale del 15% per gli utili delle multinazionali. In generale, cosa ne pensa di questa misura?


È una misura per il momento molto poco efficace soprattutto a causa del tasso che resta molto basso. Si tratta ciononostante di un’iniziativa storica che va nel buon senso uniformando i tassi e certe norme a livello internazionale. È soltanto così che si potrà lottare contro il flagello dei paradisi fiscali. Chissà, forse in futuro sarà possibile aumentare il tasso oltre il 15%. Ciò che fa molto paura ai capitalisti.

 

Le autorità svizzere sono chiamate ancora una volta a reagire. Come?

 

Da 120 anni c’è una lotta tra chi promuove il paradiso fiscale svizzero e gli Stati che in parte soffrono a causa di questo paradiso fiscale. Negli ultimi decenni, l’offensiva straniera ha ottenuto un certo numero di successi come lo scambio automatico d’informazioni. Ora, vi è un nuovo passo in avanti con il tasso minimo a livello globale per le multinazionali. Le autorità elvetiche hanno cambiato tattica: hanno capito che non vi sono i rapporti di forza per opporsi frontalmente sul piano internazionale; la Svizzera partecipa quindi alle discussioni cercando di limitare al minimo i danni e poi cerca di riguadagnare il terreno perso sotto la pressione internazionale con delle misure a livello interno.

 

È in questa ottica che dobbiamo interpretare le recenti riforme a livello nazionale?


Sì, ciò è stato evidente con la Rffa (Riforma fiscale e finanziamento dell’AVS) che è stata accettata alle urne nel 2019 dopo la sconfitta di fronte al popolo della terza riforma sull’imposizione delle imprese. Il tentativo di abolire la tassa di bollo e poi dell’imposta preventiva è la continuazione di questa offensiva.

 

Un’offensiva che finirà?


Siamo ben lungi dalla fine. Nel contesto del tasso minimo globale, la Svizzera cercherà di attirare delle imprese attirando i loro quadri e i loro proprietari sul suo territorio. Dobbiamo quindi aspettarci un’offensiva sulla fiscalità delle persone fisiche. Senza dimenticare che le grandi fortune possono già stabilirsi qui grazie ai famosi “permessi dorati” che permettono loro d’ottenere un permesso di soggiorno e di beneficiare dunque del segreto bancario elvetico. Oltre a questo, vi è anche il progetto del Consiglio federale d’introdurre nel diritto svizzero il trust e di modificare anche il diritto relativo alle fondazioni di famiglia. Anche questi aspetti fanno parte della strategia per conservare, o persino di rinforzare, il paradiso fiscale svizzero.

 

Pubblicato il 

08.09.22
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