Dietro lo specchio

L’incombenza climatica ha bussato alla porta dell’umanità, e non se ne andrà, certamente di sua spontanea volontà. Dipenderà da noi umani, dalla nostra capacità di agire uniti senza indugio alcuno. Gli effetti climatici, come i virus, non hanno frontiere e possono colpire ovunque, nessuno può ritenersi sicuro.


Conosciamo bene e da tempo le cause della crisi climatica, ma non agiamo per eliminarle. Ovvero: smettere di usare i combustibili fossili, passare all’“energia verde”, consumare meno (trasporto, riscaldamento, e tutti i tipi di oggetti e alimenti) e meglio (dieta a base vegetale, e molto meno carne).


Le soluzioni necessarie, faticano a farsi breccia e apprezzare. Incontrano resistenza, perché mettono in discussione  interessi di alcuni ma anche  abitudini consolidate. Nelle «nostre economie orientate alla crescita – scrive Julia Steinberger, specialista d’economia ecologica alle università di Losanna e Leeds – i cittadini-consumatori percepiscono la perdita di potere d’acquisto quale elemento più terrificante che una perdita di vivibilità del pianeta. Purtroppo finché le nostre case e strutture sono intatte, finché  abbiamo abbastanza da mangiare, gli appelli  degli scienziati  rimangono inascoltati».


Tale atteggiamento è rafforzato anche dalla difficoltà per molti di immaginarsi che quanto sembra perenne possa mutare; che il paesaggio e la geografia del nostro globo possano cambiare, che isole, territori costieri saranno sommersi per centinaia o migliaia di anni, che ghiacciai svaniranno, che territori ancora ricoperti di vegetazione si trasformeranno in deserto. Ancora più difficile immaginare che le condizioni climatiche, sostanzialmente stabili degli ultimi 10mila anni, mutino rendendo il nostro pianeta poco ospitale e in certe regioni invivibile! Difficile per la maggioranza rappresentarsi un altro modello di vita, se non quello praticato quotidianamente, generato dal sistema economico vigente che non si vuol cambiare.
Non abbiamo scelta: time is over. Occorre una modifica radicale del nostro agire, di principi e regole di funzionamento. Ovvero un salto di paradigma. Come quello proposto 4 anni fa da Kate Raworth, economista dell’Istituto di Cambiamento Ambientale dell’Università di Oxford nel suo saggio Teoria della ciambella: sette mosse per guardare il mondo con occhi diversi (e provare a cambiarlo). Il modello mira a creare uno spazio vitale sicuro e giusto per l’umanità mediante un sistema  economico inclusivo e durevole.


Ovvero sviluppo capace di creare un equilibrio sociale che soddisfi d’un lato i bisogni umani di tutto il globo: sono gli 11 fattori della convenzione di Rio per vivere qualitativamente: cibo, accesso all’acqua, istruzione, assistenza sanitaria, diritto di espressione, lavoro, reddito, accesso all’energia, parità di genere, equità sociale, pace e giustizia; e d’altro lato un uso parsimonioso e accorto delle risorse del pianeta e un’attenzione al clima in relazione a 9 fattori quali: cambiamenti climatici, consumo di acqua dolce, ciclo dell’azoto e fosfato, acidificazione degli oceani, inquinamento chimico, carico di aerosol atmosferico, riduzione dell’ozono, perdita di biodiversità, cambiamento d’uso del suolo.


I vari specialisti hanno calcolato quante sono le risorse disponibili che possiamo consumare garantendo uno sviluppo sostenibile duraturo per la popolazione del globo, calcolando il consumo massimo pro capite per non esaurire o distruggere l’eco-ambiente, stabilendo i limiti massimi d’emissione di gas a effetto serra per evitare il surriscaldamento.
Insomma cambiare rotta, si può: la sfida climatica, la sopravvivenza dell’umanità intera e uno sviluppo sostenibile e duraturo possono essere affrontati solo mediante uno sforzo collettivo e individuale. Una questione politica non di mera responsabilità individuale. Due opzioni:  sistema totalitario o sistema di democrazia di cittadini. Meglio il secondo naturalmente!

Pubblicato il 

07.10.21
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