Come legalizzare bassi salari

I “salari d’uso” proposti al Consiglio di Stato per il 2004 variano fra i 9 e i 13 franchi all’ora per i minorenni e fra gli 11 e i 16 franchi per i maggiori d’età. Si tratta di salari minimi per la manodopera estera non qualificata usuali nel mercato ticinese nei settori non coperti da un contratto collettivo di lavoro. Dopo aver sollevato il caso con l’articolo sulla Diantus Watch (cfr. area n.46 del 14 novembre), cerchiamo ora di capire il meccanismo con il quale si formano questi salari. La Commissione consultiva dei salari (composta da 5 membri di cui 2 in rappresentanza dei lavoratori, 2 dei datori di lavoro e un presidente esterno) si è riunita la settimana scorsa e ha suggerito al Consiglio di Stato, che con ogni probabilità adotterà la proposta come in passato, un aumento dei salari d’uso del 1 per cento per gli uomini e del 1,5 per cento per le donne per l’anno prossimo (vedasi tabelle a fianco). Sandro Lombardi, membro della commissione e presidente dell’Associazione industrie ticinesi (Aiti), propone di discutere queste retribuzioni «cercando di non fare una campagna di demonizzazione delle imprese coinvolte». Cercheremo di non farlo. Tutti (o quasi) sono concordi sul fatto che questi salari sono in assoluto bassi. Lombardi stesso dice: «se fosse il salario di una persona che vive in Svizzera non riuscirebbe a darsi soddisfazione con tali cifre, per un frontaliere si può discuterne». Non è un mistero che in Ticino esiste una serie di industrie che fanno profitti grazie al frontalierato (se così non fosse sarebbero già uscite dal mercato), «imprese labour-intensive che hanno un futuro poco gaudente» - dice Lombardi. Futuro poco gaudente perché si basano sul basso costo del lavoro e perché sono imprese che hanno una visione temporale limitata: finché dura faranno profitti, poi dovranno chiudere o emigrare dove i costi sono bassi. Il capo dell’Ufficio manodopera estera, Libero Malandra, spiega che per ogni lavoratore straniero i datori di lavoro devono passare dall’ufficio di sua competenza comunicando tra l’altro la remunerazione che intendono offrire. Se questa non rispetta il limite imposto dai salari d’uso vi sarà un adeguamento d’ufficio. «Sarebbe meglio che le imprese non conoscano i salari d’uso in vigore, così sarà il mercato a decidere e non vi potranno essere comportamenti di scuderia,» - dice Malandra - «questo il motivo per il quale non possiamo fornirvi informazioni». Roberto Gallina, sindacalista del Sei, afferma: «noi alla Commissione consultiva dei salari proponiamo ogni anno un minimo di 3 mila franchi mensili poiché lo riteniamo un limite sotto al quale non si può scendere». Il quadro comincia ad apparire più chiaro ma anche a mostrare in tutta la sua forza le contraddizioni della logica di mercato. Vediamo di fare ordine. In Ticino esistono delle imprese che trovano la loro ragion d’essere (e di profitto) nella disponibilità di lavoro a basso costo. Il basso costo del lavoro è dovuto a una situazione particolare fra differenza di costo della vita e del lavoro fra due regioni divise da un confine. «Gli imprenditori insubrici si lamentano della mancanza di manodopera e devono importarla a proprie spese dai paesi dell’Est, paradossalmente un ministro leghista si trova a fare i conti con la chiara richiesta degli imprenditori di allargare il numero degli immigrati» - dice Lombardi. Svizzeri che non possono essere impiegati nel “settore del basso costo del lavoro” in Ticino, italiani che possono e vogliono esserlo e stranieri che dovrebbero arrivare in Italia a sostituire quegli stessi italiani che non possono in Italia. Questo è quello che insegna il mercato, nulla di troppo complicato. Sarebbe attraverso la concorrenza fra i vari attori della società che si raggiungerebbe il maggior benessere. Le regole di mercato, ma forse non solo quelle, hanno portato il nord delle Alpi nell’impossibilità di proporre imprenditorialità a basso costo del lavoro. In Ticino invece è ancora possibile fare profitti contando sul basso salario corrisposto ai frontalieri (il caso della Diantus trattato in area n.46 del 14 novembre è uno fra gli altri). Il costo del lavoro dovrebbe, a detta degli economisti, essere deciso dal mercato, lasciando libero sfogo alla concorrenza tra imprenditori e lavoratori ma anche fra le stesse imprese e gli stessi lavoratori. La tesi che sia la concorrenza a formare i salari in questo settore del basso costo della manodopera è poco plausibile: i salari d’uso sono conosciuti a priori dalle imprese poiché sono esse stesse che creano la consuetudine e non vi è stimolo alcuno a giocare al rialzo. Lombardi assicura che: «la realtà delle imprese a basso costo del lavoro è una realtà in via d’estinzione, credo si possa dire per fortuna». Liberandosi delle tristi considerazioni di mercato resta la questione etica e sociale, spetta dunque ad ognuno di noi il compito di rispondere se quei 9 o 15 franchi all’ora sono dignitosi, se sono una forma di sfruttamento del lavoro o meno. Compete anche alla politica e alla società, e non solo al mercato, decidere cosa è lecito e cosa non lo è, se così non fosse non sarebbe possibile capire perché nell’ordinanza che limita l’effettivo degli stranieri (Ols) troviamo scritto «i permessi possono essere rilasciati unicamente se il datore di lavoro offre allo straniero condizioni di salario e di lavoro usuali per il luogo e la professione uguali a quelle degli Svizzeri». Non si potrebbe neppure comprendere perché nell’accordo bilaterale fra Svizzera e Ue sulla libera circolazione delle persone si dica che non vi possa essere «alcuna discriminazione fondata sulla nazionalità» (non dovrebbe neppure esserci una discriminazione in base al sesso come nelle tabelle). Ma forse tutte queste disposizioni non riguardano le persone non qualificate (nel lavoro), quelle che nonostante tutto si adagiano in quegli iniziali (ma a volte anche permanenti) 9 - 15 franchi all’ora. A questo punto ha un gusto amaro la provocazione di Lombardi che dice «chiedete a quei frontalieri non qualificati cosa farebbero senza queste imprese». A guardare l’altra faccia della medaglia ci si potrebbe anche chiedere cosa farebbero queste imprese senza i “lavoratori d’uso”, quelli a basso costo. Resta un altro dubbio da dipanare: sono imprese che non possono o non vogliono remunerare in maniera più dignitosa i lavoratori?

Pubblicato il

28.11.2003 02:00
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