"Compagni, serve una patria"

Le elezioni federali hanno fatto male a sinistra. E sui motivi della sconfitta del Partito socialista (Pss) e del trionfo dell'Unione democratica di centro (Udc) s'interrogano anche i sindacati, confrontati a loro volta con un deciso vento neoliberista. Fra verdetto delle urne e rimessa in discussione del partenariato sociale c'è dunque uno stretto rapporto. Ne parliamo con Vasco Pedrina, già copresidente di Unia, oggi segretario nazionale del sindacato incaricato in particolare di rilanciare la rete dei fiduciari.

Vasco Pedrina, da dove deve partire la riflessione dei sindacati e della sinistra per capire le cause della sconfitta elettorale del 21 ottobre?
Da constatazioni molto concrete. Il presidente della commissione aziendale di un'impresa attiva nell'industria alimentare nella regione di Berna mi ha raccontato dopo le elezioni federali che non pochi fra i suoi colleghi di lavoro hanno votato Udc. E lo hanno fatto nella convinzione che l'Udc rappresenti gli interessi dei lavoratori meglio di chiunque altro. Proprio quel partito che propugna i regali fiscali ai ricchi, lo smantellamento dell'Assicurazione invalidità e dell'Assicurazione disoccupazione e l'aumento dell'età Avs. Ma anche fra gli operai edili che a metà ottobre hanno scioperato sui cantieri della Nuova trasversale ferroviaria alpina a difesa del Contratto nazionale mantello disdetto dalla Società degli impresari costruttori ho incontrato dei simpatizzanti dell'Udc.
Perché dunque la classe operaia ha voltato le spalle alla sinistra?
La risposta non è semplice. Una cosa è certa. Se da un lato i socialdemocratici hanno conquistato i voti dei ceti impiegatizi superiori nei nuovi mestieri dei servizi, dall'altro i settori operai tradizionali rimangono in larga misura fedeli a noi sindacati. Invece i salariati meglio qualificati e meglio pagati si lasciano organizzare sindacalmente soltanto a fatica. Fino ad oggi non siamo ancora riusciti a portare sotto uno stesso tetto questi due importanti gruppi sociali, né il Pss né noi sindacati. Perfino sulla questione centrale della giustizia sociale l'Udc cerca sistematicamente di dividere la nostra base. È questo uno dei motivi principali per cui le forze neoliberali sono riuscite ad occupare un numero sempre maggiore di temi. Le forze neoliberali determinano in larga misura la percezione dei problemi sociali, infettano con il loro patrimonio ideale di destra conservatore e xenofobo una parte crescente dei ceti lavorativi e spingono gli altri soggetti sociali nella rassegnazione e per finire nell'astinenza politica. E queste stesse forze neoliberali diventano sempre più influenti nelle associazioni padronali inducendole a disdire il partenariato sociale. La Società svizzera impresari costruttori (Ssic) non fa che indicare la strada.
Tuttavia quella dell'Udc non è solo propaganda. Pur con mezzi rozzi ha posto il dito su alcune questioni aperte nella nostra società, questioni che la sinistra non sempre ha dato l'impressione di voler affrontare con convinzione.
È vero, la sinistra deve porsi il problema di come dare una rete sociale efficiente a tutti, ma anche del fatto che lo Stato non può sostituirsi alla responsabilità individuale. Dobbiamo insomma anche affrontare senza pregiudizi la discussione sulla misura della rete protettiva. Perché altrimenti si diffonde l'idea che da ciò che è collettivo tutti possono prendere senza mai dover dare nulla. E alla discussione montata ad arte sugli abusi ai danni delle assicurazioni sociali dobbiamo rispondere con ancor più chiarezza che l'abuso è un fatto eccezionale, che tuttavia può e deve essere combattuto con gli strumenti adeguati. C'è però una demagogia xenofoba dell'Udc che è molto difficile da combattere. Essa infatti sfrutta senza nessuna vergogna la frustrazione sociale di ampie fasce del ceto operaio di fronte ai rapporti di lavoro sempre più precari e a prospettive occupazionali sempre più incerte.
Come fare per invertire la rotta?
I sindacati, il Pss e tutte le forze sociali possono opporsi a questa deriva soltanto se uniti lanciano una controffensiva basata su una politica ad ampio raggio della "sicurezza sociale".
Concretamente che cosa significa? Quali devono essere gli elementi costitutivi di questa politica della "sicurezza sociale"?
L'elemento centrale dev'essere una politica attiva dell'occupazione, che inizia assicurando un numero sufficiente di posti d'apprendistato. Nel contempo dobbiamo nuovamente affrontare la questione dell'immigrazione dal punto di vista degli autoctoni, rispettivamente di chi già vive in Svizzera, considerando anche i problemi concreti d'integrazione che si presentano ogni giorno. Ma dobbiamo anche mostrare le reali proporzioni di questi problemi e rendere coscienti dell'insostituibile contributo dato dalla migrazione alla crescita, alla produttività e al funzionamento a lungo termine delle assicurazioni sociali. In ogni caso la richiesta di giustizia sociale anche nella politica migratoria è il nostro punto di partenza – perché soltanto la parità di trattamento rafforza i lavoratori e porta alla fine ad avere più sicurezza.
Tornare all'abc del lavoro sindacale e dell'azione politica della sinistra, cioè alla giustizia sociale, sarà sufficiente per respingere l'ondata neoliberista?
La maggioranza nella società possiamo conquistarla se ci riesce di tematizzare in maniera comprensibile le questioni di politica salariale, economica e sociale dal punto di vista della giustizia sociale. È quanto ci dimostrano le campagne sindacali contro i salari inferiori a 3 mila franchi e le vittorie alle urne contro lo smantellamento sociale, contro le privatizzazioni e contro le riforme fiscali ingiuste. Ma è vero che dei contenuti giusti e delle campagne di votazione condotte con successo non bastano. I sindacati devono trovare anche una risposta organizzativa alla crescente tendenza all'individualizzazione nel mondo del lavoro. Abbiamo bisogno di una rete di relazioni più solida nelle imprese, di fiduciari che sul posto possano trasmettere i valori sindacali della solidarietà, della giustizia sociale e dell'uguaglianza. I neoliberali con il loro pensiero xenofobo riescono a guadagnare terreno anche perché queste reti di relazioni sono diventate più deboli.
Proprio il rilancio di una solida rete di fiduciari nelle imprese è oggi uno dei suoi compiti in Unia. Come si fa?
La solidarietà non la si impara dai libri ma con l'azione collettiva. Per questo dobbiamo costruire un ampio e attivo movimento d'opposizione alle tendenze neoliberali. Al riguardo gli attacchi al partenariato sociale, alle assicurazioni sociali e persino alle istituzioni della nostra democrazia che dopo queste elezioni federali ci verranno dall'Udc, dalle organizzazioni padronali e da altre forze borghesi rappresentato anche una chance: riconquisteremo le teste e i cuori di chi si è rassegnato e di chi è politicamente confuso attraverso i referendum, le mobilitazioni e se necessario anche attraverso gli scioperi.
L'azione collettiva sarà anche un modo per rispondere all'Udc sul piano dell'identità, ambito nel quale il partito di Blocher s'è costruito ampi consensi proprio nelle fasce più popolari dell'elettorato?
È vero, è anche una questione di identità. In una società globalizzata nella quale sempre più si perdono i punti di riferimento l'Udc ha saputo trasmettere una certa sicurezza psicologica e il sentimento di stare bene assieme (si pensi alla festa dell'Albisgütli, ma anche alle numerosissime occasioni conviviali che l'Udc organizza nei quartieri e nei villaggi). È una questione di "Heimat" come si dice in tedesco, cioè di patria in senso molto ampio. Per noi però la "Heimat" non può essere quella dell'Udc, molto autoritaria e che esclude gli altri. In passato a sinistra una patria l'avevamo: per i comunisti era l'Unione sovietica, per i socialdemocratici erano i paesi scandinavi. Ora questi punti di riferimento sono venuti a mancare. Non solo, abbiamo anche il problema che quelli della generazione del '68, in reazione alla patria così come l'intendevano i loro genitori, hanno sistematicamente rifiutato questo concetto. Così oggi sinistra e sindacati si ritrovano a mani vuote.
Cosa si può fare dunque per ridare un sentimento di sicurezza, di comune appartenenza, di stare bene assieme?
Costato con piacere che la nuova generazione, quella che il '68 l'ha soltanto sentito raccontare, comincia a comprendere l'importanza di momenti condivisi e a farli riemergere. Uno sciopero ad esempio è anche un momento in cui si sta assieme, di costruzione di un'identità, di una comunità, di un sentimento di sicurezza che deriva dalla forza collettiva. A Zurigo, per fare un altro esempio, da qualche anno la locale sezione di Unia organizza una sorta di anti-Albisgütli, a cui partecipano anche mille persone. Sono momenti posti sotto uno slogan più emozionale che rivendicativo al centro dei quali ci sono le persone della base e le lotte che conducono. Ecco, momenti di questo tipo sono elementi che vanno integrati nella nostra riflessione attuale sulle cause della sconfitta elettorale e sul modo per farvi fronte. Ma dobbiamo anche tornare a chiederci quali sono i punti di riferimento della nostra azione, quali motivazioni, quali, valori, quali sogni vogliamo trasmettere.



Pubblicato il

07.12.2007 02:00
Gianfranco Helbling
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