A briglie sciolte

Le Olimpiadi sono una ghiotta occasione per i media occidentali per scagliarsi contro la Cina accusata delle peggiori malefatte, senza che ci sia un minimo sforzo per distinguere le poche informazioni probabilmente vere dalla montagna di fake news che vengono ripetute giornalmente contro Pechino, soprattutto dopo che gli Stati Uniti hanno deciso di iniziare una nuova guerra fredda contro l’ex Impero Celeste, sentendosi ormai minacciati nella loro posizione di predominio mondiale dall’inarrestabile crescita economica cinese. Certo, soprattutto dopo la svolta più autoritaria impressa da Xi Jinping, bisogna rimanere critici su quanto capita in Cina, e nessuno di noi si è mai immaginato di definirla come un “paradiso dei diritti umani”, pur se anche su questo punto vanno tenute in debito conto le differenze culturali e politiche tra i vari paesi.

 

Tanto per fare un esempio: negli Usa non c’è un diritto alla salute riconosciuto come tale, mentre in Cina è considerato un diritto umano fondamentale. Da qui la politica cinese dello zero Covid, che con misure parzialmente autoritarie (ma a quelle latitudini il Noi conta di più dell’Io) è riuscita a controllare in modo straordinario la pandemia, tanto che facendo un paragone con le vittime registrate negli Stati Uniti, Pechino è riuscito in proporzione a evitare perlomeno due milioni di morti. Come non si può non tener conto degli 800 milioni di persone uscite dalla povertà assoluta o la parità di genere introdotta e realizzata dal partito comunista, in un paese dove prima, soprattutto nelle campagne, le donne erano praticamente delle schiave.

 

Tutte queste persone hanno probabilmente una visione dei diritti umani un po’ diversa da quella dei nostri commentatori. Ma allora Hong Kong? E gli Uiguri nello Xinjiang? A proposito di Hong Kong non dimentichiamo che nel 19esimo secolo la distruzione da parte di noi occidentali della Cina, che fino ad allora aveva un tenore di vita simile al nostro, è cominciata proprio da Hong Kong, per cui rispetto a questa città-stato, Pechino è estremamente sensibile, anche perché nella storia cinese il grande pericolo è sempre stato rappresentato dalla disgregazione regionale. E poi non facciamo le verginelle: in più di un anno di manifestazioni, spesso violente, ad Hong Kong c’è stato un morto, contro i 14 in meno di un anno nelle manifestazioni dei Gilets Jaunes in Francia. E gli Uiguri allora? Certo, nello Xinjiang (e io ci sono stato due volte non molto tempo fa) le misure repressive si vedono e si sentono. Ma non dimentichiamo che gli islamisti uiguri hanno provocato quasi 200 morti in attacchi terroristici.

 

Sulle accuse più infamanti, che arrivano addirittura a parlare di genocidio o di sterilizzazione di massa, le prove sono tutt’altro che convincenti e sono state in gran parte messe in circolazione dall’etnologo Adrian Zenz, fondamentalista cristiano, membro di think tanks di estrema destra, che ha sempre dichiarato «di essere stato chiamato da Dio a liberare la Cina dal comunismo». Ci sono sue affermazioni che relativizzano il nazismo e che dichiarano come anticristiana ogni legge a favore della parità di genere e contro le discriminazioni delle persone Lgbt. I suoi legami con l’organizzazione terroristica del Partito Islamico del Turkestan, che ha sede in Turchia, e da cui l’Isis ha reclutato molti suoi combattenti, sono ben noti. Certo nello Xinjiang ho visto molta polizia, ma anche in ogni ospedale mense separate con cibo Halal e molte scuole turcofone. Fonti insospettabili, perché anche critiche verso il governo cinese, non mi hanno mai accennato neanche lontanamente a possibili genocidi, che oltretutto sarebbero estremamente difficili da nascondere.

 

Tutto ok quindi? No! Ma cerchiamo di essere almeno un po’ oggettivi e di non lasciarci trascinare in crociate anti-cinesi (magari addirittura contro i “musi gialli”), che come è sempre stato nella storia, hanno degli scopi ben diversi da quelli che vengono dichiarati.

Pubblicato il 

17.02.22
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