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Salute & lavoro

Dalla Romandia: «Lasciateci chiudere i cantieri!»

Gli operai edili ginevrini e vodesi sostengono la decisione ticinese e auspicano che Consiglio federale conceda la libertà decisionale ai cantoni

di

Francesco Bonsaver

«A Ginevra tutto è nato con uno sciopero spontaneo la settimana scorsa sul grande cantiere pubblico dell’aeroporto. Gli operai, ritenendo impossibile lavorare in sicurezza dal contagio, si sono fermati» spiega Blaise Ortega, sindacalista di Unia Ginevra. Lo sciopero, seguito dai media, ha reso pubblica la problematica, costringendo il governo cantonale ad intimare la chiusura di tutti i cantieri.


Il Consiglio federale, dimostratosi più sensibile alle richieste del padronato nazionale, ha però imposto al Canton Ginevra la riapertura, subordinandola alla definizione di procedura di autorizzazione per cantiere. «Questa vale soprattutto per i grandi cantieri e le imprese di costruzione, ma lascia aperti molte situazioni poco chiare. Ad esempio, i pittori che dipingono una facciata di un palazzo in costruzione, non sono soggetti all’autorizzazione di cantiere e possono dunque lavorare».

La decisione federale complica non poco la questione, non essendo per nulla chiara e lasciando ampio spazio a interpretazioni di ogni genere. Anche il concetto “di lavorare in sicurezza” crea parecchia confusione. «Sono misure di sicurezza puramente teoriche, scritte a tavolino da funzionari che immaginano in astratto il lavoro sui cantieri» commenta Ortega, che conclude: «gli operai sono furiosi per la mancata chiusura e al tempo stesso intimoriti dalle minacce padronali di esser licenziati» racconta il sindacalista ginevrino. Sulle rive del Lemano regna il caos dopo l’intervento federale.

Copione pressoché identico nel Canton Vaud.

Mercoledì 18 marzo, l’autorità cantonale emette un decreto dove impone la chiusura dei cantieri quando la misure di sicurezza sanitarie non possono essere applicate. Teoria pura nell’edilizia, tanto più che non ci sono le forze oggettive per controllarne il rispetto. La mancata chiarezza della decisione è frutto dell’intervento federale, che venerdì scorso non ha annunciato la chiusura dei cantieri. La reazione degli edili vodesi non si è fatta attendere. Ci sono stati scioperi spontanei in alcuni grandi cantieri e azioni dirette da parte degli elettricisti che hanno tagliato la corrente dove si sta costruendo il nuovo stabile dell’assicurazione cantonale contro gli incendi (Eca).

«Ad oggi il 90% dei cantieri sono fermi- spiega Pietro Carobbio, responsabile Unia Vaud edilizia - Ma la situazione potrebbe cambiare, vista la comunicazione di ieri delle autorità federali in merito ai casi di Ginevra e Ticino, dove è stato minacciato di non concedere il lavoro ridotto alle imprese coi cantieri chiusi. Un altro grosso problema riguarda l’artigianato, dove la situazione è ancora più confusa. Sul territorio cantonale, ci saranno una cinquantina di cantieri in cui gli artigiani lavorano». Il sindacato sta denunciando pubblicamente quanto avviene, e in una fase successiva, saranno organizzati dei blocchi di cantiere dove le norme non sono rispettate.

Oggi ad esempio, è stato bloccato per misure insufficienti il cantiere dell’impresa Csc (foto), l’ex azienda di cui era amministratore Gianluca Lardi, oggi presidente della Società svizzera degli impresari costruttori. Una quarantina di operai sono potuti rientrare al loro domicilio in tutta sicurezza. «Ma ciò che auspichiamo è che domani il Consiglio federale autorizzi formalmente l’autonomia cantonale nel decretare il blocco delle attività edili» osserva Carobbio. Nel caso negativo, è stato preparato un piano b. «Abbiamo consegnato al governo cantonale una richiesta sottoscritta da noi e padronato di creare una commissione specifica dei partner sociale che possa verificare le misure di sicurezza e, nel caso, chiudere il cantiere».

Domani sarà dunque attesa con trepidazione dagli operai dei cantieri elvetici la decisione del Consiglio federale sulla paventata autonomia concessa ai cantoni di poter intimare il blocco dell’attività edile o industriale non essenziale nei loro territori. Ad oggi, la posizione del Consiglio federale è quella di vietare i raggruppamenti di cinque persone nei luoghi pubblici, ma di autorizzare raggruppamenti ben maggiori nei cantieri o nelle fabbriche, dove il pericolo di contagio è alto in assenza di norme e dei controlli delle stesse.

Ieri, Vania Alleva, presidente della più grande organizzazione dei lavoratori del Paese (Unia), ha difeso la scelta del governo ticinese di chiudere le attività produttive non essenziali, auspicandone la sua estensione. «La maggioranza dei Cantoni non esegue controlli sul rispetto delle regole. Ogni giorno in più che aspettiamo, la situazione peggiora. Per questo l'unica soluzione è uno shutdown generale» ha concluso Alleva.

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Martedì 24 Marzo 2020

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Salute & lavoro
22.03.2020

di 

Francesco Bonsaver

Ieri, sabato 21 marzo, il governo ticinese ha emanato nuove restrizioni (clicca qui) nell'ambito della lotta di contenimento alla diffusione del Coronavirus. Tra queste, la decisione di chiudere tutte le attività produttive economiche non essenziali. Ne parliamo con Giangiorgio Gargantini, segretario di Unia Ticino e Moesa, sindacato che lo scorso mercoledì aveva invitato il governo cantonale ad adottare nuove misure a tutela dei lavoratori.

 

Chiusi cantieri e fabbriche in Ticino. Niente più luoghi a forte aggregazione per produrre cerniere, tapparelle o movimentare borse e scarpe. Giangiorgio Gargantini, segretario di Unia Ticino e Moesa, l’invito sindacale prima del lungo ponte al governo di precisare la produttività consentita perché essenziale, sembra essere stato recepito.
Le misure del Consiglio federale rispondevano alle preoccupazioni del reddito e la salvaguardia dei posti di lavoro. Quelle emesse ieri dal Canton Ticino, alla tutela della salute dei lavoratori. Siamo dunque sollevati che le nostre due priorità, salute e reddito, siano state recepite. Non possiamo dirci soddisfatti o rallegrati, perché nel contesto attuale non c’è nulla di cui esser felici.

 




Salute & lavoro
18.03.2020

di 

Francesco Bonsaver

«Facciamo cerniere, mica mascherine». A parlare è una delle trecento operaie della fabbrica Riri di Mendrisio, azienda che continua la sua produzione a pieno regime. Il sito aziendale, alla voce “etica e sostenibilità”, recita: «L’essenza stessa della passione di Riri, “Excellence in details”, ha come proprio valore intrinseco l’attenzione etica agli impatti ambientali e sociali generati lungo l’intera catena di produzione, elemento chiave di un approccio aziendale fondato su qualità e unicità». Il coronavirus mette alla prova (o a nudo) gli intenti etici della responsabilità sociale delle aziende con la dura realtà dei fatti. L’appello del governo alle aziende di ridurre la produzione alle sole attività essenziali nella sanità e la filiera alimentare, non è stato raccolto in maniera generalizzata.

«La stragrande maggioranza del tessuto industriale ticinese non sta svolgendo una produzione essenzialmente necessaria nel contesto della crisi sanitaria» commenta Vincenzo Cicero, responsabile industria di Unia Ticino.

Salute & lavoro
16.03.2020

di 

Francesco Bonsaver

«È allucinante. È pieno di gente» dice la commessa con voce sommessa alla sua collega. Ore 12.30, piano sotterraneo della Manor, centro Lugano. All’entrata una agente di sorveglianza spiega ai clienti che solo il reparto cibo è aperto. Nessun controllo sul numero di clientela presente negli spazi vendita. Aperto pure il servizio pasti esotici, sempre al piano terra. Il personale ha le mascherine e la clientela è invitata a lasciar la distanza in coda alle casse.

Salute & Lavoro
13.03.2020

di 

Veronica Galster e Francesco Bonsaver

«Nelle ultime settimane le autorità federali e cantonali hanno fatto ripetutamente appello alla responsabilità delle imprese: laddove questa viene meno, le misure di protezione della salute cessano di essere efficaci, e quindi un intervento delle autorità a protezione della salute di tutti si impone», dice Giangiorgio Gargantini, segretario regionale di Unia Ticino, che spiega come da diversi giorni il sindacato riceva decine di testimonianze di lavoratori che denunciano condizioni di lavoro che non rispettano le indicazioni minime fornite dalle autorità sanitarie. Area ha raccolto le testimonianze nei tre settori: industria, vendita, edilizia e artigianato. Qui invece un'infografica sui diritti dei lavoratori legata alle problematiche del Coronavirus

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