Dietro lo specchio

Il coronavirus ha costretto gli stati a intervenire per salvaguardare la salute dei cittadini e tenere a galla l’economia, facendo però esplodere il debito pubblico. Anche quello svizzero. Autorità e creditori non si stancano di ricordare che poi occorrerà onorare l’impegno: interessi e importo prestato.


Non a caso quindi il Consiglio federale ha incaricato la Task force scientifica per il Covid 19 di esaminare la questione del debito. «Anche considerando un forte aumento del debito di 15-20 punti percentuali – scrive la Task force – raggiungerebbe il 60%, una percentuale significativamente inferiore a quello dei paesi vicini (70% in Germania, 90% in Austria); inoltre essendo i tassi d’interesse in Svizzera vicini allo zero e/o negativi il costo del debito non metterebbe in pericolo la stabilità finanziaria o la prosperità del paese».


La monetizzazione del debito, l’opzione preferita e raccomandata da Jean Tirole, autorità e capofila della teoria neoclassica, insignito del «cosiddetto Nobel per l’economia nel 2014» sceso subito in campo all’inizio della pandemia, non è menzionata dalla Task force. Forse per il fatto che la situazione del debito svizzero non desta preoccupazione alcuna. È buona cosa sapere che abbiamo discreto margine di manovra finanziaria riguardo al debito e che non ne siamo strozzati.


Ma come affrontare il futuro? Attorno a noi l’Ue dapprima e ora anche l’America di Biden si sono mosse con tanto di strategia per affrontare il futuro. Futuro nel quale il ruolo dello stato ridiventa centrale, dopo il trentennio neoliberista. In concreto investimenti pubblici:  l’Ue lo fa con il Next Generation Eu (750 miliardi di euro) per incrementare il bilancio dell’Ue con nuovi finanziamenti raccolti sui mercati finanziari per il periodo 2021-2024, e Green Deal europeo, piano d’azione per promuovere l’uso efficiente delle risorse passando a un’economia pulita e circolare, e ripristinare la biodiversità e ridurre l’inquinamento. Mentre dopo i 1.900 miliardi di dollari per lotta alla povertà e sostegno al ceto medio, Biden ha annunciato un maxi-piano di 2.250 miliardi di investimenti destinati a: ricostruire, modernizzare infrastrutture, promuovere una nuova politica industriale, tecnologie avanzate, sostenibilità ed energie rinnovabili.


E la Svizzera? Lato Consiglio federale tutto tace: nessuna strategia dichiarata per il dopo Covid. Benché la struttura produttiva appaia intatta, difficilmente potrà ripartire al termine del lockdown; ed è illusorio pensare di ritrovare il “business as usual” antecedente il Covid: intanto perché i debiti appesantiscono le aziende, molte delle quali non riapriranno, o saranno costrette a ristrutturarsi; altre già stanno procedendo riorganizzando il lavoro sostituendo talune mansioni umane con sistemi e robot intelligenti, immuni ai virus. Un processo in atto ovunque!

 

Poi, oltre all’incombenza climatica, sarebbe dimenticare l’urgenza di ridurre la dipendenza esterna riportando  in loco produzioni di vitale importanza (non solo le mascherine protettive); e anche di rivitalizzare l’economia circolare: produrre beni e servizi destinati al mercato locale, ciò crea lavoro, quindi anche salari che vengono spesi localmente (consumo). Consumo che rilancia la domanda, quindi la produzione. Economia circolare che può essere agevolata dall’introduzione di una moneta locale (come il Léman, in uso nel bacino lemanico, utilizzata persino da taluni Comuni sia per i salari, sia per pagamenti imposte). Il silenzio del governo sulla strategia per il dopo Covid, contrariamente al proverbiale “niente nuove, buone nuove” preoccupa per le conseguenze: un nicchiare irresponsabile per un paese che si vuole emancipato e democratico.

Pubblicato il 

15.04.21
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